Il Vangelo, domenica 25 settembre, 26a del Tempo Ordinario C:
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù disse ai farisei: «C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”. Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”. E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».
Parola del Signore.
Il commento al Vangelo
A scuola mi chiesero cosa volevo essere da grande. Risposi “felice”. Mi dissero che non avevo capito il compito. Compresi poi che loro non avevano capito la vita (John Lennon). Il povero e il ricco non sono due categorie sociali, ma due dinamiche esistenziali nella vita di ciascuno. Tra loro c’è una porta che diventa un abisso in terra e poi in cielo. Il problema che il Vangelo presenta è che i due sono isolati: non si conoscono, non si incontrano, non interagiscono. Avrebbero bisogno l’uno dell’altro per trasformare la loro vita. Il povero Lazzaro vive l’inferno in terra e poi gode il paradiso. Il ricco (anonimo) è convinto che il suo divano sia il paradiso e poi si trova all’inferno perché ha tutto tranne che un nome: si lascia imprigionare da ciò che ha o che fa e non sa più chi è. (Più che “ricco” per me andrebbe identificato come “avido” perché è un atteggiamento che prescinde dal conto in banca).
Il Vangelo ci pone sulla soglia
Il Vangelo ci pone sulla soglia: sta a noi ora far incontrare i due. In ciascuno di noi da una parte c’è il ricco pieno di possibilità, dall’altra il povero con le piaghe delle mancanze e dei fallimenti. Questa dinamica mi ha fatto tornare alla mente un film capolavoro di Lina Wertmüller: Pasqualino Settebellezze (1975). Pasqualino Frafuso, soprannominato Settebellezze per la fama di sciupafemmine, è un “chiachiello” degli anni ’30 (cioè inaffidabile, capace solo di chiccchierare), cresciuto viziato con madre e sette sorelle, seguace della filosofia di tirare ‘a campà. Scoprendo “Totonno 18 carati” con la sua fidanzata, lo uccide, ma goffamente, perciò il delitto non viene ritenuto d’onore. Il losco don Raffaele lo consiglia di disfarsi del cadavere facendolo a pezzi, ma viene scoperto e arrestato. Per evitare la pena capitale, finge l’insanità mentale.
Andare alla guerra
Per evitare i 12 lunghi anni di manicomio, si arruola in guerra. Per evitare la guerra diserta. Finisce in campo di concentramento. Per evitare un’altra volta di lasciarci la pelle, si lancia nella più complessa seduzione della sua fama di sciupafemmine: quella della grassa brutta comandante nazista, ricordando sua madre che diceva che anche nella più infame delle donne, in fondo al cuore, nu poco ‘e zucchero c’adda stà. Fischiettando e canticchiando la celeberrima ‘A tazza ‘e caffè, Pasqualino riesce a far breccia nel cuore della nazista, che lo libera nominandolo kapò, ma gli dà l’incarico di scegliere sei compagni da mandare a morte. Non può più evitare. Francesco smuove Pasqualino contro il “ricatto schifosissimo”, ma terrorizzato decide di proseguire. L’amico si ribella ai soldati. Inutili i tentativi di Pasqualino di salvarlo. Anzi è proprio lui a sparare un colpo in testa all’amico, stremato dalle torture. Terminata la guerra, torna in una Napoli devastata dalle bombe. La madre cerca di rincuorarlo: «Il passato è passato, non pensarci più a queste miserie! Tu sei vivo!». Pasqualino osserva la sua immagine nello specchio, che non riflette più il volto di un guappo pavoneggiante ma quello di un uomo sconfitto, umiliato e ferito e borbotta: «Sì… sono vivo». Il protagonista scappa di fronte ad ogni vicenda.
Le non-scelte
Le non-scelte lo fanno sprofondare come sabbie mobili in una situazione sempre più drammatica: dal paradiso soleggiato di Napoli all’inferno buio del Lager. Inizia uccidendo un nemico finisce con assassinare l’amico. Tra i personaggi c’è Pedro, un anarchico spagnolo, che apre nel buio melmoso la soglia un’uscita di sicurezza: la necessità di un uomo nuovo, “l’uomo del disordine”. La grandezza di un essere umano e di una società si misura dalla capacità di prendersi cura delle sue parti più deboli. Il rischio è il non valicare la soglia per guardare dentro o fuori. Non sappiamo guardare in faccia alla fragilità della nostra vita con le ferite dei passi falsi, scarniti dalla fame di valori, piegati e piagati delle illusioni frustrate. Non sappiamo guardare in faccia alla ricchezza della nostra vita che chiede di esporsi e di proporsi, che responsabilizza, che non si accontenta, che alza il livello. Noi siamo la soglia sulla quale il ricco e il povero si incontrano, si abbracciano, si conoscono, si completano. Reciprocamente. Le nostre settebellezze ci riconsegnano l’uomo del disordine che in Cristo trova la possibilità di essere “nuovo”. Quindi felice. Come scrisse George Bernard Shaw: “Sia l’ottimista che il pessimista danno un contributo essenziale: l’ottimista inventa l’aeroplano, il pessimista il paracadute”.