Il commento al Vangelo di oggi, domenica 21 maggio, di Don Giulio Dellavite.
Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».
Il commento al Vangelo
“Capisco come si possa guardare la terra ed essere atei, ma faccio fatica a capire come si possa guardare il cielo e non credere in Dio” (Benjamin Franklin, scienziato). Il cielo è lo spazio del mistero, tra giorno o notte, nubi o sereno, con stelle che incantano, pianeti che attirano, galassie sconosciute, voli immaginari e aerei da prendere. Tutto questo da sempre affascina scienziati, sognatori, filosofi, poeti, musicisti, artisti. Chiunque è incantato dal cielo, forse perché ci assomiglia tanto. Noi siamo come il cielo: l’anima è un universo ribaltato dentro di noi. A pensarci bene, viviamo tutti sotto lo stesso cielo, ma ciascuno ha il suo orizzonte da indicare e in cui invitare. Tale specificità esalta la singolarità di punti di vista e capacità tanto da scoprirsi non solo compatibili ma completanti. Pensare che Gesù compie la risurrezione ascendendo in cielo spiazza, perché proprio mentre sembra andare lontano si scopre il contrario, cioè che è più intimo a me di me stesso. Il cielo era per Gesù il posto dove poteva essermi più vicino perché non doveva stare sopra, sotto, accanto, davanti o dietro, ma poteva arrivare là dove c’è lo spazio che incanta: “dentro”.
Accettare i propri sbagli
Quindi più che un “scendere” è un “ascendere” dentro se stessi che però è una operazione di risurrezione non facile: “lasciar andare” Gesù in cielo chiede un “lasciarsi andare”: un lasciarsi andare che è darsi il diritto di cieli azzurri. Andrew Faber, giovane poeta italiano, me lo ha fatto capire. “Arriva il momento in cui decidi di lasciare andare le persone in cui avevi riposto sogni e speranze: che facciano le loro scelte, che prendano la loro strada. Arriva il momento di accettare i propri sbagli e di incontrare i propri demoni: ascoltare cosa vogliono, che cosa chiedono, di cosa hanno bisogno per andare via e per non tornare più. Arriva il momento di accettare il dolore e di trasformarlo non in rabbia, non in sete di vendetta, ma in sola verità: in puro desiderio di dolcezza. Arriva il momento in cui fai pace col tuo cuore, che non vuol dire rassegnarsi, ma dedicarsi finalmente quel po’ di libertà, quel po’ di leggerezza.
Il piccolo miracolo
È un piccolo miracolo che ci rende finalmente vivi, finalmente liberi e che porta il nome di consapevolezza”. Ascendere, con Gesù e come Gesù, è la consapevolezza del cielo in me, dell’infinito in me, del mistero in me, che ha la luminosità delle stelle che sono tanti volti, che ha la magia delle galassie che sono le mie storie, che ha la profondità dei raggi di luce che sono i miei valori, che ha la forza dei venti che sono i doni che ricevo. Il cielo sono io. Se Gesù ascende in cielo è perché ha scoperto che la mia interiorità è proprio bella non solo per visitarla, ma proprio per abitarci e prenderci la residenza. Nonostante temporali, nuvole grigie, fulmini, nebbie, tenebre. Tutto questo può a volte riempire il cielo, può nasconderlo, ma niente riuscirà mai a rovinarlo o ad accartocciarlo. È proprio vero: se si guarda la terra, se si guarda in basso, se si guarda intorno, viene voglia di essere atei, ma se si guarda il cielo e soprattutto il cielo dentro di noi, lì c’è la motivazione del perché si possa credere in Dio.