E’ da ieri che l’odio sta regalando alla gente il dono dell’eloquenza: parlano, scarabocchiano, ragionano con una mentalità da boia, senza averne il fisico. È che, in casi come quello di Giulia e Filippo, sembra funzionare sempre uguale: «La disgrazia altrui consolida la propria felicità» (E. Schmitt). Non si ha mai nulla a che vedere quando accade qualcosa che assomigli, anche solo di striscio, all’orrore: l’umorismo da trincea illude di sopportare meglio il dolore. E l’odio, certi giorni, ti fa improvvisare oratore. Nella nostra galera, durante l’omelia della messa di ieri, riscrivo la domanda di Dio a Caino davanti ai nostri ragazzi: “Filippo, dov’è Giulia, tua sorella?” Il mio è un punto di domanda a me medesimo. La risposta, poco prima dell’inizio della messa, me l’aveva già data Giuseppe, protagonista suo malgrado dell’ultima puntata di Amore criminale su Rai3: “Porca miseria, don – mi dice -: che effetto disastroso vedere la storia di Giulia in tv”. Sono parole di ghiaccio le sue, carta vetrata sul velluto: anche Giuseppe, anni fa, ha percorso la stessa identica strada di Filippo. Anche il suo, per svignarsela al più presto, l’hanno definito un “delitto passionale”. La passione, però, è vita e amore: scusate, c’è un qualcosa di passionale in un omicidio? Poi, stordito come un passero dopo una sassaiola, cala l’asso da novanta: “Sto rivedendo me in Filippo: ho la testa che mi scoppia. Non so se reggo tutta la messa: se esco prima, porta pazienza”. Rimarrà fino alla fine: inchiodato alla sedia. Giuseppe è uno di questi: poi c’è Michele, Nicola, Giacomo, Giosuè, Attilio. Mi fermo, anche se la lista di uomini – uomini che hanno anticipato Filippo in macelleria – è più lunga qui dentro. “Prima o poi finirà la benzina e si farà beccare. Funziona così, credimi” mi dice. Mentre stiamo celebrando messa, Filippo viene arrestato in Germania: tecnicamente ha finito la benzina e i soldi. Anche metaforicamente ha finito la benzina: da come si fa arrestare, capisco l’anticipazione di Giuseppe. Ha percorso quella strada e non sbaglia sui zig-zag della testa e del cuore di chi scappa.
Giulia
Giulia e Filippo, fotografati assieme, innervosiscono il pubblico: “Smettetela di far vedere quella foto assieme. Vergognatevi!” Invece, la notizia, è che nella storia quella foto rimarrà per sempre la foto della loro lapide mediatica: per sempre assieme, tanto che nemmeno morte li separerà. Nemmeno nella memoria della giustizia verranno divisi: certi gesti, d’amore e d’odio, legheranno per sempre come pesto sulle trofie. Celebrando messa, mi accorgo che più di uno qui in galera, ha la netta sensazione di ascoltare il suo diario segreto e vergognoso letto ad alta voce sui giornali: “Ci sono passato anch’io, don: conosco le mani addosso, la sicurezza del coltello, l’occultamento del cadavere, la fuga. Da se stessi. Poi l’arresto. Io, dopo aver incelofanato il cadavere, per buttarla nel burrone quella volta ho dovuto mettermi in ginocchio da quanto pesava a peso morto. In ginocchio: non ti pare strano?” Anche i soldati, quando sparano, si mettono in ginocchio: nella morte, forse, c’è già un anticipo di scusa? Con buona pace di Giuseppe e delle tante, e anche troppe Giulie, sembra un disco rigato ormai da buttare: nessuna ha mai la netta intenzione di uccidere qualcuno, ma la disperazione ragiona in maniera diversa. “Ricordati dei nostri fratelli defunti, in particolare oggi ti ricordiamo Giulia”: pronuncio lentamente il suo nome a messa, faccio quasi spelling del suo nome. C’è bisogno, in certi attimi, di ritrovarsi davanti il volto annientato in tutta la sua potenza. Quel volto, quello che avrebbe il diritto di prendersela di più di tutti, adesso è un cadavere: non è più in grado di protestare. G-i-u-l-i-a: nessuno ha il potere sulle circostanze, tutti hanno il potere sulle scelte. È che gli uomini, per sgravarsi dalle colpe, hanno fatto diventare Hitler poco più che una caricatura. Hitler è l’altro: qui giace l’errore. E’ in corso una tragedia immane e, fra tre giorni, nessuno ci farà più caso.
L’amore vero non umilia
Il papà di Giulia, Gino, piange con la dignità della Madonna sul Calvario: «L’amore vero non umilia, non delude, non calpesta, non tradisce e non ferisce il cuore. L’amore vero non urla, non picchia, Non provo odio. Spero viva a lungo, da capire quello che ha fatto». Il papà di Filippo, a pochi km di distanza, pigia sull’acceleratore: «Avrei quasi preferito che la cosa finisse in un altro modo», dice. A Napoli, le mamme dei miei “ragazzi” assicurano che è meglio “il suono delle cancella che quello delle campane”. Giulia, oggi, non c’è più: “Riposa in pace, ragazza dai mille sogni. Perdonaci l’infamia”. Filippo, oggi, c’è ancora: gli toccherà vivere anche la vita di Giulia. Per sempre insieme. Se, fra qualche tempo, soggiornerà qui da noi in galera, ripartiremo esattamente da qui: «L’amore vero non picchia, Pippo». Una sedia elettrica, al confronto di queste parole, sembra una carezza di madre.