Tante volte sentiamo proclamare dalla voce di personaggi influenti che la diversità è una ricchezza, che il convivere con persone diversamente abili è un’opportunità per migliorare la nostra umanità, il nostro rapporto con gli altri. È un fatto di giustizia, prima ancora che di solidarietà. Spesso sentiamo dire che la ricerca di equilibrio tra le diverse capacità delle persone è uno degli scopi più importanti della scuola e, in generale, di ogni strumento di cultura, educazione, formazione. Non si può insegnare la storia, dandone quindi giudizi di merito sui vari suoi avvenimenti e su i suoi personaggi, condannandone gli episodi di ingiustizia, di sopraffazione, di discriminazione, senza poi accorgersi che proprio tali discriminazione e ingiustizia sono presenti in tanti comportamenti propri o in quelli che vediamo negli altri e che accettiamo in silenzio.
Gli episodi di discriminazione
I recenti episodi di discriminazione tra persone disabili e persone “normali” ci mostrano quanta strada si debba ancora percorrere verso un’accettazione piena e responsabile delle diversità presenti nelle persone. Accettazione non è solamente prenderne atto e cercare di trovare una mediazione tra le varie esigenze, ma è credere fermamente che proprio questa diversità tra le persone è un fattore di crescita comune, di maturazione sociale ed etica, di solidarietà concreta e di giustizia visibile. Si cercano spesso nella tecnologia e nella cultura quei parametri per valutare il grado di civiltà di una società: ebbene, forse, senza nulla togliere a quei valori, li si dovrebbe ricercare nel grado di solidarietà e di vicendevole arricchimento nella diversità.
Felicità e giustizia
È proprio dalla capacità di far fruttare al meglio le varie forme di presenza umana nel nostro tessuto sociale che deriva felicità e giustizia; è dallo sforzo di ricercare le modalità più adatte alla crescita comune e al coinvolgimento di tutti nelle varie attività che si matura come cittadini e si costruiscono “case comuni” giuste ed adatte a tutti. Soprattutto poi negli ambienti deputati in particolare all’educazione – allo sviluppo non solamente di conoscenze tecniche o linguistiche, ma di giustizia e solidarietà sociale –, nella scuola cioè, si deve porre maggiore attenzione affinché vengano proposti in maniera attiva e concreta quei valori che devono appunto sostenere il nostro vivere civile.
La presenza “fastidiosa”
È difficile pensare che l’unica soluzione alla presenza “fastidiosa” (perché crea problemi) di una persona disabile sia la preclusione di alcune attività, soprattutto quelle che favorirebbero invece la sua integrazione con il resto dei compagni di classe. Quante volte allora in quelle classi si è affrontato seriamente e in maniera educativa il problema di questa integrazione? Nei documenti ufficiali e nei discorsi è sempre citata e rimarcata, ma nella vita concreta, nelle attività normali di una classe scolastica, non si riesce ad attuarla e si ricercano soluzioni ambigue e spesso degradanti e umilianti per le persone disabili. E questo vale non solamente per l’ambito studentesco, ma soprattutto per coloro che operano nella scuola come insegnanti o dirigenti: si va in gita scolastica per vedere anche ciò che di brutto ci insegna la storia (nel caso specifico un campo di concentramento), ma nel piccolo di una classe non si ha la capacità di educare i propri studenti alla convivenza reale e condivisa con una compagna di classe diversamente abile.
La tua diversità è anche una mia ricchezza
Ci sono anche i genitori che, con gli insegnanti, non sono riusciti a incanalare e prospettare in maniera positiva ed educativa i problemi sorti, lasciando che venissero gestiti, con la difficoltà e gli imbarazzi tipici dell’età, dai loro figli. È quindi mancata la figura di qualcuno che potesse dire chiaramente come ci si dovesse comportare, anche se ciò avrebbe generato dissapori o critiche; è emerso il solito vizio di non prendersi le proprie responsabilità e di affrontare in maniera superficiale ed approssimativa un problema che invece superficiale ed approssimativo non era per la persona con disabilità. La nostra società ha mostrato una volta di più quanto abbia ormai abbandonato quel substrato culturale e religioso che vedeva in ogni persona un fratello e una sorella, con pari diritti perché cittadino e perché figlio di Dio, diversa nelle capacità, ma uguale nella dignità, con la quale convivere nella comune ricerca della felicità e dell’amore reciproco. Non siamo più capaci di dire, e soprattutto di rendere concreta la nostra affermazione: “La tua diversità è anche una mia ricchezza, la mia e la tua libertà vanno insieme perché insieme camminiamo sulla strada della vita”.