A Giuda, quella sera, qualcuno glielo avrà pur fatto recapitare. Addirittura il Maestro in persona, forse: “Se (ri)torni, sappi che la mia porta è sempre aperta”. Cristo lo disse – in diretta, in mondovisione – nascondendosi nei lineamenti d’un sudamericano dall’aspetto ignoto ai cultori rinomati dei pronostici vaticani. Figlio d’un ferroviere emigrato dal Piemonte anni prima: nessuna traccia di sangue blu nelle vene, accento e cadenza di chi è miscuglio di mondi, sorriso furbastro d’un avventuriere nato. Jorge diventa Francesco nel battibaleno di una serata quasi primaverile: dieci anni fa.
Buonasera
Gli bastò un buonasera! ricco d’affezione e di candore per portarsi a spasso il mondo intero, quello pagano, alla ricerca di Dio, dei suoi segreti misteri. Partì come chi, col semaforo verde, è allenato a sgommare: non perse tempo, s’infilò dritto nella gattabuia d’una galera giovanile per chiedere se avessero visto passare Giuda. In mano un catino, una brocca, un asciugatoio: s’imbarazzarono per quell’armamentario destinato all’anima più bastarda della storia. “Come può, un Papa, non esordire (con tutto rispetto) in un convento di novizie, nel seminario di Roma, a centellinare patemi con i cardinali di Romana Chiesa?” Se ne infischiò: gl’importava di Giuda, la sua sorte, quella della madre sua, della sua vittima. Gli interessava venisse a conoscenza d’una cosa che gli premeva in petto: “Se decidi di (ri)tornare, sappi che ti sto aspettando. Tu, e tutti i tuoi fratelli con te”. Anche per questa predilezione, iniziarono a sparger la voce che il nuovo Papa dava di matto. Che aveva perso la bussola: “Non è disordine, Jorge, ciò che incontri – bisbiglia Dio -. E’ un ordine che il mondo non capisce: glielo insegnerai tu. Và e torna: ti aspetto!” Anche la carrozzina è un trampolino.
I dieci anni di Papa Francesco
In dieci anni ha portato brocca, catino e asciugamano dappertutto: persino dentro il disordine di chi sta scrivendo. Ha illuminato a giorno anche un capitello sperduto d’una chiesa della Provenza dove c’è ritratto Gesù, vestito da pastore, con sulle spalle, invece che la pecora perduta, il suo Giuda che sta emettendo il suo ultimo rantolo. È ossessionato da Giuda, Francesco: come mamma e papà – le mamme e i papà che san fare la differenza – sono ossessionati dalla salute del figliolo più discolo, quello screanzato che ti fa fare sempre brutta figura. Per fare questo s’è messo in cuore di sfidar i vecchi tabù religiosi d’un tempo, quelli che diventano sempre più cari a chi diventa sempre meno fiducioso dello Spirito e di ciò che lo Spirito suggerisce. Lui ha impressioni divergenti su Giuda: sfida i tabù non per desiderio d’esser provocatore, ma perchè è uomo di Dio. Ragiona dritto in una chiesa storta: “Cosa farebbe Gesù al posto mio? Cosa direbbe, che parole userebbe? Quali sarebbero le sue priorità?” Lo deridono perchè sa farsi solo domande elementari: peccato sian le sole domande che rimettono Cristo, e non l’uomo, al centro del discutere umano. Dicono che prende sempre le parti di Giuda, ma non è vero: non prende affatto le parti di nessuno, perchè prende le parti di tutti. Ognuno, dentro, ha un suo Giuda accovacciato: chi ne è cosciente, ringrazia. Chi fa il bullo dicendo di non averlo mai visto, s’incazza. Lui accelera.
La farmacia di Francesco
Un divino che castri l’umano Francesco non lo sopporta affatto: i peccatori, soprattutto, son interessati alla salvezza. I sani, invece, passano davanti ad una farmacia interessati, al massimo, alle creme antirughe o agli anticoncezionali: il peccatore, invece, entra spesso senza ricetta, sperando che il farmacista abbia il buon senso di capire che, se gli dà un farmaco salvavita, ritornerà a portagli la ricetta. Giuda – Francesco lo sa – viaggia sempre al contrario rispetto al mondo: prima lo salvi, poi lui ritornerà a casa. Per la gioia di mamma e papà. D’un Papa con le ginocchia che vacillano: non sono reumatismi, problemi di menisco o di cartilagine. È il prezzo di chi, per cercare Giuda, si è inginocchiato dappertutto. Perchè, dappertutto, Francesco si è convinto che ci sia un Dio in agguato. Perdere l’attimo, anche solo un attimo, è perdersi l’appuntamento con Dio. (Sulla strada di Emmaus).