Il primo segno della manifestazione
La parola Epifania in greco significa manifestazione. Il primo segno della manifestazione di Dio è la creazione e l’emblema è la stella. Il mondo ci parla di Dio. La prima parola di Dio è il sentimento della meraviglia: dice la Genesi “Dio vide che era cosa buona”. Noi invece corriamo e non ci prendiamo più il tempo di osservare, trangugiamo e non gustiamo più. Un poeta contemporaneo ha scritto: Sarebbe bello se un giorno qualcuno al posto di un “ti va un caffè?” mi dicesse: “ti va un tramonto?”. Un secondo modo della manifestazione di Dio è la scienza. Non basta la stella, bisogna studiarla e capirla. I Magi cercano di interpretare il linguaggio degli astri. Noi oggi abbiamo a disposizione conoscenze infinitamente superiori rispetto al tempo di Gesù, anche solo per quanto riguarda l’universo. Scienza e fede non sono nemiche, ma sono due facce della stessa medaglia: la scienza dice il come, la fede dice il senso. L’una ha bisogno dell’altra. C’è un architetto straordinario: quell’oltre che in qualche modo indica Albert Einstein dicendo “non tutto ciò che può essere contato conta e non tutto ciò che conta può essere contato”.
La religione
Un terzo luogo della manifestazione di Dio è la religione. Noi possiamo entrare in relazione con Dio attraverso la sua Parola, la Bibbia. È la più scontata per noi, ma qui c’è un pericolo, quello di ridurre la fede alla religione. Gli scribi, che conoscono bene la Sacra Scrittura sanno dove nasce Gesù, ma se ne stanno immobili. Loro indicano dove trovare Gesù a Erode, Erode ai Magi, ma non fanno un passo. Questa è la nostra tentazione: siamo cristiani da sempre, conosciamo il Vangelo, abbiamo sentito ripetere tante volte le stesse cose, ma poi perché muoversi? Cosa dobbiamo fare di più di quello che stiamo facendo?! Stiamo tranquilli al calduccio dell’ovvio, nel tiepidume della mediocrità. Non solo, purtroppo. Spesso come Erode siamo disposti a uccidere Dio pur di stare comodi nel palazzo delle nostre idee, presunzioni, giudizi. Siamo gelosi del potere del “si è sempre fatto così”. Abbiamo paura a metterci in questione: “Ditemi quando avete trovato Gesù, così faccio di tutto per farlo tacere e tornare alla “mia” normalità”. La paura è la madre di ogni violenza.
Il corpo di Cristo
Se la Parola ti muove, ti affacci al quarto modo di rivelazione che è il corpo di Cristo. Quel corpo incontrato a Betlemme (la casa del pane) è posto dove c’è quello che deve essere mangiato (la mangiatoia): prendete e mangiatene tutti questo è il mio corpo offerto per voi. “Prostratisi lo adorarono” si dice dei Magi, come noi nella celebrazione eucaristica. Senza fede non c’è incontro, ma vuoto rito ripetuto per convenzione e senza convinzione.
La famiglia
Un quinto luogo in cui Dio si rivela è la famiglia: “entrati in casa videro la madre con il figlio”. È il momento più divino del brano. Dio nonostante la nostra miseria si affida ai gesti più quotidiani e scontati. L’oro di quanto ogni giorno facciamo per chi ci è vicino: sacrifici, premure, gesti d’amore, il più delle volte nascosti, proprio come le cose più preziose. L’incenso, resina dura che al calore si scioglie e diventa fumo che sale al cielo e profumo che riempie la casa: sono i sentimenti e sogni che, quando fanno sciogliere le nostre durezze nel calore dei rapporti veri, salgono fino al cielo e riempiono la vita di un profumo nuovo. Infine la mirra, l’olio usato per tonificare i muscoli ai lottatori, come anestetizzante per il dolore e come unguento per combattere la corruzione dei morti: è la dimensione della fatica, delle lotte, delle ferite, del dolore, delle perdite.
I tre pilastri della Fede
Parola, Eucaristia, Carità-amore-carità. Sono i tre pilastri della fede, ma sono avvolti dal sesto modo in cui Dio si manifesta che è la notte. Per vedere la stella serve il buio. Il dubbio avvolge il mistero della fede e spesso anche le nostre esistenze. Oggi si parla addirittura di “inquinamento luminoso”: abbiamo vinto il buio intorno, ma l’oscurità ci abita dentro. C’è l’oscurità dei grandi drammi causati dalla violenza impietosa della natura, ma molto più spessodalla violenza degli uomini nelle sue forme come la guerra o il terrorismo, fino alle sue forme più singolari, quelle che ci fanno temere di abitare le nostre case e di percorrere le nostre strade. C’è poi e soprattutto l’oscurità dentro di noi: quella delle prove che affliggono o del vuoto della solitudine. Infine c’è l’oscurità che non dobbiamo aver paura di chiamare “peccato”, quando inquiniamo la nostra storia, stropicciamo quella degli altri, perdiamo occasioni di amore, di bene, di vita (invece per cosa e quando noi diciamo “che peccato”?).
La rivelazione di Dio
L’incontro con Dio è sempre avvolto da un velo. Lui si svela e si ri-vela, cioè si vela di nuovo. Però chi lo incontra cambia. Forte la conclusione: “per un’altra strada fecero ritorno al loro paese”. Non vanno da un’altra parte chissà dove (in missione), non si fanno preti, ma tornano a casa loro. Però in modo diverso. Dio non chiede di stravolgere la vita, ma di cambiare lo stile di attraversarla. Continuando a cercarlo. Chi incontra davvero Dio è un appassionato della vita, perché ha visto una stella, cioè ha solo “intuito” qualcosa. Se Dio si fosse manifestato nella sua onnipotenza, noi saremmo stati costretti a credere. I Magi non vedono più la stella a Gerusalemme, nella casa dei religiosi, dei sapienti, dei potenti, nel luogo degli “abituati”, di chi ha la verità in tasca. La fede ha le stesse regole dell’amore: è esperienza e non solo conoscenza. La rivelazione dice chi è Dio ma dice anche chi è l’uomo. Accogliere il Signore così come lui si è manifestato diventa il principio di uno stile cristiano dell’accoglienza. È l’ultimo luogo della rivelazione di Dio: l’altro, il prossimo. Abbiamo inflazionato questa parola appiattendola sugli stranieri. Invece come accolgo mia moglie, mio marito, i miei figli, i miei genitori anziani, il mio vicino, il mio collega, chi è più vicino alla mia vita? È il principio dei raggi della ruota della bicicletta: più ci si avvicina al perno, minore è la distanza tra di loro. Se voglio avvicinare i raggi stando lontano dal perno li rompo o li storto usando forza.