Siamo tutti stanchi. Stanchi di che cosa, poi, ognuno ha la sua lista pronta delle cose che l’hanno sfiancato: l’attendere, lo sperare, il desiderare. Con i loro opposti: stanchi di non attendere più, stanchi di disperare ancora, stanchi anche di non riuscire più a desiderare. A stancare di più, poi, sono le cose che non sono ancora mai accadute: quelle che, pur inseguite, ancora non si sono concesse a noi. Il fatto poi è che, a forza di avvertire stanchezza, alla lunga ci si stanca anche di essere stanchi. Somiglia ad un dolore cronico la stanchezza: all’inizio fa male, poi un po’ meno, poi impari a conviverci pensando che, alla fine, “non è proprio la fine del mondo”. Il fatto, però, che ci si sia decisi a convivere, non significa la guarigione dal dolore: semplicemente lo si accetta come fosse uno di casa, ben sapendo che tra le mura porterà più smorfie che sorrisi. “Mi stanco facilmente di me, figuriamoci di quello che c’è qui dentro” mi sono confidato una sera quando, uscendo di galera, ho fatto i conti con la mia di stanchezza. Il fatto che l’abbia confidato a qualcuno, di ritorno mi ha procurato più grattacapi della stanchezza: “E’ un buonissimo segno la stanchezza – mi disse -: segno che sei quasi giunto al termine della battaglia”. Forse aveva ragione: il semplice fatto di avergliela confidata, era segno che la resa non era stata ancora firmata in toto. Perchè è vero: quando sei stanco davvero, non avvisi più, non minacci più, non speri e non insegui più, non ti interessi nemmeno più. Tutto chiuso, tutto spento, è tutto buio: “Spegnete il sole, archiviate le stelle, tirate giù le serrande al mondo” dici.
La Quaresima, ogni volta che inizia, è la bilancia della mia stanchezza: per alzarmi dal letto, all’inizio della Quaresima, ogni anno che passa devo fare sforzi sempre maggiori che, se li pesassi, dovrei ritornare subito a letto per la troppa fatica fatta. Perchè tra quaresime, avventi e novene ne ho piena la mia agenda di promesse frantumatesi. Se il proposito di non mangiare pane, di non bere roba gassata, d’osservare qualcosa riesco anche a mantenerlo – in fin dei conti è questione di buona volontà – su quelli più angelici mi sento fallace da scoraggiarmi: la conservazione delle virtù, la vigilanza sull’accidia, l’amore per i misteri divini. Più passa il tempo, più scorrono le quaresime, e più mi dico ch’è tempo perso intestardirsi su cose che, già lo so, mi vedranno il giorno di Pasqua con le ossa malandate per troppe cadute. L’anno scorso me l’ero detto: “Ultimo tentativo: se nemmeno stavolta riesco, vorrà dire che non sono fatto per quelle vette”. Quest’anno, invece, scopro che ho deciso di tenermi cara la mia stanchezza: penso meriti più rispetto di quello che le ho riservato finora. A conti fatto, è lei l’archivio segreto delle cose alle quali tengo di più, quei traguardi che ancora non ho raggiunto: perchè, dunque, disprezzarla al punto da maledirla? C’è una bella differenza tra l’essere stanco e l’essere stufo: essere stufi è una noia, l’essere stanchi è quasi un dono. È il dono della stanchezza di Albert Camus: «La sveglia, il tram, le quattro ore d’ufficio o di officina, la colazione, il tram, le quattro ore di lavoro, la cena, il sonno. Questo cammino viene seguito senza difficoltà la maggior parte del tempo. Soltanto un giorno sorge il “perchè” e tutto comincia in una stanchezza colorata di stupore». Basta un perchè e tutto cambia.
Una stanchezza colorata di stupore è il risultato di una manutenzione fatta alla stanchezza. La manutenzione da fare alla stanchezza più pericolosa: quella dell’anima. Niente a che vedere con l’essere stufi di avere un’anima alla quale fare la manutenzione: un’anima stanca merita rispetto. Se l’anima è stanca significa che ha sgobbato, occorre farla riposare, con i giusti riposi ideati per l’anima: il raccoglimento, il silenzio, lo sguardo e i tanti riguardi cristiani. Quando al generale francese Ferdinand Foch i comandanti delle sue truppe chiesero qualche giorno di riposo per la troppa stanchezza, da grande generale qual’era tenne alta l’andatura invece che abbassarla: «La vittoria è sempre stata conquistata da soldati stanchi» rispose. In direzione della Pasqua con una bella tonalità scura di questa stanchezza sotto gli occhi non è proprio un vestito che sfiguri. È sempre la prospettiva a fare la differenza.