Pubblichiamo, in otto puntate, una riflessione teologica di fra’ Gianluigi Pasquale intitolato “L’esegesi della Scrittura in san Bonaventura. Il modello del Commentarius in Evangelium Ioannis”.
Cristo Verbo
Una chiave di lettura del In Ioan. si trova analizzando la quaestio I (6.), dove Bonaventura pone il problema dell’uso, da parte di Giovanni, del termine “Verbo” anziché “Figlio”. La risposta è che “Figlio” indica una proprietà massimamente distintiva; tuttavia esprime solo una relazione al Padre, mentre “Verbo” dice relazione al Dicente, il Padre, a ciò che per suo mezzo viene detto, le creature, alla Voce di cui è rivestito, la carne, e alla dottrina che per suo mezzo si produce in un altro, l’insegnamento. “Verbo” è, dunque, un termine più adatto, perché onnicomprensivo («ad omnia respicit»). Bonaventura legge in Giovanni un Dio vivente, che pensa, vuole, si manifesta ed esprime l’amore che è, non solo nella vita intratrinitaria, ma anche nella e verso la creazione[1].
Relazione del Verbo al “Dicente”
La relazione fondamentale del Verbo è con il Padre, secondo quattro aspetti. Per Bonaventura, «In principio» (era il Verbo) significa nel Padre (2.), al quale è unito per essenza. La distinzione delle persone indica autorità del Padre e subautorità del Figlio, e si specifica che, con il nome di “Verbo” s’intende l’emanazione come generazione (quindi non in senso plotiniano, bensì come generazione di uno uguale, senza perdita di essere) e più avanti (cfr. 6.) anche processione dal Padre, ma non maggiore o minore rispetto al Padre medesimo. Un terzo aspetto della relazione con il Padre è l’uguaglianza nella maestà[2]. Un quarto aspetto è la coeternità. Al riguardo è significativa la q. 2 (7.) circa il significato di erat («In principio erat Verbum»). Se viene inteso in senso temporale, si oppone all’eternità; se, invece, come Agostino, si dice che in questo caso indica l’essenza senza alcun mutamento temporale, potendosi affermare che «il Figlio si genera» o «è stato generato», per mantenere il carattere di relazione al Padre generante si dovrebbe scegliere «è stato generato», aggiungendo, però, «sempre», che è più pertinente all’eternità della processione del Figlio dal Padre. Allo stesso modo, suscita perplessità il fatto che nel capitolo 8 del quarto Vangelo troviamo «prima che Abramo fosse, io sono»: non io fui o io ero, il che indurrebbe a preferire anche qui l’uso del presente anziché dell’imperfetto[3].
La risposta bonaventuriana prende le mosse, pur non nominandolo, da Averroè: «ciò che sta in mezzo partecipa di ambo gli estremi». La voce verbale «era» è media tra «fui» e «sono», per cui, dato che l’essere del Verbo è descritto da Giovanni come permanente, immutabile, preesistente alle altre cose, dicendo «In principio era il Verbo» s’intende che la voce verbale mutua questi tre aspetti rispettivamente dal presente, dal passato e da se stessa; «era», cioè, ha qualcosa della relazione che intercorre tra l’eternità e il tempo. Mi sembra sostenibile già da qui la visione di un progetto eterno di mediazione tra l’eterno presente di Dio e la distesa temporale dell’esperienza umana. L’evento dell’Incarnazione del Verbo costituisce proprio il punto di contatto tra queste due dimensioni.
Relazione del Verbo al “detto” (Verbo come principio)
La seconda relazione del Verbo è rispetto alle cose che per suo mezzo vengono dette, verso le quali ha la funzione di principio. L’incipit del prologo di Giovanni mette in evidenza, riecheggiando Gen 1,1, che in principio non c’è stato l’atto creatore di Dio, ma la generazione eterna del Verbo[4]. Dio crea in un modo del tutto particolare: parlando. La relazione Dio-mondo è proprio una Parola che media tra un “Dicente” e un “detto”. L’uomo di Bonaventura sarà, pertanto, un uomo in ascolto, profondamente orientato a cogliere un messaggio totale che il Creatore ha inscritto nel creato, in analogia con la parola umana che, oltre ad essere informazione, è anche espressione di chi la pronuncia e appello ad una risposta[5].
In apertura del In Ioan., il Dottore Serafico, citando Agostino, afferma: «La parola “Verbo” esprime un potere operativo» (1.). Cristo è una Parola così pregnante di forza e significanza da essere principio sufficiente a creare ogni cosa (9.). Egli non manca di alcuna operazione, è cioè principio indefettibile, perché tutte le cose sono in lui prima di venir fatte e in lui vivono; le idee («rationes») vivono in lui in quanto non mutano, essendo l’alterazione ontologica una specie di morte (11.). Qui Bonaventura legge Giovanni attraverso la sua dottrina dell’esemplarismo. Fu Platone a proporre la teoria delle idee archetipiche o essenze sussistenti, collocate in seguito dai neoplatonici nella mente divina. Per il Dottore Serafico questo risultato è il nucleo e la chiave di ogni metafisica, ma il passo successivo e decisivo fu quello di Agostino, il quale considerò che le idee sono contenute nel Verbo divino, esemplare o archetipo della creazione. Esse sono gli esemplari di tutti gli enti, possibili e attuali, universali e singolari; infinite, rappresentano l’infinita potenza di Dio[6]. Non è metafisico Aristotele, dunque, che rifiuta le idee platoniche, ma neanche Platone stesso lo è veramente: solo cogliendo in Dio, Ente Supremo, la causa esemplare di tutte le cose, possiamo scorgere la struttura ontologica dell’essere, costituita da tre elementi fondamentali: l’origine (essere da), l’intimità (essere in), la comunicazione (essere con)[7].
Tutto l’universo è, quindi, una meravigliosa «sintassi ontica»; tutto ciò che è creato, è prodotto dalla Parola d’amore che Dio ha pronunciato nel tempo, per cui tutto è eco, messaggio, teofania. Dio è presente nella creazione, che è liber e speculum[8]. Bonaventura cita Agostino: il Figlio è «arte piena di tutte le idee viventi»[9]. L’azione creatrice di Dio si rifrange attraverso il Verbo come la luce in un prisma: l’esemplarismo intende evidenziare proprio le somiglianze e la relazione intima esistente tra Dio e le creature[10]. Queste somiglianze sono espressione di tale relazione. Il «concreto» viene, così, rivalutato da Bonaventura e diventa linguaggio[11]: se il Verbo eterno è la Parola di Dio fuori dal tempo, il creato è la prima parola di Dio nel tempo. Nelle In Hexaem. Bonaventura chiarirà ancora di più il «segreto» dell’esemplarismo: cioè la triplice conoscenza del Verbo Increato, Incarnato e Inspirato, «medium» della creazione, della redenzione e della Rivelazione di tutte le cose[12].
«E la vita era la luce degli uomini». Il Dottore Serafico comprende nel versetto giovanneo che, essendo le cose create e redente per il medium, il Verbo divino, le idee non possono essere conosciute se non alla luce della loro relazione al Verbo divino[13]. Esso è principio illuminativo, perché illumina e rende gli uomini capaci di vedere (12.). La partecipazione analogica di ogni creatura all’essere del Creatore nell’ordine intellettuale si chiama illuminazione divina. La verità percepita dall’intelletto umano non è altro che l’immagine intelligibile della Verità trascendente. Dal versante di Dio, l’illuminazione è l’atto per mezzo del quale la Verità comunica qualcosa di sé all’uomo, il quale per lo stesso dono di Dio conosce le «rationes aeternae» (id quod) e nello stesso tempo conosce attraverso di esse (id quo)[14]. Tuttavia la nostra conoscenza non le coglie in modo chiaro e distinto, bensì le cointuisce, cioè percepisce l’azione illuminatrice di Dio in maniera indiretta, mediata, un po’ come quando vediamo le acque scorrere in un fiume e siamo certi della presenza di una sorgente che, direttamente, non possiamo scorgere.
Questi passaggi emersi dall’analisi della Prima pars del In Ioan., relativa al Verbo in se stesso, delineano il seguente quadro della sintesi metafisica bonaventuriana: nella dottrina della creatio ex nihilo si contempla la dipendenza da Dio di tutto ciò che esiste; nell’esemplarismo la relazione a Dio; nell’illuminazione il ritorno dell’anima a Dio attraverso la contemplazione. Qui teologia e filosofia si integrano e s’intrecciano in Cristo, Verbo di Dio: tutto è stato creato per mezzo di lui, tutto riflette l’immagine di lui, tutto è illuminato da lui[15]. Cristo è lo speculum terso, il quale spicca tra i riverberi di luce divina riflessi dal creato, perché in lui e da lui «rifulge ogni pienezza e bellezza di santità e sapienza»[16]. Paradossalmente, si deve anche dire che il modo storico, concreto, oggettivo in cui Dio ha mostrato il massimo della luce sembra agli antipodi della luminosità e dello splendore: la Croce di Cristo[17].
[1] «Universa propter semetipsum operatus est Dominus […] propter suam gloriam, non […] propter gloriam augendam, sed propter gloriam manifestandam et propter gloriam suam communicandam»: Bonaventura da Bagnoregio, Commentarius in II librum Sententiarum, d.1, p.2, a.2, q.1; II, 44.
[2] Interessante il sillogismo: premessa maggiore dall’auctoritas, in questo caso sant’Anselmo; premessa minore dalla sacra Scrittura; conclusione di Bonaventura. L’autorità entra nella dimostrazione allo stesso titolo del dato biblico. Si vede, poi, come Bonaventura, a differenza di Tommaso, accetti e utilizzi l’argomento ontologico anselmiano (cfr. É. Gilson, La filosofia nel Medioevo. Dalle origini patristiche alla fine del XIV secolo,La Nuova Italia, Scandicci (FI) 1995, pp. 535-536; cfr. J.G. Bougerol, Introduzione generale, pp. 45-46).
[3] Cfr. Bonaventura da Bagnoregio, In Ioan., I, 7 q. 2: «Si enim erat est temporis praeteriti imperfecti, omnino repugnat aeternitati, quia nulla ibi praeteritio. Si dicas, sicut dicit Augustinus in Glossa quod hoc verbum est aliquando importat tempus secundum analogiam aliorum verborum; hic autem non dicit tempus, sed essentiam sine ullo temporali motu designat; hoc non solvit, quia, cum dicitur: Filius generatur vel est genitus, non importat ibi tempus; tamen melius dicitur: semper genitus quam semper generatur. – Item Dominus ita dicit: Antequam Abraham fieret, ego sum, infra octavo; non dicit fui vel eram: ergo et nunc per praesens deberet dicere».
[4] Cfr. B. Corsani, «Parola», in Nuovo Dizionario di Teologia Biblica, a cura di P. Rossano – G. Ravasi – A. Girlanda, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1988, pp. 1097-1114, qui p. 1111.
[5] Cfr. V. Mannucci, Bibbia come Parola di Dio, pp. 15-18; descrive le tre funzioni della parola anche come simbolo, sintomo e segnale.
[6] Cfr. I. Tonna, Lineamenti di filosofia francescana. Sintesi dottrinale del pensiero francescano nei sec. XIII-XIV, Franciscan Fathers, Roma-Malta 1992, pp. 65-66.
[7] Cfr. G. Pasquale, Il principio di non-contraddizione in Aristotele, (Nuova Cultura – Introduzioni 174), Bollati Boringhieri, Torino 2008, pp. 78-79.
[8] Cfr. J.A. Merino, Storia della filosofia francescana, Biblioteca Francescana, Milano 1993, p. 86.
[9] «Ars plena omnium rationum viventium».
[10] Cfr. J.A. Merino, Storia della filosofia francescana, p. 68.
[11] Cfr. ivi, p. 86.
[12] Cfr. ivi, p. 68. «Clavis ergo contemplationis est intellectus triplex, scilicet intellectus Verbi increati, per quod omnia producuntur; intellectus Verbi incarnati, per quod omnia reparantur; intellectus Verbi inspirati, per quod omnia revelantur»: Bonaventura da Bagnoregio, Collationes in Hexaëmeron, coll. 3, n. 2 (V, 343).
[13] Cfr. I. Tonna, Lineamenti di filosofia francescana, p. 66.
[14] Cfr. ivi, pp. 77-78.
[15] Cfr. ivi, pp. 81-82.
[16] Bonaventura da Bagnoregio, Apologia pauperum, c. 2 n. 12 (VIII, 243).
[17] Cfr. R. Crivelli, L’esperienza cristiana, p. 203.