Il commento al Vangelo di domenica 26 novembre 2023 di don Giulio Dellavite.
Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono e davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre. Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. (…) Se ne andranno questi al supplizio eterno e i giusti alla vita eterna»
Il commento
La parabola della fine del mondo che accompagna la liturgia di Cristo Re dell’universo, mi ha fatto pensare alla tenaglia così accerchiante e vicina a noi della “terza guerra mondiale sparsa a pezzi”, come la definisce Papa Francesco. Se Cristo è il Re, il Padrone, l’Onnipotente, dove è? cosa fa?come può permettere che l’uomo distrugga se stesso e la terra? Per il Vangelo Dio non agirà con magici interventi strabilianti, perché ha già fatto qualcosa di straordinario, forte, potente per cambiare la situazione: ha fatto te, me, ciascuno di noi. Cristo non ha mani: ha soltanto le nostre specifiche qualità per completare oggi il suo lavoro di creatore e di salvatore. Cristo non ha piedi: ha soltanto il nostro coraggio di esserci per poter raggiungere ogni luogo e migliorare le situazioni. Cristo non ha labbra: ha soltanto i nostri dialoghi quotidiani per abbattere ogni tipo di muro e costruire ponti. Per Gesù le nostre “piccole cose” sono l’ultima pagina della Bibbia – forse l’unica – che la gente legge ancora. Le “piccole cose” hanno l’aria da nulla, ma sono sacre perché sono la causa delle più grandi e il loro sostegno. Mi ha sempre colpito nella parabola del giudizio universale che Gesù nella griglia di valutazione non richiede riti religiosi (siete andati a messa, acceso candele, fatto novene?) né inserisce la parola “amore” come sentimento vaporoso. Usa invece i verbi casalinghi di una mamma: dar da mangiare e bere, vestire, curare, soccorrere, capire. Il potere delle piccole cose mette tutto “in stato interessante”.
In stato interessante
È una espressione bellissima, andata un po’ persa purtroppo, per indicare che l’attesa generativa crea una nuova identità e una nuova personalità non solo per il feto che matura, ma pure per chi diventa genitore, nonno, fratello. Cambia tutto. Settimana prossima cominceremo il tempo di Avvento e mi farò aiutare nel cammino da alcune espressioni comuni seguendo il crescere di Gesù nel pancione della Madonna, per essere come lei e con lei “in dolce attesa” (!) del Natale. C’è bisogno innanzitutto che la nostra anima resti “in-cinta”. Se la parola è presa dal latino significa solo “senza-cinta” come gestione delle esigenze (ad es. l’allargare il vestito). Così può essere il Natale: cose da organizzare e preparare. Risalendo invece al greco antico “kytos” è spazio o cavità, “in-citos” è l’entrare della vita in ogni cellula (es. cito-plasma). Nell’antichità “citos” era sinonimo di “grotta” per custodire o “calice” per centellinare, come gli estremi della vita di Gesù. Abbiamo bisogno poi che la nostra anima sia “pregnance”, come si dice in inglese (simmetrico al nostro “pregna”), che sia impregnata, riempita, colma, lievitante di vita e di Dio. Abbiamo bisogno che la nostra anima sia “in der hoffnung”, “in speranza”, come nella bellissima sfumatura del tedesco. Abbiamo bisogno che la nostra anima “venga alla luce” grazie a quelle “piccole cose” delle quali non ne cogliamo mai abbastanza la bellezza, la bontà, la preziosità (“quando mai?”). Abbiamo bisogno di accorgerci che siamo “gravidi di Dio”.