Il Vangelo di domenica 2 ottobre, 27a del Tempo Ordinario C:
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe. Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stríngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».
Parola del Signore.
Il commento al Vangelo
La prima grande regola dell’educazione bergamasca è: lavora! Se hai da studiare, studia! E davanti ai successi la risposta è: «Hai fatto solo il tuo dovere». Le cose si fanno per il loro valore in sé, non per i complimenti. Un impegno che riporta sempre la realtà “a misura di volontà” e la rende affrontabile. L’unico modo di insegnare davvero è l’esempio, senza giri di parole vuote, andando all’essenziale. È ciò che mi spinge a ridare ordine e senso al mio mondo oggi, perché è stata educazione dei criteri, che non ci abbandona più. È un codice di interpretazione del reale che guida parole e azioni, come una sorta di griglia di giudizio, di scuola di priorità. Quello che ci sembrava inutile dei genitori, è ciò che di più utile abbiamo oggi come cassetta degli attrezzi per costruire, riparare, restaurare, abbellire la nostra vita. L’utilità dell’inutile è il seme che ha la forza di spostare alberi, di sradicare le radici per ripiantarle dove meno ti aspetteresti. È quella dignità senza fronzoli ma responsabilizzante da figli che si fa criterio di scelta, misura di giudizio, valore di senso.
La fede è la “qualità alta” della vita
Se siamo anche figli di Dio, qui si gioca la nostra realizzazione e appare l’utilità di quell’inutile che è la fede che spesso fa risultare Dio dal carattere un po’ bergamasco. Però ha ragione: abbiamo fatto quanto dovevamo “fare”, ora dobbiamo “essere”! “Signore aumenta la nostra fede!”, è la richiesta accorata degli Apostoli nel Vangelo di oggi, è il nostro stesso bisogno. La risposta di Gesù è smarcante: “Alla fine della giornata ditevi: abbiamo fatto quello che dovevamo fare”. La fede non è chissà che cosa, ma è fare quello che devi fare con il livello di umanità che ha il Dio di Gesù Cristo, dunque la fede è la “qualità alta” della vita. Non è questione di fare qualcosa “per” Dio durante la giornata, ma di essere “come” Dio, di pensare come il Signore, di guardare il mondo dal suo punto di vista. San Paolo dice: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Gesù”. La fede è chiedersi di fronte alle scelte anche più banali: “Ma Gesù in questo momento cosa avrebbe detto o fatto?”. Oppure chiedere a lui, soprattutto nei momenti di crisi o tensione, o anche di rabbia: “Signore, tu che sei così bravo, adesso cosa faresti? Prova a metterti nei miei panni e vediamo!”. Il nostro rischio è quello di essere “atei devoti”: essere cioè religiosi, ma non credenti. Mettiamo spolverate di religiosità “sopra” pezzi di vita qua e là, ma non abbiamo Dio “dentro”. Eppure abbiamo inconsciamente un bisogno di fede fortissimo.
La necessità della relazione
È facile dire “è ora di liberarci dalle illusioni della religione, per fortuna c’è la scienza che ci ha aperto gli occhi”. Un click sul computer ci consegna la verità a portata di mano, non abbiamo più bisogno delle illusioni dei preti. A chi dice così, chiedo: allora perché il linguaggio informatico per esprimersi ha bisogno di “rubare” i termini della fede? Si parla innanzitutto di “salvare” nel tentativo di sottrarre al pericolo del dimenticare, del perdere. È la voglia di fermare un’immagine, un pensiero, un istante. Per ogni PC o tablet “salvare” è operazione necessaria, sempre. E se fosse traccia del nostro desiderio di essere salvati? Diciamo poi “convertire” un file, quando abbiamo bisogno di rendere usufruibile e condivisibile qualcosa, per toglierlo dalla vorace bocca del non senso. Ma è esattamente la preoccupazione di Dio dalla prima pagina della Bibbia fino all’ultima: la necessità della relazione, della comunione nelle azioni, appunto della “comunic-azione”. Ci sono poi termini come “giustificare” o “icone” che sono modi di organizzare o ordinare quanto abbiamo davanti dando una forma che corrisponde al nostro gusto. Cerchiamo di rendere bello il nostro desktop o i nostri file, ma questa non è forse nostalgia di una bellezza più grande? In fine c’è quella parola oggi così essenziale: “rete, connessione”, porti il mondo in casa e ti porti dietro la casa quando esci.
Dio è l’ovvio necessario
È il nostro bisogno di altro, ma insieme di sentirci legati. La fede è scoprire che Dio è l’ovvio necessario. Tra uno che parla e uno che ascolta, chi è più importante? Il terzo, cioè la parola: ciò che si dà per scontato. Tra colui che ama e colui che è amato, chi è più importante? Ciò che non si vede, cioè l’amore. Tra chi suona e chi balla, chi è più importante? La musica. Questo è Dio. È la qualità di quello che facciamo ogni giorno. Tutto qui. Dio non è da mettere da nessuna parte. Lui c’è già. Dio non “entra” nella vita. Lui “c’entra” con la vita. Signore, aumenta la nostra fede, cioè aumenta la qualità della nostra vita.