Ecco l’ultima “lettera dal convento” del 2022. Appuntamento a venerdì 6 gennaio 2023.
Il desiderio di lasciare un nome
Cosa resterà di noi al termine della nostra breve esistenza terrena? Non c’è nessuno che non si sia posto per un attimo questa domanda, soprattutto quando un anno sta per concludersi. I grandi personaggi della storia erano e sono consapevoli che non è sufficiente la costruzione dell’«arco di Costantino» per lasciare traccia del proprio nome e, quindi, saturare il bisogno di eternità che alberga nel cuore dell’uomo. Parimenti i semplici e gli umili sanno che aver generato figli, nipoti e pronipoti, se anche ciò mantiene vivo il proprio cognome, tuttavia non assicura la risposta a quella domanda. Nemmeno i grandi pensatori sono riusciti a risolvere questo interrogativo che, dunque, può diventare un enigma.
Resterà solo l’amore
Di noi, alla fine della nostra vita e, quindi, alla fine della nostra storia, resterà solo l’amore che abbiamo seminato, ossia il bene da noi inserito nel tempo. A modo di eternità. Ciò è garantito da Gesù Cristo (Mt 25,40). E come avviene? Ogni esistenza umana inserisce nel tempo atomi di bene, oppure di male, che per ciò stesso vengono “protetti” nell’eternità da Dio e, così, anche “giudicati”. Nessuno di noi, infatti, credente oppure no, dubita, di (poter) vivere oggi grazie al bene ricevuto un tempo dai propri genitori, e così fino a partire da Abramo (Gv 8,33) o da Adamo (Mc 10,6). Parimenti, coloro con i quali noi in vita abbiamo intessuto relazioni, vivranno del nostro aver seminato frammenti di bene, oppure – e purtroppo – di male. Perché? Perché tutti e tutte viviamo di un corpo e in un corpo, che è l’unico mezzo con cui si possono avere relazioni. Per questo Dio si è fatto corpo nel Bambino di Betlemme.
Giudizio particolare e universale
Quando noi compiamo un’azione di bene succede come se gettassimo un sasso in uno stagno d’acqua: esso produce onde di bene, che, intercettando altre onde di bene, ne aumentano la portata, oppure intercettando onde di male, ne fiaccano gli effetti. Allo stesso modo, se qualcuno di noi con il “sasso di quanto fa” provocasse onde di male, queste possono intercettare altre onde di male, aumentando il danno, ma si può anche sperare che esse siano incontrate da altre onde di bene veicolate da altri e da queste smorzate. Le onde di bene e di male non cessano con la nostra morte. Anzi, perdurano. Così è corretto pensare che alla fine della nostra vita ci sia un “giudizio particolare”, solo per noi. Ma è altrettanto giusto che ci sia anche un “giudizio universale” perché tutte le onde di bene e di male si devono tra loro “combinare”, in attesa di arrivare alla baia della fine dei tempi, dove le sta attendendo Gesù Cristo, unico giudice della storia. Ecco la vera ragione per cui i santi sanano la Chiesa e la storia, ovvero perché Santa Madre Teresa di Calcutta (1910-1997), per fare un solo esempio, è ricordata più di molti altri che, invece, sono stati solo dei tiranni.
Saremo protetti dall’eternità
Nel tempo noi possiamo, dunque, lasciare atomi di amore e onde di bene, specie se li immettiamo nella carne degli altri (Gv 8,10). Quando si cura, si ama, si perdona, succede che si guarisce la carne di un fratello e, quindi, si cura, si ama e “si aumenta” la carne redenta da Gesù Cristo. È Lui la garanzia assoluta che il nostro tempo fugace e passeggero sarà protetto nel per sempre dell’eternità e che la nostra carne, proprio in questo senso risorgerà. Terminare un anno con questa certezza evangelica e cristiana significa iniziare il nuovo con la consapevolezza e la speranza di poter utilizzare di più e meglio gli anni a venire per innestare nelle fessure della storia il nostro “contributo” di bene. Così nel particolare, prepariamo l’universale e ci addestriamo a credere nell’eternità, ossia nella nostra e altrui risurrezione.