Una doverosa premessa. Nel capitolo 11 del libro della Genesi viene raccontata la vicenda della torre di Babele e della confusione delle lingue che ne segue. A prima vista sembra una storia avvolta nelle nebbie del mito, una vendetta di un Dio preoccupato per l’intraprendenza umana, che cerca di spiegare come mai gli uomini, e i popoli, nella storia, non sono mai stati capaci di andare d’accordo e come hanno facilmente dimenticato chi li aveva creati.
La Torre di Babele
In realtà oggi più che mai sentiamo la presenza di una torre di Babele che non ci permette di dare a parole anche semplici un significato comune. Abbiamo più che mai bisogno di spiegare cosa vogliono dire per noi parole che prima avevano un unico e condiviso significato. E questo vale anche all’interno della comunità parrocchiale, dove alcune parole hanno bisogno di essere un po’ lucidate, rese trasparenti, accolte da tutti e da tutti condivise.
Il significato di amicizia
La parola di cui vi chiedo il significato è “amicizia”, che cos’è l’amicizia, in particolare l’amicizia dentro una comunità? L’amicizia è un sentimento importante, ma spesso ne viene distorto il significato. Possiamo utilizzare una semplice definizione: «È vivo e scambievole affetto tra due o più persone ispirato in genere da affinità di sentimenti e da reciproca stima». Nell’antichità il significato di amicizia non veniva distinto da quello di amore. Così affermava per esempio Platone nel IV secolo a.C.; qualche decennio dopo Aristotele definisce l’amicizia come benevolenza, una sorta di altruismo secondo il quale il proprio interesse si subordina a quello dell’altro.
L’essenza della carità infusa
Tommaso D’Aquino, nel XIII secolo, vede nell’amicizia l’essenza della carità infusa, in quanto percorre la stessa strada della giustizia. Ma amicizia è stato anche il nome che doveva unire membri di alcune società segrete, oppure è stata innumerevoli volte proclamata e subito tradita, formulata con le labbra, ma smentita nel cuore e nelle azioni. Difficile è quindi dare una definizione assoluta, valida nelle varie culture e nei vari periodi storici. Ma esiste un metodo semplice per verificarne il significato per una persona: la sua utilizzazione, la sua concretizzazione. Questo semplice metodo vale anche per la vita cristiana: tutti proclamano di essere amici, ma il comportamento individuale rivela come questa parola sia disattesa, confusa; talora, si spera in buona fede, addirittura capovolta quando il proprio tornaconto (che ci porta a ritenerci più adatti di altri a un determinato ruolo), il proprio modo di agire (ritenuto l’unico giusto), un falso concetto di tradizione (che tende a rinnovare acriticamente il passato per paura di affrontare il presente e il futuro), prendono il sopravvento sull’amicizia.
Come far crescere la vera amicizia
Come fare crescere la vera amicizia anche dentro la comunità parrocchiale? La risposta è semplice: la conoscenza precisa e responsabile del ruolo che si sta esercitando favorisce il diffondersi della vera amicizia, che diventa poi comprensiva dei bisogni, delle opinioni, dei sentimenti, dei desideri degli altri. Coltivare l’amicizia significa essere disponibili ad andare oltre le proprie opinioni e abitudini, riconoscendo la propria limitatezza e il bisogno di imparare dagli altri. L’amicizia infine è vera quando le persone che vogliono viverla si sentono sullo stesso piano, possiedono sogni, desideri, speranze comuni; quando si possono guardare negli occhi senza invidia riconoscendo nella differenza rispetto all’altro un dono e una ricchezza da scambiare. All’interno della parrocchia, per un suo migliore funzionamento, occorre lasciare spazio all’amicizia concordemente intesa, perché solamente così emergerà quella solidarietà nel servizio all’altro.