La uccide con quattordici colpi di punteruolo che teneva in tasca: sono più o meno coetanei i due ragazzi coinvolti in questa orrida faccenda di sangue. Le loro famiglie, entrambe d’umile estrazione, si conoscono per lavoro: coltivando i campi per conto terzi, la penuria fa sì che condividano la medesima abitazione. Si dividono abbastanza equamente il daffare: ai maschi il lavoro della terra, alle donne quello della casa. Assunta, la mamma della ragazza coinvolta, accudisce i figli di entrambi: Maria, la ragazzina coinvolta nella mischia, va a vendere le uova nella vicina cittadina di Nettuno. Il primo screzio fu della società adulta: il papà di Alessandro, rimasto vedovo, inizia a fissare in maniera obliqua la mamma della ragazzina, che rimarrà vedova pure lei. All’invito gaudente di fare cose un po’ allegre, la signora Assunta non manifesta interesse alcuno: lui, da padre-padrone, minaccia di chiudere i rubinetti alla famiglia. E lo fa: passa loro il cibo con il contagocce, inizia a contare ripetutamente le uova per la voglia di controllo. Maria, da parte sua, cresce in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini. Anche davanti ad Alessandro, che non smette di desiderarla. Nel paese, Maria la chiamano “un angelo di figlia”: una sorta di angelo in borghese che incede, senza cerimonie e turiboli, per le vie del paese. Una di quelle anime che, vedendole, ti attaccano addosso il profumo della bontà. Sanno di buono perchè sono buone. Luci nella notte.
Alessandro e Maria
Alessandro è invaghito pazzamente di Maria. E’ d’estate, la stagione in cui le canzoni sembrano scritte apposta per noi. Gli adulti stanno sbacellando le fave secche, mentre Maria, sul pianerottolo, sta rammendando una camicia di Alessandro. Lui si stacca dagli adulti con un pretesto e si avvicina a Maria: la invita ad entrare in casa, ma lei oppone resistenza. La strattona dentro, in cucina. L’intelligenza di Maria fiuta il non-detto di quella barbara situazione: «No, no, Dio non vuole, se fai questo vai all’inferno». Respinto, Alessandro reagisce con ancor più barbarie di prima: comincia a colpirla con un punteruolo che porta con se, mentre lei si divincola a più non posso. Accelera la sua ferocia il ragazzo: la colpisce alla pancia con quella specie di arma inumana. Maria: «Che fai, Alessandro? Tu, così, vai all’inferno» cerca di farlo ragionare. Quando la vede ridotta dentro una pozza di sangue, ormai morente, l’abbandona alla sua sorte: lo racconta lui, Alessandro. Noi ai giudici del tribunale di stato, a quelli del tribunale della Chiesa quando aprirà il fascicolo per valutare la santità della ragazza uccisa. La trova morente la mamma, condotta sul luogo del delitto dalle grida sconsolate, quasi mute, della sua figliola. Maria muore all’ospedale di Nettuno in seguito ai quattordici colpi di punteruolo infertili da Alessandro. Morendo, detta al mondo parole incomprensibili, per qucuno è pura follia: «Per amore di Gesù gli perdono: voglio che venga con me in Paradiso».
Un frate
Alessandro è condannato a 30 anni di carcere. “Bastardo, criminale. Disgraziato: sedia elettrica, l’ergastolo, macelleria” avrà gridato anche la gente del tempo. In certi istanti la gente ha una mentalità da boia senza avere poi il fisico per attuarla: ha bisogno dell’odio per alimentare il suo idealismo. Dentro la galera, Alessandro inizia a sognare Maria che, entrando, gli dice: «Tu verrai con me in Paradiso». Inizia la sua contrizione, sente il bisogno di convertirsi udendo queste parole. Lo fa, senza mezze misure. Dopo ventidue anni di detenzione esce dal carcere: va dalla mamma di Maria per chiederle perdono. La notte di Natale, come segno di pacificazione, ambedue si accostano alla Santa Comunione. Il 24 giugno 1950 Pio XII proclama santa Maria, di fronte alla mamma che, da una finestra del Vaticano, assiste in carrozzina. Alessandro, finito di scontare tutta la sua pena, chiede di entrare a fare parte dell’ordine dei Frati Minori Cappuccini. Vivrà in convento come un frate, fino in punto di morte, pur non prendendo i voti. Lavorando duramente, meditando sula sua vita. Sulla loro vita. Questa è la storia di Maria Goretti e Alessandro Serenelli, una vittima e il suo carnefice: è la storia di un orrido femminicidio finito in gloria. Se una cosa è accaduta una volta, è molto più facile riaccada piuttosto che se non fosse mai accaduta. Un giorno gliela racconterò, questa storia, a Filippo. Se lo incontrerò tra le celle della nostra galera di Padova. (Sulla strada di Emmaus).

«Bambina di Dio, tu che hai conosciuto presto la durezza e la fatica, il dolore e le brevi gioie della vita;
tu che sei stata povera e orfana,
tu che hai amato il prossimo instancabilmente, facendoti serva umile e premurosa;
tu che sei stata buona senza inorgoglirti ed hai amato l’Amore sopra ogni altra cosa;
tu che hai versato il tuo sangue per non tradire il Signore,
tu che hai perdonato il tuo assassino, desiderando per lui il Paradiso:
intercedi e prega per noi presso il Padre, affinché diciamo “sì” al disegno di Dio su di noi.
Tu che sei amica di Dio e lo vedi faccia a faccia, ottienici da lui la grazia che ti domandiamo (…).
Ti ringraziamo, Marietta, dell’amore per Dio e per i fratelli, che già hai seminato nel nostro cuore.
Amen»
(san Giovanni Paolo II)