Il commento al Vangelo di oggi, domenica 17 dicembre, di Don Giulio Dellavite.
Dal Vangelo secondo Giovanni
Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce. Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e levìti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaìa». Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo». Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.
Il commento al Vangelo
Il tempo di Avvento ci pone “in dolce attesa” del Natale, aiutandoci a percepirci “gravidi di Dio”, a scoprirci “incinta” fin nel nucleo più profondo (“in-cytos”, nel citoplasma). Ci spinge a cogliere che la realtà è “in stato interessante” perché “pregnance” (inglese) impregnata e lievitante di grazia. Questo ci pone “in der hoffnung – in speranza” (dal tedesco) per vivere la fatica come travaglio, il dolore come doglie, il buio come utero, fino a scalciare per “venire alla luce”.
Il buio
Il buio a volte fa paura, ma dovrebbe spaventarci di più la penombra che appiattisce, intiepidisce, impantana, deprime. Chi o cosa dobbiamo aspettarci? Chiedono a Giovanni Battista i rassegnati del tempo. Diventa la nostra domanda. Il cammino di Avvento ci fa incontrare oggi la lingua tedesca che esprime la gravidanza con “in der hoffnung, in speranza”. Se crediamo davvero che noi siamo quello che abbiamo dentro e non siamo i nostri errori e non siamo le nostre mancanze, allora troviamo la forza di sfidare l’oscurità. Ce lo insegna il gesto con cui riceviamo il corpo di Cristo. Innanzitutto ci si mette in fila, non ci si serve da soli, e non si dà nulla in cambio: è un dono non meritato. Per questo gli antichi saggi suggerivano un’ora di digiuno: un aiuto per avere coscienza dell’importanza di ciò che ricevo. Una mano, quella sopra, rappresenta la mia fragilità: il palmo aperto e disteso dice che sono mendicante, che ho bisogno, che non posso bastare a me stesso. L’altra mano, che sorregge, dice le mie potenzialità: non ho tutto, ma qualcosa di bello e di buono ce l’ho. Accolgo il pane santo nella mano vuota del mendicante, ma è la mano della mia libertà e dignità, che sta sotto, quella che poi prende il Corpo di Cristo e lo fa entrare dentro. La mano dell’umiltà e la mano della disponibilità si uniscono nella parola “amen” che significa: ci-sto! mi comprometto! E diventano culla che chiede premura come per un neonato, diventano scrigno che chiede delicatezza come per un gioiello, diventano teca che chiede riverenza come per ciò che è Santo. Qualcuno nelle mani unite vi vede un cuore sia per la forma nel sovrapporsi, sia per il ritmo di sistole e diastole: come il sangue il Dio che entra (sistole) chiede poi di uscire e arriva a irrorare capillarmente la realtà (diastole). Poste all’altezza del cuore, le mani insegnano “unione-con”. nel loro essere umiltà delicata e disponibilità premurosa, invece la superficialità sbava, la distrazione inquina, la cafoneria rovina, la mediocrità corrode: è l’anti com-unione. Papa Francesco insegna: “Noi arriviamo con fragilità, sbagli, dubbi, crisi, difficoltà, fallimenti. La vita poi a volte ferisce. Ricordatelo bene! Quando ti senti giù, fai la Comunione! L’Eucaristia non è un premio per i perfetti e i puri, ma è medicina per i malati, è alimento per i deboli, è riempimento di grazia per le mancanze, è carica di forza. Non impedire a Dio di raggiungerti, lui vuole entrare in te!”. Essere “in der hoffnung – in speranza” è osare a vivere in altro modo, con una qualità alta, che va sempre oltre, perché “la speranza è un sogno fatto da svegli” (Aristotele).