Continua la pubblicazione, a puntate, del volume “ Sono giovani i santi”, di fra’ Gianluigi Pasquale, edito da “La Fontana di Siloe” di Torino. Oggi il ritratto di Andrea Giacinto Longhin.
Frate cappuccino e vescovo
Andrea Giacinto Longhin nasce a Fiumicello di Campodarse- go (Padova) da Matteo e Giuditta Marin, contadini fittavoli, il 22 novembre 1863. Il giorno seguente viene battezzato coi nomi di Giacinto Bonaventura. Il 27 agosto 1879 inizia il noviziato nel convento dei Cappuccini a Bassano del Grappa (Vicenza) con il nome nuovo di fra Andrea da Campodarsego. Nel 1880 viene trasferito a Padova per gli studi umanistici nel ginnasio-liceo di quel convento e quattro anni dopo passa nel convento del Santissimo Redentore in Venezia per gli studi teologici, dove, il 19 giugno 1886, a 23 anni, viene consacrato sacerdote. Il 18 aprile 1902 viene eletto ministro provinciale dei Cappuccini del Veneto e Friuli Venezia Giulia e due anni dopo, il 13 aprile 1904, Pio X (1835-1914) lo nomina vescovo di Treviso, della cui diocesi rimarrà pastore fino al 1928, essendo stato poi nominato arcivescovo titolare di Patrasso. Durante il suo servizio episcopale nella marca trevigiana, oltre a celebrare il Sinodo diocesano nei giorni 24-26 aprile 1911 e a portare a compimento tre visite pastorali, viene nominato visitatore e amministratore apostolico delle diocesi di Padova (24 marzo-15 ottobre 1923) e di Udine (2 agosto 1927-4 ottobre 1928). Muore a Treviso il 26 giugno 1936 dopo quasi nove mesi di sofferenza per arteriosclerosi prosenile. Il 21 aprile 1964 viene introdotta la causa di beatificazione, che è stata celebrata a Roma da Giovanni Paolo II il 20 ottobre 2002. Le sue venerate spoglie riposano ora in un apposito altare laterale nella cattedrale di Treviso.
La sua statura spirituale
Per capire la sua statura spirituale non si può prescindere dal particolare contesto storico in cui è avvenuta la sua formazione religiosa. Nel 1867, pochi mesi dopo l’annessione del Veneto all’Italia, furono sciolte anche in questa regione le associazioni cattoliche e soppressi gli ordini religiosi. Per i Cappuccini veneti fu una bufera. Riuscirono a salvare qualcosa di conventi e di opere, ma furono trascinati in un vortice di ostilità culturale e logorio morale. Proprio da queste difficoltà si sentirono spronati a ritornare con spirito militante al rigore originario: osservanza regolare, disciplina austera, vita spirituale intensa. La cura vocazionale, inoltre, suggerì loro l’istituzione di seminari minori, per la formazione spirituale e la opportuna istruzione umanistica dei giovani candidati. Il giovane Longhin visse questa temperie. La radicalità cappuccina nel noviziato di Bassano del Grappa, gli studi umanistici e filosofici a Padova, quelli teologici a Venezia, impostati sul tomismo, con l’integrazione dei temi francescani di san Bonaventura, formarono il nocciolo della sua spiritualità e della sua cultura. Il buon livello dello Studio Teologico Cappuccino veneziano, tutt’ora presente, era riconosciuto da tutti, e di questo si ha una riprova nei personaggi dotti e santi che da esso sono usciti.
La gioventù
Diventato sacerdote, per quattordici anni p. Andrea da Campodarsego fu impegnato nella direzione spirituale e nell’insegnamento dei giovani Cappuccini. Diede agli altri quello che aveva ricevuto, ma anche quello che personalmente aveva elaborato: questo impianto culturale e spirituale lo alimenterà anche durante i trentadue anni di episcopato. Tra gli autori, le scuole spirituali e teologiche di cui il Longhin si è nutrito, al primo posto stanno certamente i Padri della Chiesa, primo fra tutti sant’Agostino: essi sono allo stesso tempo esegeti della Scrittura, maestri della fede, guide sicure di vita spirituale; poi, se si tiene conto del «ritorno al tomismo» voluto da Leone XIII, san Tommaso d’Aquino, considerato allora il primo dei teologi, il quale, oltre a garantire sicurezza dottrinale e serietà scientifica, propugna autorevolmente quell’unità della vita spirituale e teologale che è tema particolarmente amato dal Longhin. Rilevante è il posto dato alla teologia e alla spiritualità carmelitana. Santa Teresa d’Avila e san Giovanni della Croce sono per il Longhin maestri di orazione, guide illuminate nei passaggi difficili della vita spirituale. È lecito pertanto chiedersi: di francescano cos’ha? Credo che non si sbagli se si afferma: la sapientia cordis di Francesco, di Bonaventura, di Duns Scoto, di Lorenzo da Brindisi acquisita piuttosto attraverso la frequentazione feriale dei loro discepoli, i frati, la quale soltanto assicura un’adeguata assimilazione esistenziale di quanto i maestri francescani propongono nelle loro opere. Infine, colpisce nell’insegnamento del Longhin la larghezza con cui egli attinge agli autori cristiani, antichi e contemporanei, senza mai cedere alle mode; egli si nutre di studiosi seri di spiritualità, di pastori illuminati, e di scrittori santi, convinto che per parlare bene di Dio bisogna avere fatto esperienza di lui.
La «comunione di affetti» con san Pio X
Se Pio X era persuaso di aver dato a Treviso un santo vescovo, Longhin si convinse sempre più, man mano che passavano gli anni, che papa Sarto era un santo. Subito dopo la morte ne venerò la memoria, sentì suo dovere vivere e far vivere alla diocesi la grande eredità della sua riforma, ebbe la gioia di realizzare il processo ordinario diocesano per la sua beatificazione (1923-1926). Scrisse allora: «Si tratta di Pio X, col quale abbiamo avuto consuetudine di vita, comunione di affetti, promiscuità di lavoro, amicizia cara, preziosa, duratura».Considerava una grazia e un privilegio essere stato amico di Pio X. Avere collaborato con lui fedelmente, condividendo convintamente gli ideali di riforma, fu un suo grande merito; avergli obbedito sempre come fa un figlio verso il padre fu sua singolare virtù; averlo bene interpretato nel pensiero e nell’azione fu intelligenza pastorale. Gli studiosi hanno messo in luce una differenza notevole esistente tra il vescovo del primo periodo (fino alla guerra) e il vescovo del secondo periodo (tra le due guerre). A ciò avrebbero concorso tre fattori: un decennio di esperienze pastorali diocesane, specialmente con le visite pastorali; la drammatica vicenda della guerra che fu per lui prova di eroismo; la morte di papa Pio X, la quale lo rese pastoralmente maturo, originale, ricco di umanità, determinato. È facile convincersi che per conoscere la complessa figura del vescovo Longhin, tutti e tutto possono concorrere, ma che la chiave d’interpretazione stia nel suo essere stato Frate Minore cappuccino, nella sua esperienza pastorale, nella sua personalità matura e nella sua santità.
Autentico pastore nella Chiesa del suo tempo
Fin dall’inizio della guerra mons. Longhin aveva deciso per sé di restare in mezzo alla sua gente, per condividerne le sofferenze e per soccorrerla in ogni modo possibile; altrettanto suggeriva ai parroci. Ma quando, con la disfatta di Caporetto (24 ottobre 1917), sembrò iniziare l’invasione austro-tedesca e l’ordine di evacuazione sembrava imminente da parte del generale Graziani, il vescovo anticipava un suo monito al clero in data 5 novembre 1917:«La parola d’ordine per tutti i parroci sia quella di stare al loro posto in mezzo ai cari figli». Solo se i parrocchiani fossero stati obbligati all’evacuazione, i parroci li avrebbero seguiti curando che restassero uniti. Dalla provincia di Treviso partirono 138 mila profughi, per le più diverse regioni d’Italia. Il vescovo restò in città, che invece fu abbandonata da tutte le autorità civili e dagli uffici pubblici: la provincia a Modena, il municipio a Pistoia, l’ospedale civile in Brianza, la casa di riposo a Piombino Dese (Padova). Fuggire era, per la povera gente, andare incontro alla fame e favorire i saccheggi. Molti cittadini, partendo, consegnavano le chiavi di casa e dei negozi al vescovo, il quale si trovò, così, a gestire la vita cittadina.
Le relazioni
Nelle relazioni del Longhin con i vescovi ci si imbatte in due esperienze difficili e delicate, da lui affrontate con responsabilità, amore di verità e sincera fraternità episcopale. Nel 1923 fu inviato dal papa come amministratore apostolico a Padova per sei mesi; tra il 1927 e il 1928 fu visitatore e amministratore apostolico di Udine, a motivo di tensioni che si erano create tra quei vescovi e il loro clero. Il vescovo Luigi Pellizzo di Padova aveva dato troppa libertà d’azione al suo vicario generale, che aveva scelto collaboratori di curia a lui graditi, aveva amministrato l’economia diocesana con arbitrio e aveva assecondato una pseudo-mistica; il clero si era, così, diviso tra il vescovo e il suo vicario. Mons. Longhin ascoltò tutti, chiamò il clero in ritiro spirituale, cercò di prevenire campagne scandalistiche, si servì dei preti saggi capaci di fare chiarezza e di calmare gli animi. Quando fu nominato come successore del Pellizzo il vicentino Elia Dalla Costa (1872-1961), il clero era tornato sereno e unito. Più complessa si rivelò la situazione a Udine nel 1927. L’arcivescovo Anastasio Rossi (1864-1948), di origine pavese, era stato costretto ad allontanarsi dalla diocesi per forti contrasti con il clero. Il Longhin gli era amico, e per questo gli costò affrontare il duro compito di visitatore-inquisitore. Interrogò personalmente i 550 sacerdoti diocesani; di essi 280 risultarono contrari al vescovo accusato di essere scappato da Caporetto, di essere troppo filoitaliano e simpatizzante del fascismo. Il Longhin, nella sua relazione, mette in luce le doti e i meriti pastorali del vescovo rispondenti al vero, documentati, e insieme anche gli errori, specialmente quello di non aver coltivato il dialogo col suo clero per chiarire tanti equivoci e recuperare la fiducia e la collaborazione. Mons. Rossi fu rimosso con una promozione e la pace ritornò in diocesi con la venuta del nuovo vescovo Bogara. In tutta la vicenda il Longhin coltivò una fitta corrispondenza col suo confratello ritirato a Varese presso parenti, sempre assicurandogli amicizia, stima, sincerità e solidarietà. Ma dialogo e vicinanza coltivò anche con i sacerdoti di Udine, condividendo la tragedia che colpì la zona del Friuli nel marzo del 1928.
La rivoluzione culturale della santità
Oltre al resoconto storico che inserisce la figura del beato vescovo di Treviso nel contesto ecclesiale del suo tempo, non va, però, dimenticato che Andrea Giacinto Longhin è stato pure raffinato studioso di teologia e di retorica. Ed è opinione di chi qui scrive che anche questo tratto abbia affinato nel beato da Fiu- micello di Campodarsego (Padova) quella statura di santità che, così, facilmente si corrobora mediante la contemplazione della fede che pensa[1]. A supporto di questa tesi, vi è un singolare «umile omaggio degli studenti Cappuccini di Sacra Teologia del Convento di Venezia»[2], sconosciuto ai più, dove, nel capitolo secondo scritto da un anonimo studente e intitolato «L’Apostolo» emerge chiaramente quanto p. Andrea Giacinto, Lector Sacrae Theologiae, proprio mediante la lettura e il successivo commento teologico della Sacra Pagina influenzasse la tensione alla santità per sé e in chi lo ascoltava[3]. Se vedo giusto, il teologo cappuccino Andrea Giacinto sapeva coniugare il peso del pensare teologico – designabile, per quel tempo, come «apologetica» – con il richiamo alla santità di Dio, adattabile nel decorso della storia alla disponibilità di ogni cristiano, qualora egli ascolti la voce suadente dello Spirito[4]. Cosa che gli riuscì successivamente anche da vescovo. È la penna dello storico, per esempio, a ricordarci come egli «manifestava il suo desiderio che ogni anno fosse celebrata solennemente la festa di san Tommaso, non solo con gli atti di culto, ma anche con qualche conferenza o disputa di indole teologica o filosofica»[5]. Ed è ancora una volta lo storico a presentarci un Longhin non solo teologo, ma anche appassionato catecheta: «Se non erriamo, la prima diocesi veneta che adottò il compendio [del catechismo] romano fu Treviso con mons. Longhin. Egli inoltre, pregato dai suoi parroci, mise subito tutte le preghiere all’inizio del catechismo, non ai capitoli II e III delle Prime nozioni, dove si trovavano»8. D’altronde non è stata forse proprio la preparazione teologica, catechetica e spirituale che ha spinto il beato Andrea Giacinto Longhin a una costante e ostinata predilezione, nella sua veste di vescovo cappuccino e diocesano, per tutto ciò che il mondo del suo tempo rifiutava considerandolo inutile e poco efficiente? Nel Longhin noi riceviamo oggi un esempio nella nostra storia che richiama con forza alla santità di uomini e donne che hanno fatto di questo programma l’inizio di una autentica rivoluzione culturale per i secoli XX e XXI: quella, appunto, della santità. Dinnanzi a questa santità crolla ogni possibile alibi: l’utopia cede il passo alla credibilità e la passione per la verità e la libertà trovano sintesi nell’amore offerto senza nulla chiedere in cambio.
Note:
[1] A conforto di questo assunto è d’obbligo il rimando ad alcune tra le opere principali di A.G. Longhin, Lettere pastorali, panegirici e discorsi. Editi nella faustissima ricorrenza del XXV dalla consacrazione episcopale, Tipografia Editrice Trevigiana, Treviso 1929; Id., Il sacerdote alla scuola di Gesù. Ritiri al clero, Istituto Tipografico Editoriale, Venezia-Mestre 1957.
[2] Nel secondo centenario del Padre Marco d’Aviano Missionario Apostolico della Veneta Provincia. Umile omaggio degli studenti Cappuccini di Sacra Teologia del Convento di Venezia, Stabilimento Tip. Librario A. e S. Festa, Napoli 1899. Il volume, stranamente pubblicato a Napoli e fino a pochi anni fa conservato nella Biblioteca dei Cappuccini di Lendinara (RO), porta il «Nihil obstat quominus imprimatur» di F. Ioa- chim de Limona Minister Proviacialis [s/c!], mentre la dedicata scritta «A Sua Eccellenza Reverendissima Mons. Mauro Nardi Vescovo Titolare di Tebe e Postulatore delle Cause dei Santi Cappuccini» porta la firma di F. Andrea M. da Campodarsego Lettore Cappuccino.
[3] Nel secondo centenario del Padre Marco d’Aviano, 10-24, qui 19.
[4] È quanto riconosce, almeno dal versante dell’accreditamento storico, anche L. Cu- sinato, Un vescovo con la sua Chiesa. Il Beato Andrea Giacinto Longhin Vescovo di Treviso, Editrice San Liberale, Treviso 2002, p. 30: «Il buon livello dello studio teologico cappuccino veneziano era riconosciuto da tutti, e di questo si ha una riprova nei personaggi dotti e santi che da esso sono usciti».
[5] G. Trabucchelli Onisto, Commemorazione in seminario del centenario di S. Tommaso d’Aquino, «Bollettino Ecclesiastico della Diocesi di Treviso», 13 (1924), pp. 46-47. A questo proposito di vedano pure le testimonianze deH’ultimo segretario di Mons. Longhin don Emilio Marcon, Longhin ìntimo, in Fernando da Riese Pio X, Andrea Giacinto Longhin nel 1° centenario della nascita (1863-1963), Ghidini Fiorini, Venezia-Mestre