La lettera dal convento di fra’ Gianluigi Pasquale di oggi, venerdì 24 febbraio.
Vi sono vari modi per segnare il tempo che passa: le date della storia del mondo, le date della storia della Chiesa, ma anche le date del calendario. Le quali si contano con il nome dei santi e delle sante. Una di queste è legato a Chiara d’Assisi (1194-1223), la «pianticella di Francesco», figura così significativa da poter affermare che non vi è il secondo senza la prima, e viceversa.
Non vi è Francesco senza Chiara d’Assisi
Chiara, figlia del conte Favarone di Offreduccio degli Scifi e di Madonna Ortolana, patrona della televisione e delle telecomunicazioni, è una figura emblematica perché fu assieme donna, cristiana e contemplativa. Ammaliata dall’esempio del Poverello, appena le fu possibile, ossia a diciott’anni, la notte della domenica delle Palme del 1212, il 18 o 19 di Marzo, Chiara fugge dal palazzo paterno e raggiunge Francesco nella Chiesa di Santa Maria degli Angeli in Assisi, ricevendo da lui una prima «forma vivendi», una prima regola di vita. Soltanto più tardi, Francesco individua nella chiesetta di San Damiano il luogo dove Chiara sarebbe, poi, vissuta in clausura per oltre quarant’anni, assieme a molte sorelle “clarisse”, tra cui mamma Ortolana, la sorella Agnese e le nipoti Balvina e Amata. Francesco era itinerante, Chiara rimaneva in clausura, lui predicava, Chiara lo sentiva e, soprattutto, lo ascoltava. Francesco si feriva, anche per le stigmate, Chiara lo curava. E anche adesso tra frati francescani e sorelle clarisse è così, però con quella stessa scelta iniziale: l’uno nel mondo, con la gente, l’altra in adorazione davanti a Dio con le sorelle. Uniti, ma separati. Ecco perché la parola di Francesco fu possibile solo grazie al silenzio orante e contemplativo di Chiara.
La “chiarezza” sulla povertà
Chiara d’Assisi indica, dunque, il valore insostituibile della donna nella Chiesa e nella società, anzi, indica al meglio il ruolo della madre, poiché anche oggi si parla di «madre Chiara». Per esempio, se pure Francesco aveva indicato ai suoi frati il valore della povertà per accendere di luce il Vangelo, Chiara punta fin dall’inizio alla povertà assoluta, poiché le sorelle povere di San Damiano non potevano possedere nessuna proprietà materiale, né personale, né comunitaria. Com’è anche oggi. Per questa sua proverbiale “testardaggine”, Chiara dovette lottare fino alla morte, ma ci riuscì. Alla pari di Gesù, ma anche per essere un “memoriale” di fronte a Francesco non volle possedere proprio nulla, diventando, così ancora di più una luce luminosa perché più generosa e più materna con gli altri.
Vedere Dio e farsi, così, vedere
La vita eterna consiste nel vedere Dio faccia a faccia (1Cor 13,12) e, quindi, nel raggiungere una pienezza d’essere che qui sulla terra possiamo soltanto presagire nell’adorazione a Dio e nella preghiera contemplativa. Questo Chiara lo aveva intuito alla perfezione. Il suo volto, alla pari di quello di ogni suora clarissa di oggi, divenne luminoso e iridescente perché rese concreto il segreto profondo di ogni esistenza umana: potersi innamorare della persona di Gesù Cristo, Figlio di Dio. Francesco ricevette la conferma di tale amore nel dono delle stigmate, Chiara, alla pari di un nomen omen, nel dono di uno sguardo luminoso. Infatti, anche oggi chi visita un qualsiasi monastero di suore Clarisse scruta negli occhi di quelle «donne di Dio» un alcunché di eternità (Sal 18,29). Dettaglio di cui si rese accorta anche la poetessa italiana Alda Merini, «nata il 21, a primavera» (1931-2009), quando, mettendo queste parole in bocca al Poverello, scrisse:
«Un tempo, Chiara, io ero un seduttore,
un uomo che trovava il gaudio
nella morte del corpo,
e non vedevo che il corpo è spirito.
Allora, sorella,
toccando la tua visione celeste
ho toccato, Chiara, la tua anima,
e mai abbandonerò il tuo corpo
per colpa di questa anima grande.
Le tue preghiere mi hanno salvato
come la tua solitudine.
Tu ti sei trincerata dietro un pensiero fisso
che è la materia di Dio
fatta uomo».
(Alda Merini, Francesco: canto di una creatura, Frassinelli, Milano 2007, p. 23).