Saranno felici. Saranno felici con poco, anche se è sempre imbarazzante il crederci senza prima averci provato. Felici anche mangiando un cibo semplice, bevendo acqua pura e avendo come cuscino semplicemente il proprio braccio ripiegato: «Non portate borsa, né sacca, né sandali (…) mangiando e bevendo di quello che hanno, perchè chi lavora ha diritto alla sua ricompensa».
Saranno felici di diventare ciò per cui Cristo li manda nel mondo a diventare: gli apripista del Regno, i suoi ingegneri stradali, gente che coi guanti e badile abita il mondo per anticipare al mondo un frammento della bellezza di ciò che sta per arrivare. Per questo li fa (suoi) discepoli, avvisandoli dell’impossibilità di fare poi carriera tentando di rubare il posto al Maestro: «Ecco, vi mando». La missione di andare è la sua: non ci si improvvisa discepoli.
Anche la forza per alzarsi e andare nel mondo «come agnelli in mezzo ai lupi» è sua. La grazia – la grazia di riuscire a compiere la missione – è il primo arnese messo a disposizione da Cristo stesso: senza di lui, come avviserà a tempo debito, a ogni piè sospinto, non si riuscirà a fare granchè che non venga oi azzerato dal passaggio di una nuvola di polvere. Un privilegio, dunque, l’essere anticipatori di un Regno dato in arrivo: nulla è più affascinante del’acquolina in bocca quando si sta per avvicinare l’ora del pranzo o della cena.
Anche una responsabilità immane, da sentire la schiena curvarsi: in tutti i Vangeli non c’è nulla che regali più trasparenza di un bicchiere d’acqua perfettamente pulito. Anche Dio – coi suoi segreti misteri, le segrete peripezie – diventa comprensibile solo attraverso un riferimento umano, un’esperienza forte di umanità diversa, un modo diverso d’essere uomini, donne e bambini.
La trasparenza è una scelta, l’invisibilità una ripercussione della scelta che fatta: quella di non parlare mai di Dio a nessuno, ma di vivere in maniera tale da fare nascere, in chi ci vedrà, la voglia di chiederci di parlare loro di quel Dio che traspare dai nostri lineamenti, dai nostri movimenti. Gli arnesi sembrano smunti, le lame senza punta, la sfida pare impari. Anche perduta in partenza certi giorni: «Vi mando come agnelli in mezzo ai lupi». Il lupo reca paura all’agnello quanto la tempesta spaventerà il pescatore più navigato: è legge di natura.
Che, però, a volte dovrà fare i conti con la legge di Dio: come ci sono pescatori che senza il mare agitato non trovano il gusto d’andare al largo, così ci si potrà imbattere in lupi che, al fianco nostro, ci porteranno a vedere lune che nessuno ha mai visto. Non è solo avvisaglia di pericolo l’annuncio di Cristo di venire mandati in mezzo ai lupi: è anche un’annunciazione di sorpresa, seppur velata all’inizio. Del tipo: “Con il giusto lupo accanto, nella foresta ci si divertirà a dare la caccia al tesoro di nuove rivelazioni”.
E’ il lupo a render spettacolare l’avventura, a non renderla banale, a farti tenere dritte le antenne per non trasformare la missione di Cristo in un gioco da tavola. Tutte le grandi cose sono sempre cose avventurose che qualcuno saprà rendere affascinanti perchè capace di mostrartele in azione nel loro viaggio dalla complessità alla semplicità: “Tutto qui!” ti dirà. Sorprendendoti.
Di tutte le cose, questo è chiaro, la semplicità rimane la più difficile per chi la vorrà copiare: non si tratta solo di levare il superfluo perchè il necessario si possa manifestare meglio. La persona semplice è fine, attraente, colpisce chi è capace di guardare, ha gusto e stile. Della presunzione, nessuna traccia. Tanto che, quando ne incontri uno così, ti viene spontaneo dire: “Ma che fine ha fatto la semplicità?
Sembriamo tutti messi sopra un palcoscenico e ci sentiamo tutti in dovere di dare spettacolo, facendo ridere la gente”. Per Cristo, invece, l’unico spettacolo da gustarsi è tutt’altro: «Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore». Che il male, quand’incrocia la più piccola percentuale di bene, rischi di frantumarsi, è credere che il male non riuscirà a avere l’ultima parola. Anche se.