Brunella Giovara per Repubblica
Distratto da chissà quali pensieri, un Diavolo passeggia a metà campo, con le mani dietro la schiena. Ma di colpo l’azione si avvicina, la palla gli capita a tiro, e lui tira. Un gol clamoroso (il portiere fa finta di niente, e guarda un aereo che passa lassù). Dopo, nello spogliatoio: «Speriamo di tornare a fare tornei importanti, come meritiamo. Siamo una bella squadra, noi Diavoli. Il mio ruolo? Difensore esterno destro. A volte anche sinistro».
La maglietta rossa
Si chiama Simone, fino a tre anni fa stava chiuso in camera. Non parlava con nessuno a parte qualcosa con i genitori che ora lo aspettano trepidanti. A fine allenamento il mister lo sgrida: «E la maglietta rossa? Ti avevo chiesto di metterla». «Ce l’ho!», sotto alcuni strati di magliette e felpe, una calda corazza che lo protegge dal mondo. Un altro ha sbagliato colore e ce l’ha arancione, altri due boh, si sono dimenticati. Ora, la squadra dei Diavoli Rossi di Casalecchio è un mito, e non solo dalle parti di Bologna.
Varie patologie psichiatriche
Veri combattenti, sul campo e a casa, alle prese con varie patologie psichiatriche che non stiamo a raccontare, ma «medio alte, sono tutti seguiti dai Centri di salute mentale», spiega Mino Di Taranto, 67 anni, già infermiere nel settore, oggi in pensione e allenatore temuto e amato, anche nelle trasferte avventurose che la squadra affronta (in Cina, una volta). Anche quando distribuisce rimproveri, o divide un pacchetto di wafer. «Abbiamo uno zoccolo duro di 30 giocatori, dai 20 ai 70 anni. Di solito giochiamo a calcetto a cinque. Poi, chi arriva gioca. Siamo nati nel ’99», un esperimento, «allora si parlava di riabilitazione del paziente con corsi di ceramica, di cucina… Eravamo un gruppo di operatori alternativi, abbiamo proposto una vera squadra di calcetto, partendo da interessi veri, e lo sport è terapia».
Il ruolo dell’Asl
L’Usl ha accettato, «e forse all’inizio non si fidava granché. Ma sono arrivati i risultati. E nel 2008 siamo diventati una polisportiva autonoma. Siamo i Diavoli Rossi». Ed ecco i giocatori, come Giuseppe, che si è proposto subito per l’intervista e scalpita sui tacchetti. Però non aspetta la domanda e dichiara: «È un onore essere un Diavolo». Ruolo? «Portiere. Però gioco in avanti, difensore. L’intervista è finita?». Sì. «Allora vado. È un onore, scrivilo». Lorenzo, con i guanti da portiere: «Sono il portiere, quello storico. Del calcio mi piacciono il gioco e lo spogliatoio, lì si scherza molto». Luigi: «Attaccante e portiere. Siamo un team di amici, ci divertiamo. Oggi ho fatto tre gol. Ci tengo a dire che tifo Bologna da sempre».
Le parole del mister
È stata ed è un’avventura, dice il mister. «Esistono altre realtà come la nostra, come i “Non andremo mai in tv”. Ma poi siamo usciti dalla logica dei “tornei tra matti”. Incontriamo squadre di anziani, o miste maschi/femmine, ad esempio giochiamo una volta al mese nei parchi di Bologna con Dimondi, torneo organizzato da ragazzi che ci hanno adottato». Poi ci sono i Mondiali antirazzisti di Bologna «di cui siamo parte integrante». Trasferte in Sardegna, Puglia, Sicilia, indimenticabili tournée, come in Cina nel 2007. Rita Lambertini, educatrice del Centro di salute mentale di Casalecchio, referente della Usl: «Eravamo tutti i gruppi di “Parole ritro- vate”, la rete di utenti, familiari e operatori, e le polisportive italiane per l’inclusione. Che viaggio! In treno da Roma a Pechino».
Il viaggio in Argentina
L’anno dopo, in Argentina, «dieci giorni di incontri di studio e partite. Tema, la psichiatria di territorio, uno dei cardini della legge 180». Ma «ne abbiamo perso uno a Buenos Ai- res, poi ritrovato su una panchina. Aveva seguito le sue voci e si era allontanato. Avevamo già allertato la polizia e l’ambasciata, ma tutto è finito bene». Dal campo arrivano grida e risate, siamo nel centro sportivo Salvador Allende, disponibile grazie al Comune, al Circolo del tennis e alla squadra Real Casalecchio, prima divisione. Come vi finanziate? «Con il 5 per mille e con la Usl, che finanzia i progetti Prisma» (poi, se qualche squadra con anche solo una punta di rosso nella divisa decidesse di dare una mano…).
La squadra ha fatto la differenza
Arriva Franca Pastorelli, presidente della Polisportiva, madre di un Diavolo attualmente in infortunio: «Marco non parla, sta nel suo mondo. Ma per lui questa squadra ha fatto la differenza. E anche per noi genitori, impotenti di fronte alla patologia, ci ha dato una forza..». «Lavoriamo con le comunità terapeutiche e con i Rems, le strutture che hanno preso il posto degli ospedali psichiatrici», spiega Rita. «La nostra idea è che la luce deve stare accesa sulle competenze, le capacità e i punti di forza delle persone. E non sulle paure e le fragilità. Spero sia chiaro». Chiarissimo. Aggiunge che funziona, e non solo il calcio. Ci sono i “Camminatori Stelle di roccia” (che fanno lunghe passeggiate), e quelli della Trottola, 2 sabati al mese “per risocializzare”. I Diavoli, nessuno ricorda bene chi ha scelto il nome, ma dice Di Taranto che «siamo tutti diavoli, me compreso. E siamo tutti rossi, data la zona». Allora si pensava anche ai Red Devils del Manchester United, ma non è poi così importante.