La missione di pace vaticana, che Papa Francesco di ritorno da Budapest ha rivelato essere in corso tra Ucraina e Russia, dovrebbe, se possibile, accelerare il suo corso il prima possibile. Il drone che ieri è esploso sul Cremlino, vicino alla bandiera russa, è uno smacco senza precedenti per il presidente Putin. Difficile che fosse un’azione per ucciderlo, ma l’episodio ha avuto un’altissimo valore simbolico.
Il drone sul Cremlino
Che un drone arrivasse sul palazzo del potere più importante di Mosca era, ed è, impensabile. Se si temeva un’escalation nel conflitto, il piccolo drone esploso nel cuore della Piazza rossa è un’opportunità colossale per i falchi del Cremlino. “E’ stato un attentato alla vita del capo della Federazione” ha fatto subito sapere il ministero degli Esteri russo. Zelensky ha negato. “Non attacchiamo Putin o Mosca, lo lascino al tribunale” ha detto il presidente ucraino. Che sia stato un drone di Kiev o un drone mandato dagli oligarchi russi, come dice qualcuno, al momento non è dato a sapersi. Quello che si sa è che la pace, oggi, sembra sempre più lontana. Papa Francesco ha sempre ribadito di essere disposto a fare tutto quello che si deve fare per trovare una soluzione diplomatica alla guerra.
Le riflessioni di Parolin
Proprio ieri il segretario di Stato vaticano, Parolin si è detto convinto che “tutte le azioni belliche soprattutto se servono a creare un clima più di ostilità, non avvicinano certo la pace. Non so se ci sono le condizioni oggi per un cessate il fuoco. Speriamo… credo che anche questa iniziativa – se ci sarà – del Vaticano dovrebbe andare in quel senso. Come sempre abbiamo detto si vorrebbe arrivare a una cessazione dei combattimenti e poi avviare un processo di pace”. Quasi un presagio. La situazione continua a diventare sempre più complicata.
Ucraina e Russia negano la missione di pace
Kiev e Mosca hanno entrambe dichiarato in questi giorni di non essere al corrente di iniziative diplomatiche del Papa. “A mia conoscenza, erano e sono a conoscenza” della missione”, ha detto Parolin. “Direi che, se non fosse la spiegazione più semplice, che mi sorprende e non so a quale motivazione o ragionamento risponda” – ha concluso il segretario di Stato. Le missioni segrete, in quanto tali, non devono essere rivelate. La diplomazia, di solito, lavora lontano da occhi e orecchie indiscrete. Se Papa Francesco ne ha parlato avrà avuto le sue ragioni. “La pace si fa sempre aprendo canali, mai si può fare con le chiusure” è il mantra vaticano. E forse non è un caso che ieri, al termine dell’udienza generale in Piazza San Pietro, al momento del ‘baciamano’ sul sagrato vaticano, papa Francesco ha salutato per primo il metropolita ortodosso Antonij di Volokolamsk, presidente del Dipartimento delle relazioni esterne del Patriarcato di Mosca. Il Papa ha baciato la croce pettorale di Antonij e scambiato con lui doni e alcune battute. In passato Antonij, successore di Hilarion come ‘ministro degli esteri’ del patriarca Kirill, è stato rettore della chiesa di Santa Caterina Martire a Roma, a due passi dal Vaticano. Il metropolita era stato invitato espressamente da Papa Francesco.
Il metropolita ortodosso
“Durante la conversazione – si legge in un comunicato del Patriarcato di Mosca – Papa Francesco e il metropolita Antonij hanno toccato una serie di temi di attualità delle relazioni interconfessionali”. Giusto per specificare, in modo abbastanza goffo, che non si è parlato di null’altro che delle relazione tra le due Chiese. Improbabile. Quello tra le due confessioni è stato il primo canale diplomatico ad essere utilizzato, ma non è l’unico. La nostra speranza è che le parole di Francesco diventino presto il terreno di lavoro per gli uomini di buona volontà: dare alle giovani generazioni un futuro di speranza e non di guerra, un avvenire pieno di culle e non di tombe.