Come ogni martedì torna la rubrica dedicata alla figura di Tommaso da Olera, il frate cappuccino vissuto a cavallo tra Cinquecento e Seicento e proclamato Beato nel 2013. Il testo è tratto da “Tommaso da Olera, saggezza umana e sapienza divina” a cura di Clemente Fillarini, Messaggero di Sant’Antonio Editrice.
La riflessione di oggi
La Maddalena, come furibonda cerva assetata, impaziente, fu la prima che uscì di casa e andò al Calvario cercando la fonte chiara per attuffarsi in essa (I 424-425).
Quanta impazienza per ottenere subito dagli altri quello che desideriamo, o per raggiungere una meta agognata. Talvolta qualcuno la manifesta perché incapace di attendere un minuto o poco più, e preme più volte il bottone dell’ascensore o il pulsante del semaforo per attraversare subito la strada. Ma noi forse nei nostri doveri verso gli altri ce la prendiamo comoda. L’impazienza degli innamorati di Dio, invece, è tale che noi, non così esperti in quest’arte, non riusciamo a capire. Essi infatti
«Vivono quasi sempre in una impazienza d’amore, e odiano quelle cose che li trattiene dal suo corso, come sono le necessità corporali e simili» (II 632). «Questa impazienza non sarà intesa se non da anime innamorate, perché non si può con lingua parlare, né con l’intelletto capire questa impazienza dell’anima, che è causata dagli alti lumi della bontà del suo Dio» (III 224). «Qualche volta si troveranno quasi impazienti in se stessi, altre proromperanno in voce e clamori, che a vederli farebbe pietà ai sassi» (II 474); e «darebbero corone e imperi per amore di Dio, né in altro oggetto si possono fermare se non in Dio, e sono sempre impazienti di questo amore, e quanto più crescono in amar Dio, anco cresce in sé stessi odio e viltà» (IV 212). «Mai devi cessare di battere con impazienza amorosa alla porta della pietà di Dio, il quale molte volte differisce la grazia perché di te si compiace, vedendoti con santa perseveranza» (III 248). «Oh, quanti hanno pazienza per non esser ritenuti impazienti, o per coprire l’impazienza e apparire virtuosi!» (II 433, 121), ma «sono tanto pieni di se stessi che una parolina detta contro la propria estimazione, mostreranno tanti risentimenti che sarà cosa di stupore, saranno impazienti e si vorranno scusare» (II 123).