Ci introduciamo alla preghiera, provando a recuperare alcune linee essenziali per coglierne il senso, il valore, l’essenza. Recupereremo anche alcune semplici indicazioni pratiche, ma non è questo lo scopo principale di queste riflessioni. Come disse Antoine de Saint-Exupéry: “Se vuoi costruire una nave, non radunare uomini solo per raccogliere il legno e distribuire i compiti, ma insegna loro la nostalgia del mare ampio e infinito”. Spero di riuscire a comunicarvi la nostalgia dell’infinito e poi i dettagli del cosa fare arriveranno spontanei.
Le preghiere e LA Preghiera
Se osserviamo il nostro pregare ci rendiamo conto che nella maggioranza dei casi è per chiedere qualcosa. Senza neanche dire “per favore”. Altre volte lo facciamo come prendere un biglietto della lotteria dei miracoli: vediamo se succede qualcosa. Cominciamo a chiederci: “dico le preghiere” o “prego” ? Vediamo la scena dall’esterno, come se un amico mi venisse a trovare: entra, si siede, mi recita qualche bella poesia a memoria a raffica, mi chiede un favore (quello lo scandisce bene e me lo ripete), mi saluta e se ne va. Quanto sbufferei? Facciamo esattamente così con Dio. Quanto annoiamo Dio?
“LE” preghiere (al plurale e con la p minuscola)
Sono quelle fatte con la bocca, “formule magiche” sparate a ripetizione, ma di queste il Signore non sa cosa farsene. Queste si fermano al soffitto e non arrivano in cielo. Papa Francesco ha detto: “Dio cerca amici non pappagalli”. Ci sono tantissimi “atei devoti”: ritualità emotiva forte e intensa, coscienza di Dio pari a zero. È la differenza tra religione e fede, tra convenzione e convinzione, tra ritualità e spiritualità, tra l’essere in chiesa e lo stare alla presenza di Dio, tra il praticante/osservante e il discepolo.
“LA” Preghiera (al singolare e con la P maiuscola)
Ribolle dal cuore. È meglio un cuore senza parole che parole senza cuore. Pregare è mettere davanti al Signore me stesso, quello che sono, con i miei sogni e le mie gioie, fatiche, debolezze, peccati, sbagli, ferite, preoccupazioni, dubbi, attese, speranze, successi. È chiacchierare con Dio, è raccontarsi.
LE preghiere potremmo dire che sono il numero di telefono per mettermi in contatto con Dio: non c’è comunicazione se non faccio il numero, ma non serve a nulla fare il numero se poi non dico niente. È assurdo chiamare e poi invece di dialogare mettersi a ripetere il numero di telefono. Attenzione! Sono “cose”, mezzi/strumenti, per questo si usa il plurale. Le “formule” servono e sono importanti ma se e solo se mi aiutano a entrare in comunicazione con Dio.
1) Prima di tutto mi metto alla presenza di Dio, mi concentro, mi “raccolgo” (gli antichi parlavano appunto di “raccoglimento” cioè mettere insieme i pezzi) cioè mi sistemo e faccio un attimo di silenzio senza fare e dire nulla.
2) Poi faccio il segno di croce lento, denso, con il significato di sentirmi avvolto sopra, sotto, intorno e dentro: c’è “tutto Dio” lì per me e ci entro dentro; e poi il segno di croce tocca testa (pensieri), pancia (preoccupazioni), cuore (sentimenti), spalle (la fatica del quotidiano da portare) quindi ci sono “tutto io”.
3)Poi un po’ lo guardo, senza ancora dire niente. Al Santo Curato d’Ars chiesero come pregava e lui disse: “Niente: io guardo lui e lui guarda me”. Se una persona mi fissa negli occhi e non dice nulla e io non ho confidenza comincio a parlare o a fare qualcosa; se invece le sono legato mi perdo in quello sguardo in silenzio. Così con Dio.
4) Solo adesso “le preghiere” possono essere d’aiuto a introdurmi. La preghiera sono io stesso, per questo si usa il singolare: è dire grazie, è raccontare, è sfogarsi, è anche arrabbiarsi con Dio. Se butto fuori quello che ho dentro riesco a vederlo in modo diverso: alcune cose che sembravano immense, si ridimensionano; altre che parevano un nulla scopro che sono importanti.
La preghiera
Chiediamoci: mi accorgo che pregare non è solo dire qualcosa, ma è dirlo a Qualcuno? Ma che qualcuno è? O parlo da solo? Muovo le labbra o il cuore? Uso filastrocche o dialogo? Ad esempio posso pregare anche con la guida telefonica. Ma se sono solo nomi e indirizzi? Il mio vecchio parroco, anziano, passava ore davanti al tabernacolo e teneva nascoste le pagine della guida telefonica in tasca. Mi diceva: “Loro non possono venire, li porto io qui e così non mi dimentico nessuno. I nomi poi mi ricordano tante storie e le vie mi fanno andare in tanti posti allora penso a quello che succede in paese, così pian piano li ricordo al Signore”. Abbiamo mai pensato che la rubrica del cellulare potrebbe essere un aiuto alla preghiera? Porto davanti al Signore le persone che amo, che odio, quelle che hanno bisogno, quelle a cui devo riconoscenza, quelle che mi hanno fatto sorridere e quelle che mi hanno fatto piangere, quelle che non vedo e non sento da tanto tempo, quelle che ho perso (per motivi diversi).
Alzarsi da uomo migliore
Ogni volta che qualcuno si inginocchia in preghiera da lì si alza un uomo migliore. Chi impara a stare rannicchiato nel suo cuore davanti a Dio riesce poi a stare in piedi in ogni circostanza. Abbiamo bisogno che “le” preghiere lascino spazio alla vita, e sgorghi “la” preghiera, il dialogo, anche se sfogo o rabbia. Il Salmo 54 dice: “Butta sul Signore le tue preoccupazioni”. Quando fai questo, ti distrai. È la prova che la preghiera sta funzionando: dice la Bibbia “Figlio, se ti presenti per servire il Signore, preparati alla tentazione” (Sir 2,1). Quindi se c’è la tentazione vuol dire che c’è Dio: l’ombra c’è solo quando c’è il sole.
Le distrazioni sono importanti e possono essere un dono di Dio
1) Quando uno ripete a macchinetta spesso si perde e io sono convinto che sia il Signore a volte a dire “ma basta! mi vuoi parlare un po’ di te adesso?”. Emergono parole, volti, dubbi, discussioni, sogni.
2) E se fossero proprio le distrazioni una risposta di Dio o il suo modo di dialogare? Ti fa venire in mente situazioni a cui non penseresti mai preso dalle mille corse di ogni giorno e ti ritrovi poi (ad esempio) a fare una cosa o chiamare una persona che non avresti mai fatto se non ti fossi messo in preghiera. Allora quello che credevi fosse una distrazione in realtà diventa un frutto perché fa nascere un gesto d’amore.
3) Se ti vengono in mente tante cose che devi fare, ti rendi conto che non muore nessuno e che c’è qualcosa d’altro di importante: tu con Dio. Il bello è che il “tempo perso” per la preghiera lo ritrovi tutto. O trovi il tempo per una persona che ti è venuta in mente mentre, se non ti fossi messo in preghiera, non avresti trovato un secondo.
4) Viene a galla solo ciò che è leggero, vuoto o morto. A quante cose noi diamo un peso enorme ma se vengono a galla vuol dire che in sé sono più leggere. Dio sa sgonfiarci. Così Dio ci aiuta a far venire a galla le alghe che ci inquinano, i rami secchi che si sono staccati dalla linfa della vita, le scatole vuote che ingombrano solo.
5) Infine Dio ci insegna con le distrazioni a nuotare. Ciò che è vivo abita i fondali profondi. Nel mare della vita nuoto o galleggio? Hegel provocava: “Il giornale è la preghiera del mattino dell’uomo moderno”. La preghiera è invece lo sfogliare il giornale del cuore.
Le 3 tipologie della preghiera
La preghiera Liturgica: innanzitutto la Messa che è la preghiera “di” Gesù (cioè quella che fa lui e a cui noi partecipiamo, il padre nostro è la preghiera “di” Gesù ma solo nel senso che è quella che lui ci ha insegnato), c’è poi la “liturgia delle ore” (lodi, ora media, vespri, compieta) che è la preghiera della Chiesa. Tra questi i sacramenti che sono azioni di grazia.
La preghiera Personale: il Padre Nostro ne è lo schema e la sintesi. Il ripetere ha un suo valore. C’è poi la preghiera mentale, quella occasionale (le giaculatorie, cioè “le frecce” improvvise dritte in cielo) e infine l’affidamento ai fratelli maggiori come Maria o i Santi.
La preghiera della Lectio Divina (o meditazione): è il lasciarsi interpellare dalla Parola di Dio. Più che uno schema è uno stile denso e impegnativo che richiede tempo, spazio e concentrazione, perché non basta l’anima, ma coinvolge testa, cuore, corpo.