Il giudizio finale corrisponde a quell’incontro che ogni uomo e ogni donna avrà con Gesù Cristo alla fine del tempo: è, dunque, anche un giudizio universale perché riguarderà tutti. Ebrei, cristiani, mussulmani e i fedeli di altre tradizioni religiose credono che alla fine dei tempi il genere umano parteciperà all’ultimo “atto” della storia corrispondente al giudizio su quanto ciascuno ha compiuto, un giudizio desiderato, più che temuto. Esso dichiara che ciascuno di noi è composto da un alcunché, che noi chiamiamo anima, che sopravvive dopo la nostra morte, in modo eterno, motivo per il quale ogni religione ha un proprio culto dei defunti: essi vanno rispettati e onorati. Anche chi dice di non credere si affida, paradossalmente, a un “giudizio finale” quando spera che qualcosa di quanto egli ha detto e fatto rimanga come traccia in un “per sempre”. Questa è la ragione, per esempio, che giustifica gli archi trionfali che i grandi imperatori si sono fatti costruire o il motivo per cui anche le persone semplici, generando figli, nipoti e pronipoti sperano di perpetuare il proprio nome e cognome nel tempo. In ogni essere umano, insomma, è presente una scintilla di eternità, che la morte non potrà sopprimere del tutto. In questo caso, la fede della Chiesa cattolica confessa esserci quattro “novissimi”, cioè quattro realtà finali che, prima o poi, si pongono innanzi alla nostra esistenza: la morte, il giudizio, l’inferno e il paradiso. Osservati i primi due, ci spostiamo sugli ultimi due: l’inferno e il paradiso.
Giudizio particolare e universale
La fede cristiana professa esserci sia un giudizio particolare, che uno universale, come è ragionevole che sia. Il giudizio particolare è quello che spetta alla persona dopo la sua morte, come immediata retribuzione di quanto ha creduto e compiuto durante la propria vita. Dopo la morte, l’anima immortale di un cristiano sale al Cielo (Lc 23,43) dinnanzi a Dio, o in una perenne “visione beatifica” (paradiso) o in un transitorio momento di purificazione (purgatorio) o, in uno stato di privazione definitiva della visione di Dio (inferno), a motivo di una deliberata volontà di opporsi a Dio con il peccato, protratta per tutta l’esistenza terrena. L’anima, infatti, creata a immagine e somiglianza di Dio (Gn 1,26) desidera solo una cosa: ritornare per sempre a Dio, vivere in Lui. Conviene chiederci allora: perché esiste anche un giudizio universale, coincidente con quello finale? E ancora: che fine farà il nostro corpo? La fede della Chiesa, radicata nella Sacra Scrittura, su questo punto è tanto semplice, quanto chiara. Tutte le opere di bene (o di male) che noi compiamo, vengono fatte con il corpo; per questo è necessaria la risurrezione della carne (Gv 11,25) per essere giudicati, ma ciò dovrà avvenire, appunto, alla fine, quando saremo rivestiti del nostro corpo glorificato (1Cor 15,54), ossia luminoso. Gli effetti delle azioni da noi compiute, però, non cessano con la nostra morte, bensì perdurano oltre la nostra vicenda terrena. Ognuno di noi, per esempio, vive e sopravvive grazie al bene ricevuto dai propri genitori a tal punto che, si potrebbe risalire, di generazione in generazione, fino ad Abramo (Gv 8,33) o ad Adamo (Mc 10,6). Ora, quando noi compiamo un’opera di bene è come se gettassimo un sasso nello stagno, nello specchio d’acqua della storia, creando un’onda di bene. Questa, incontrando un’altra onda di bene si rafforza e continua a prolungarsi in direzione della baia dove, alla fine, si trova Gesù Cristo. Lo stesso avviene, però, anche quando compiamo il male, producendo nello stagno un’onda di male che perdurerà oltre la nostra morte. Accade, però, anche un fenomeno inverso. L’onda di bene prodotta dalle persone nella Chiesa – e nella società – fiaccano l’eventuale nostra onda di male, riducendone gli effetti; ugualmente le nostre onde di bene possono ridurre la portata di eventuali altre onde di male. Di qui, sporge la necessità che, oltre al nostro giudizio particolare, vi sia anche un giudizio universale che coincide con quello finale, quando Gesù Cristo aspetterà che la combinazione delle varie tipologie di onde – ci sono anche quelle piatte (Ap 3,16) – raggiunga il proprio limitare in quella baia dove Gesù Cristo attende (1Cor 15,24) tutti e tutte.
La speranza alla fine
In questa maniera si comprende meglio che esiste una “comunione dei santi” (1Gv 1,7), ossia dei credenti. E anche che i santi veri e propri hanno un ruolo fondamentale nella Chiesa e nella storia perché hanno prodotto e producono solo onde di bene. Ecco perché il giudizio finale è già intriso di speranza per chi crede (Mt 16,27): sia perché alla fine ci attende Gesù Cristo che nella carne ha «imparato dalle cose che patì» (Eb 5,8) e, quindi, si è, per così dire, “addestrato” ad avere misericordia con noi peccatori, sia perché la Chiesa cattolica, e non solo, è ricca di santi e sante del cui bene noi godiamo e godremo. L’espressione «Dio ti darà merito» è, dunque, non solo fondata biblicamente (Col 3,24), ma piuttosto ragionevole nello sperare che il frutto delle nostre buone opere sarà premiato (Lc 19,22). L’inferno, che di certo esiste (Mc 9,43), esiste, tuttavia, come estrema esclusione, quando una persona sceglie deliberatamente di non voler entrare perdonata in Cielo, cosicché Dio si trova – per così dire – “costretto” dinnanzi all’auto giudizio con cui uno rifiuta il perdono di Dio. Il Paradiso, invece, sarà quella beatitudine in cui noi vedremo Dio faccia a faccia e senza veli (1Cor 13,12), coincidente con la risurrezione finale dei giusti (Mc 12,27).
Sarà un incontro
Il giudizio finale sarà, dunque, un incontro: con Gesù Cristo. Lo si può anticipare fin d’ora vivendo inCristo (2Cor 5,17), come fossimo dei vasi comunicanti con Gesù. Inoltre, saremo con i nostri cari e risorgeremo nel nostro corpo perché la nostra speranza umana e cristiana desidera che tutto ciò così avvenga.