Al Bano compie 80 anni e si racconta: «Emigrato a Milano ho lavorato anche alla Innocenti e per resistere alla catena di montaggio cantavo tutto il giorno». Botte e rimpianti: «Provai a menare D’Agostino davanti ai Ricchi e Poveri. Dovevo suonare con Michael Jackson, ma lui morì prima»
L’intervista
Al Bano che nome è?
«Mio padre Carmelo era sul fronte albanese. Una granata centrò in pieno due suoi compagni e li spappolò. Lui si finse malato…».
Come fece?
«Surriscaldava una pietra, la metteva sotto l’ascella, la lasciava cadere, e gli trovavano il febbrone. Riusciva a sputare sangue, mai capito come. Così lo mandarono nelle retrovie. Gli albanesi gli aprivano le loro case, lo facevano dormire nella paglia, lo sfamavano con il granturco. Poi tornò a Cellino in licenza». (…)
La prima volta che andò via da Cellino dove era stato?
«A San Giovanni Rotondo, da padre Pio: mi confessò, ricordo il profumo di rose. Poi a Milano. Andai a fare l’imbianchino. Dormivo in cantiere, al Giambellino, in una stanza al pianterreno, alla luce di quattro candele. Ma non mi pagavano. Ero rimasto con mille lire. Andai alla Standa, a comprare sette michette e la carne in scatola. Vidi la Simmenthal e le lattine con la scritta “Ananas”. Pensai a una sottomarca. Le aprii: “Mamma mia quant’è gialla la carne a Milano!”. Ho mangiato pane e ananas per una settimana». (…)
Cos’è accaduto a Ylenia?
«Era una ragazza straordinaria. Studiava al King’s College di Londra. Parlava inglese, spagnolo, francese, portoghese. Venne a Mosca con noi e imparò un po’ di russo, la sera Romina e io andavamo a dormire e lei scendeva sulla Piazza Rossa a vedere il cambio della guardia al mausoleo di Lenin. Poi ci accompagnò negli Usa, a girare un docufilm, l’America perduta. Andammo da Los Angeles a New Orleans. E lì fece l’incontro fatale».
Quale?
«Gli homeless. Gli artisti di strada. Ricordo un nero, si chiamava Masakela. Una sera la compagnia andò al cinema, ma io rimasi con Ylenia perché avevo notato qualcosa di strano. A un tratto cominciò a correre, e io dietro, lei gridava “fermate quell’uomo vuole farmi del male”, e quell’uomo ero io, gridavo “lasciatemi, è un problema di droga”. Mi seminò, la ritrovai il mattino alle 8. A sua madre disse che aveva rischiato la vita sulle acque del Mississippi». (…)
E nella notte del Capodanno 1994 scomparve.
«Ho ricostruito quella notte ora per ora. Ho parlato con i testimoni. Ho incontrato Masakela, che era stato pure in galera, ma negava di avere colpe. Ho interrogato l’ultima persona che l’ha vista, il guardiano del porto. Era seduta in riva al fiume, lui la avvisò: non puoi stare qui. Ma Ylenia non se ne andava. Il guardiano insistette, allora lei gli disse “io appartengo alle acque”, e si tuffò nel fiume, nuotando a farfalla. Lì capii che il guardiano stava raccontando la verità, perché Ylenia diceva quella frase da bambina prima di tuffarsi, e nuotava a farfalla. Ma il Mississippi non perdona. Romina non l’ha mai voluto accettare. Ma è andata così». (…)
Lei crede sempre che Dio esista?
«Non è che credo; lo so. L’ho sentito molte volte. Così come ho sentito il diavolo».
Il diavolo?
«Dopo la scomparsa di Ylenia e la separazione con Romina, sono stato da solo per nove anni. Il dolore era terribile. Pensavo che Dio mi avesse abbandonato. E con il dolore cresceva una voce che diceva: “Al Bano eliminati. Al Bano falla finita”».
Ha pensato al suicidio?
«Sì. Ma poi ho capito che era la voce del demonio. E ho sentito anche la presenza di Dio. Ho provato una pace profonda. Mi sono detto: chi sei tu per giudicare Dio? Ricordati che anche Lui ha perso un figlio».
Come immagina l’Aldilà?
«Non oso pensarlo. Spero sia il luogo in cui ogni pena sarà consolata, ogni cosa troverà senso. Spero che il Signore mi accoglierà tra le sue braccia. Quando lavoravo nei campi c’era una cappella votiva diroccata; giurai: se avrò successo, la restaurerò. Ora al posto di quella cappella c’è una chiesa».
Se è per questo, don Verzé mi disse che lei era uno dei più grandi benefattori dell’ospedale San Raffaele.
«La beneficenza si fa, non si dice. Ho avuto dei segni. Quando incontrai madre Teresa di Calcutta, mi parve di rivedere mia madre: stesso volto olivastro, stesse rughe. Pioveva; un raggio di sole squarciò le nubi, le colpì il viso e la seguì nella camminata».
Come trova Papa Francesco?
«Straordinario. Ma il mio Papa fu Wojtyla, per cui ho suonato sette volte».
Cosa pensa di quel che ha detto il fratello di Emanuela Orlandi?
«Nessuno come me può comprendere la sofferenza del familiare di una ragazza scomparsa. Ma non deve dire queste cose di Giovanni Paolo II. Se avesse avuto una debolezza, i suoi nemici l’avrebbero sfruttata. Ricordiamoci che fu il primo Papa a gridare contro la mafia».
Estratto dell’ articolo di Aldo Cazzullo per il Corriere della Sera