Gesù disse a Simon Pietro: «Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro?» […] e detto questo aggiunse: «Seguimi» (cfr. Gv 21,15-19). Tutta la cultura moderna si basa sul “farsi amare”. Tutti i gesti che le sono propri mirano al “farsi amare”. Noi siamo dipendenti da questa smania del “farci amare” tanto che assumiamo svariate maschere proprio per essere amati, considerati, favoriti, privilegiati, ammirati e serviti.
Non importa che cosa siamo, ma come appariamo; non importa che cosa pensiamo, ma che cosa diciamo e come agiamo. Non importa come ci valutiamo dentro di noi, ma come ci valutano gli altri. Non importa essere, ma apparire. Abbiamo bisogno di farci amare per trovare un senso alla nostra vita e a ciò che facciamo; in quanto siamo amati dagli altri dipende il valore della nostra esistenza; esistiamo perché gli altri ci amano e quando scorgiamo crepe in questo amore ricevuto andiamo in crisi, ci sentiamo inutili, la nostra vita non ha più significato.
L’uomo contemporaneo crede di poter fare a meno di Dio perché vuole eliminare ogni dipendenza, ogni senso di figliolanza e quindi di relazione paterna. La morte di Dio è la morte del padre, inteso come riferimento di dipendenza che condiziona, nel bene e nel male, la nostra esistenza. La nostra libertà dipende, nel pensiero debole di oggi, dall’eliminazione di ogni relazione di dipendenza; non abbiamo più nessun creatore, perché Dio è morto, e noi siamo i soli creatori di noi stessi. In realtà tutto ciò non è vero: l’uomo che vuole liberarsi da ogni dio se ne crea di suoi, nuovi vitelli d’oro, che potrà gestire meglio, servire meglio, dai quali pretenderà un ritorno dovuto, dai quali si farà amare proprio perché li ha costruiti.
L’uomo d’oggi non vuole amare in maniera gratuita, ma farsi amare in maniera interessata. Comprendiamo allora come ogni suo gesto sia mirato a un ritorno d’immagine, di favori, di denaro, di potenza, di stima, di significato e di preminenza. Il nostro Dio sulla croce è l’immagine di uno sconfitto, di uno talmente solo e poco amato da avere pochissimi seguaci a vederlo morire. Come si fa ad amare un dio del genere? Un dio che non sa farsi amare.
Certo, perché è un Dio che ama e vuole che io lo ami così come è, sulla croce, sconfitto, ma in attesa della vittoria sulla morte. Come aveva chiesto al suo popolo per centinaia di anni di amarlo fidandosi di lui, con i segni della sua presenza nella storia.
E nella pienezza dei tempi questo amore si è fatto carne, un uomo che continua a chiedere all’uomo «Mi ami tu?». Gesù chiede a Pietro di amarlo e, dopo averglielo chiesto più volte, gli offre il modo per realizzare tale amore: «Seguimi». È significativo che tra la domanda e la sua realizzazione ci sia il martirio: la prova dell’amore di Pietro verso Gesù sarà seguirlo sulla croce. La domanda di Gesù e la risposta dell’Apostolo sono unite dal martirio, che è testimonianza proprio di quell’amore gratuito che il discepolo ha imparato dal Maestro e ha messo in pratica.
Anche il cristiano qualche volta cerca relazioni o compie gesti perché sente il bisogno di farsi amare. Può essere anche una cosa positiva, se nel cuore sentirà la risposta di Pietro: «Signore, tu sai che io ti amo».