Il commento al Vangelo di domenica, 19 marzo, di Don Giulio Dellavite
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita; sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe», che significa “Inviato”. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. Quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». Alcuni: «È lui»; altri: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli: «Sono io!». Condussero dai farisei quello che era stato cieco: era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso tra loro. Interrogarono anche i genitori: «È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». «Sappiamo che che è nato cieco; ma chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di sé». Avevano paura dei Giudei che avevano stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui?». «È un profeta!». Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono. Gesù lo seppe e quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui.
Il commento al Vangelo
All’angolo di una via un tale vide un mendicante col cartello: “Cieco dalla nascita”. Nel cappello aveva solo pochi spiccioli. Si fermò. Non diede nulla. Girò il cartone e scrisse qualcosa. Poi se ne andò. Le offerte cominciarono a fioccare. La sera il cieco riconobbe il suo passo, lo fermò e gli chiese: “Cosa hai scritto?”. “Niente di che. Ho cambiato prospettiva. Ora si legge: oggi è primavera e io non posso vederla”. Il Vangelo ci fa prendere coscienza di quanto non siamo capaci di vedere la primavera. Il “come” guarire sta in dettagli strani: Gesù non apre gli occhi al cieco, ma li chiude di più col fango e lo spinge a camminare a tentoni nel buio col rischio di cadere.
La vita nuova
È il cieco che fa il miracolo con il suo desiderio di vita nuova: plasmare il fango è in Genesi il gesto di Dio che crea l’uomo (* oggi la liturgia usa l’insolito colore “rosa” come i primi fiori di pesco che annunciano la rinascita). Ciò che rende i rapporti scuri, bui, sfocati è la poca fantasia, la poca generosità, la poca fedeltà, la poca fiducia, il poco rispetto, la poca premura. Insomma, la piccineria. Riscopriamo il Crocifisso come un grande specchio. Mettendoci davanti a lui scopriamo il volto della nostra anima. Osservare il Cristo ci fa guardare in faccia a noi stessi. Mi aiuta oggi la favola di Biancaneve con i sette nani.
Biancaneve e i sette nani
Tutto parte dalla piccineria invidiosa della Matrigna: “Specchio delle mie brame chi è la più bella del reame?”. “Non sei tu!” è la risposta che acceca dalla rabbia. Anche noi. Le menti piccole condannano ciò che non è alla loro portata. Biancaneve, infelice e scontenta, scappa e si rifugia, disagiata, stretta, nella piccineria della casa dei 7 nani. Ci assomigliano. Pisolo. Nella versione originaria dei Fratelli Grimm è Sleepy, nel senso di pigrizia rassegnata. È il nanismo della volontà. Brontolo è Grumpy, lo scorbutico. È il nanismo della pazienza. Cucciolo, Dopey, sta per inebetito. È il nanismo dei valori. Eolo, Sneezy, è lo starnuto dell’allergico per i pollini nel vento e rappresenta l’intolleranza. È il nanismo della comprensione. Mammolo, Bashful, lo schivo che si sente a disagio, fragile, inadeguato. È il nanismo della autostima. Gongolo, Happy come gioppino. È il nanismo dell’eleganza. Dotto, Doc, la superbia arrogante. È il nanismo della cultura. I nani sfidano la piccineria scendendo nel buio della miniera, faticando nel profondo dell’interiorità, cercando ricchezze.
Le mele avvelenate
Noi troppo spesso invece ci troviamo addormenti e paralizzati da mele avvelenate che sono rimpianti, rimorsi, risentimenti. È un tocco di premura invece che sveglia la primavera, come Gesù, come il Principe azzurro, come nel racconto. Tutto cambia non in modo straordinario, ma ordinario. Bianca neve guarda in modo diverso principe, nani e se stessa. Per il “lieto fine” nelle favole basta un attimo, nella realtà no. Serve azionare, giorno dopo giorno, dialogo, comprensione, premura senza se/ma/però, condivisione di fatiche. I principi azzurri non lo sanno fare, donne e uomini normali invece sì, trasformando gesti soliti in germogli.