Vi è un passaggio nella Relatio super virtutibus su Padre Marco d’Aviano[1] in cui viene enunciata «l’essenza del [suo] carisma», dove si afferma che egli «con la sua eroica fedeltà al Signore e la sua ardente predicazione raccolse copiosi frutti di rinnovamento in un’epoca di grandi contrasti»[2]. Il tentativo di questo studio mira a ipotizzare che l’essenza del carisma del Servo di Dio sia facilmente individuabile mediante una lettura del testo — da lui composto — dell’«atto di dolore perfetto» comerisposta cattolica ad alcune aporie del giansenismo, visto che la teologia ivi espressa è di indole trinitaria e rimanda direttamente all’amore a Dio Padre e a Gesù Cristo Crocifisso, reso possibile dall’effusione dello Spirito Santo sulla Chiesa. Mentre non sono certamente mancati studi al riguardo[3] — anche di notevole spessore scientifico pure da un punto di vista strettamente teologico[4] — per quanto compete alla conoscenza che lo scrivente possiede dell’insigne predicatore[5] Cappuccino, manca un intervento applicativo adeguato che spieghi i confini ermeneutici esatti all’interno dei quali comprendere tale «essenza» del carisma di P. Marco d’Aviano nella sua permanente validità per l’attualità: l’opposizione teologica, e non meramente storica, al giansenismo[6].
Il probatur thesis di questo intervento intende, infatti, evidenziare la stretta relazione sussistente tra la teologia sottesa all’atto di dolore e la relativa enfatizzazione della componente psicologica a base affettiva che P. Marco adduceva per stimolare a una superiore contrizione d’amore nei riguardi di Dio, quindi dichiaratamente contraria alla teoria del rigorismo giansenista. Lo scopo di quanto si viene qui a dire, insomma, non nega necessariamente la determinazione relazionale storica tra Marco d’Aviano e il giansenismo europeo del XVII secolo, già in più occasioni perlustrata[7], bensì ne evidenzia la componente teologica e dogmatica e, pertanto, l’intrinseca e permanente validità per il tempo attuale, anche sotto un profilo pastorale, ossia la concezione ottimistica «cattolica» dell’antropologia attuale.
A supporto di questa tesi, vi è un singolare «umile omaggio degli studenti Cappuccini di Sacra Teologia del Convento di Venezia»[8], sconosciuto ai più, dove, nel capitolo secondo scritto da un anonimo studente e intitolato «L’Apostolo», viene chiaramente sottolineato che la teologia dell’«atto di dolore perfetto», propagato da P. Marco d’Aviano, mirava essenzialmente a contrapporsi a quegli aporetici pensieri teologici così inquilini «alle nazioni del Nord»[9], da parte cattolica. Storicamente e come appare in altre ricerche, pure questo prezioso studio fissa esattamente prima e successivamente dopo la Quaresima predicata a Venezia — presso la Chiesa di San Polo [Paolo] — nel 1681[10] l’attività omiletica antigiansenista di Marco d’Aviano in quelle famose «nazioni del Nord»[11], quindi nella sua seconda missione apostolica[12]. Esso ratifica, però, come l’utilizzo pastorale dell’atto di dolore intendesse rispondere alle provocazioni teologiche innescate dal giansenismo, particolarmente nelle Friande e in Francia. È, dunque, necessario osservare di che cosa si tratta.
La diffusione dell’«atto di dolore perfetto»: contesto storico
La purezza intenzionale che mosse incoativamente Cornelio Giansenio (1585-1638)[1] assieme al maggior teologo del movimento giansenista Antoine Arnauld (1612-1694)[2] non è dissimile da quella che contraddistingueva i contorni dell’insistenza di Padre Marco sulla teologia dell’«atto di dolore perfetto». Proseguendo nel solco aperto entro la Chiesa cattolica nel secolo XVI da Michele Baio (1513-1589), il giansenismo, infatti, contrapponeva alla teologia scolastica e all’umanesimo moderno penetrato nella Chiesa con la teoria e la pratica dei Gesuiti, quello che esso presentava come la dottrina autentica di sant’Agostino (354-430) sulla predestinazione e la grazia divina in rapporto al libero arbitrio dell’uomo. Inizialmente esso voleva, insomma, controbattere quella sopravvalutazione della dimensione naturale della storia umana determinata dall’esercizio del libero arbitrio e della relativa moralità rispetto a quella soprannaturale della storia della salvezza. In seguito, di fronte alle insistenti accuse di inclinare verso l’eresia protestante mossele dai Gesuiti, la dottrina di Giansenio venne condannata da Innocenzo X (1574-1655) nel 1663, sulla base di cinque proposizioni nelle quali la Facoltà di Teologia di Parigi l’aveva condensata.
L’attesa della visita di P. Marco d’Aviano nella sua seconda missione apostolica e i frutti che avrebbe prodotto la sua presenza nella Friande e in Francia dovevano essere vivissimi nella lotta giansenista. Infatti, in una lettera scritta a P. Marco da P. Filippo de Hornes, un Gesuita fratello del vescovo di Gand, si insisteva oltre che sul problema del giansenismo dilagante, anche sul fatto che il detto vescovo ne era, almeno in parte influenzato[3]. Come si appurerà tra poco, però, il motivo riparatore per il quale il Servo di Dio mosse i suoi passi nelle terre del Nord durante il suo secondo viaggio, si trasformò successivamente per lui in accusa di essere egli stesso filo-giansenista.
L’intuizione teologica: la lettura reticolare delle differenze
In una visione delle cose di natura teologica, l’intuizione fondamentale con cui P. Marco seppe reagire al giansenismo, assai diffuso tra la popolazione, consiste in un’incredibile opera di mediazione attuata a livello pastorale. Egli sapeva che l’efficacia soprannaturale e certissima proveniente dalla grazia di Dio si combina perfettamente al connaturale bisogno di salvezza che ogni uomo e ogni donna portano nel cuore, oltre che nel proprio corpo. E non si trattava, evidentemente di una consapevolezza clericale, bensì spirituale.
Il dono di grazia e il bisogno di salvezza
In risposta al bisogno di salvezza nel quotidiano e nel frammentario della giornata, P. Marco escogitò la prassi delle benedizioni taumaturgiche amministrate in precise ore prefissate del giorno (e della notte)[4], alle quali egli associava la recita dell’atto di dolore, precedentemente distribuito alla popolazione in testi stampati in numero sufficiente di copie[5]. Si deve, comunque, osservare che nell’Europa cattolica e controriformista l’accoglienza del meraviglioso soprannaturalistico era ben accetta, ragion per cui la benedizione taumaturgica di P. Marco si diffuse con tale rapidità che ogni contrada del vecchio continente desiderava riceverla, assieme al testo dell’atto di dolore. Benedizione e atto di dolore diventavano, così, «segni» efficacissimi del dono di grazia, per la prima, e della confessione del proprio bisogno di salvezza soprannaturale, appannaggio del secondo. Ciò nonostante, ciò che allo studioso e al pastore risulta di gran lunga più interessante è l’idea teologica in essi presente in sottofondo, che per questa ricerca viene limitata soltanto attorno all’atto di dolore perfetto[6].
La proposta di un amore teologale disinteressato
L’apostolato di Padre Marco sull’atto di dolore — lo si è già accennato — rimanda a una concezione ottimistica della natura umana, la quale può accedere al soprannaturale con l’ausilio della grazia, anche fuori della confessione sacramentale[7]. E questa posizione teologica risulta tanto più sintomatica qualora si pensi che anche in Italia era molto diffuso il testo di morale Thélogie morale (1670)[8] di Francesco Genet (1640-1703) in ben otto volumi. Nonostante le censure, venne adottato in parecchie istituzioni accademiche e diocesane. Anche sant’Alfonso Maria de’ Liguori si adattò a quel manuale, avvertendo, tuttavia, che esso lasciava spazio alla mitezza evangelica nel perdono penitenziale[9].
Anche nella teologia dell’atto di dolore perfetto, infatti, vi è la proposta di un amore teologale disinteressato, il quale soltanto a prima vista promana come caratterizzazione ascetica predominante della predicazione dell’Avianese, mentre scaturisce, invece, da una singolare disposizione alla contemplazione, in lui rimasta come istanza presente e incompiuta[10]. Questo significa che il valore dato all’emendazione dell’actus contritionis proveniva dalla meraviglia suscitata dall’amore di Dio per l’uomo in Cristo e dal pensiero che la natura umana, per quanto corrotta, porta sempre seco l’immagine del Dio trinitario. In realtà, il Padre non può non scrutare nell’iride rossastra del peccatore le piaghe del Suo unigenito Figlio Gesù quando quel peccatore gli si rivolge addolorato nello Spirito Santo. Dietro le «norme» suggerite per emettere convenientemente l’atto di dolore perfetto[11], infatti, fluisce una densità religiosa autenticamente evangelica, la quale, se osservata nella corretta ermeneutica in cui nacque e si perfezionò — ossia l’opposizione antigiansenista dell’Avianese — riveste anche per l’oggi tratti di autentica originalità e profonda attualità. Ma il permanente orizzonte ermeneutico di sottofondo, che non si può mettere in ombra, è quello che si rifà a una persistente fiducia nell’uomo e nelle sue inesplorate capacità di emendarsi.
[2] Cf M. Rosa, «Aspetti della spiritualità cattolica del Seicento», 235-236.
[3] archivio mestre
[4] héyret
[5] 10.000 È classica l’esemplificazione di quanto avveniva per le benedizioni impartite da P. Marco. Fissata in anticipo l’ora e il giorno, ci si preparava a ricevere la benedizione convenientemente preparati, stando in lontananza. A ore prefissate, le undici del mattino, e in giornate determinate, quaresima e un numero prestabilito di festività, egli impartiva la benedizione. Questi giorni erano stampati in liste apposite, che venivano distribuite per prepararsi adeguatamente al sacro evento, in modo che l’atto di dolore conservasse il suo valore religioso. Positio, 74-75+Héyret, Die gedruckten Schriften, 39. Controversia dei Domenicani.
[6] Cf B. Dompnier, «L’apostolato di Marco d’Aviano e la tradizione missionaria dei Cappuccini», in R. Simonato, ed., Marco d’Aviano e il suo tempo. Un cappuccino del Seicento, gli Ottamani e l’Impero. Atti del convegno storico internazionale (Pordenone 12-13 novembre 1993), Edizioni Concordia Sette, Pordenone 1993, 247-277, qui 268-269.
[7] ….
[9] Cf P. Zovatto, p. 287.
[10] Egli trovandosi alla corte di Vienna… in preghiera+nota 29 pagina 291.
[11] Cf Norme date dal Servo di Dio per fare l’atto di dolore, in Vindobonensis seu Venetiarum beatificationis et canonizationis venerabilis Servi Dei Marci ab Aviano, Sacerdotis professi Ordinis fratrum minorum capuccinorum († 1699). Positio super virtutibus, Roma 1990, Doc. VI, B 2, 66-72.
[1] Padre Marco nacque ad Aviano (Pordenone) dalla distinta famiglia Cristofori il 17 Novembre 1631, terzo di undici figli di Pasquale e Rosa Zanoni (a questo proposito, cf l’osservazione in V. Criscuolo, Recensione «Marco d’Aviano Prediger und Diplomat», Collectanea Franciscana70 (2000) 626-627, qui 627). Fu battezzato lo stesso giorno nel duomo con il nome di Carlo Domenico. È documentata l’amministrazione del sacramento della confermazione il 21 Giugno 1643, nella quale ebbe come padrino il pievano di Dardago. I genitori, appartenenti alla ricca borghesia, lo iscrissero al Collegio retto dai Gesuiti a Gorizia, dal quale si allontanò nel 1947, entrando successivamente nell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini dell’Alma Veneta Provincia e vestendo, a Conegliano (1648) il saio francescano. Terminato il Noviziato nel 1649, il 21 Novembre dello stesso anno emise i voti religiosi di povertà, castità e obbedienza, mentre fu ordinato sacerdote a Chioggia (VE) il 18 Settembre 1655. Nel 1660 — o, al più tardi, nel 1661 — ricevette la patente di predicare al popolo, esercitando con tanto zelo l’annuncio del Regno, particolarmente nelle tre missioni apostoliche del 1680, 1681 e 1683 nell’Europa del Nord e per la liberazione di Vienna (12 Settembre 1683) dall’esercito turco che la assediava. La luminosa misura di santità dell’umile Cappuccino si riverbera nella poliedricità del suo apostolato come benefattore dei poveri, taumaturgo, missionario ecumenico tra i protestanti, liberatore degli schiavi mussulmani, promotore di pace e di perdono, anche in qualità di Legato Apostolico. Assistito dall’Imperatore d’Austria Leopoldo I (1658-1705) e dalla consorte Eleonora morì in concetto di santità nel Convento dei Cappuccini a Vienna il 13 Agosto 1699, dove è a tutt’oggi sepolto tra le tombe imperiali: cf V. Criscuolo, «Marco d’Aviano: lineamenti e problemi bio-bibliografici. Con “appendice documentaria” dall’Archivio di Stato di Mosca», in R. Simonato, ed., Marco d’Aviano e il suo tempo. Un cappuccino del Seicento, gli Ottamani e l’Impero. Atti del convegno storico internazionale (Pordenone 12-13 novembre 1993), Edizioni Concordia Sette, Pordenone 1993, 125-232, qui 125-142, assieme a Id., «Marco d’Aviano. Vicende e documenti riguardanti la sua nomina a “Missionario Apostolico”», Collectanea Franciscana 56 (1986) 279-302; S.G. Monteduro, Marco d’Aviano. L’unità cristiana come unità europea, Animazione Missionaria Cappuccini, Roma 1983, 57-93; V. Renier, Padre Marco. La vita, l’anima, Ed. Comitato P. Marco d’Aviano, Fiume Veneto (PN) 1998, 9-35. Per precise notizie biografiche su P. Marco d’Aviano si veda anche G. Ingegneri, I Cappuccini a Padova. Cinque secoli di presenza, Ed. Convento Frati Cappuccini, Padova 2000, 37-39; 81-83.
[2] Vindobonensis seu Venetiarum canonizationis venerabilis Servi Dei Marci ab Aviano, Sacerdotis professi Ordinis fratrum minorum capuccinorum (1631-1699), Relatio et Vota Congressus peculiaris super virtutibus die 15 Ianuarii an. 1991 habiti, Roma 1991, voto I, 19.
[3] Senza l’intenzione di essere esaustivi, cf M. Héyret, «Die gedruckten Schriften des Ehrw. P. Marcus von Aviano, O.F.M. Cap., und deren Verbreitung», Collectanea Franciscana 10 (1940) 29-65; 219-238, qui 29-65; Id., Padre Marco d’Aviano, Edizioni Messaggero Padova, Padova 1999, 184-194 [or. ted. Id., P. Markus von Aviano O.M.Cap. Apostolischer Missionär und päpstlicher Legat beim christlichen Heere, Provinz der Bayerischen Kapuziner, München 1931]; V. Renier, «Padre Marco d’Aviano. Una vita per la Chiesa e per l’Europa», in W. Arzaretti – M. Qualizza, ed., Marco d’Aviano Gorizia e Gradisca. Dai primi studi all’evangelizzazione dell’Europa, Edizioni Fondazione Società per la Conservazione della Basilica di Aquileia, Fiume Veneto – Pordenone 1998, 27-63, qui 30-31; Id., Padre Marco. La vita, l’anima, 18-22. Cf pure i commenti di V. Criscuolo, Recensione «Marco d’Aviano Gorizia e Gradisca», Collectanea Franciscana 68 (1998) 719-721, e di assieme alle due recensioni di S. Mazzolini, Recensione «Marco d’Aviano Gorizia e Gradisca», La Civiltà Cattolica 151 (2000) n. 3, 527-528.
[4] Cf P. Zovatto, «L’atto di dolore di Padre Marco d’Aviano», in R. Simonato, ed., Marco d’Aviano e il suo tempo. Un cappuccino del Seicento, gli Ottamani e l’Impero. Atti del convegno storico internazionale (Pordenone 12-13 novembre 1993), Edizioni Concordia Sette, Pordenone 1993, 278-294; M. Taggi, «Alle origini della spiritualità del Cuore di Cristo. Padre Marco d’Aviano “apostolo della preghiera” per l’Europa con l’“Atto di dolore perfetto”», in W. Arzaretti – M. Qualizza, ed., Marco d’Aviano Gorizia e Gradisca. Dai primi studi all’evangelizzazione dell’Europa, Edizioni Fondazione Società per la Conservazione della Basilica di Aquileia, Fiume Veneto – Pordenone 1998, 237-246, qui 240-241.
[5] Cf E. Feigl, «Sacerdote e peccatore, indignissimo e miserabilissimo peccatore», tr. dal tedesco di Gianluigi Pasquale, L’Osservatore Romano, 139 n. 185 del 13.08.1999, 4.
[6] Soltanto il maggiore biografo di P. Marco d’Aviano, Maria Héyret (1865-1938) («il teste più ricco di informazioni, più documentato e più autorevole»: V. Criscuolo, Recensione «Maria Héyret, Padre Marco d’Aviano», Collectanea Franciscana 70 (2000) 620-626, qui 622), citando una lettera dell’ex consigliere legale del re francese Le Pellettier al ministro della guerra Louvois, afferma: «L’allusione contenuta in una di queste relazioni al fatto che padre Marco fosse stato chiamato a Gand soprattutto per combattere il giansenismo non è da escludere a priori. Dei giansenisti parlò anche il padre gesuita Filippo Hornes, fratello del vescovo reggente Alberto conte di Hornes, in una lettera scritta da Gand il 24 giugno 1681 a padre Marco»; M. Héyret, Padre Marco d’Aviano, 194, con nostre sottolineature. L’affermazione della Héyret, tuttavia, sottoscrive solamente una determinazione relazione tra P. Marco e il giansenismo di natura storica e non certo teologica. Si veda anche S.G. Monteduro, Marco d’Aviano, 86.
[7] Cf M. Rosa, «Aspetti della spiritualità cattolica del Seicento», in R. Simonato, ed., Marco d’Aviano e il suo tempo. Un cappuccino del Seicento, gli Ottamani e l’Impero. Atti del convegno storico internazionale (Pordenone 12-13 novembre 1993), Edizioni Concordia Sette, Pordenone 1993, 233-246, qui 242-244; S.G. Monteduro, Marco d’Aviano, 86-88; P. Zovatto, «L’atto di dolore di Padre Marco d’Aviano», 286-288.
[8] Nel secondo centenario del Padre Marco d’Aviano Missionario Apostolico della Veneta Provincia. Umile omaggio degli studenti Cappuccini di Sacra Teologia del Convento di Venezia, Stabilimento Tip. Librario A. E S. Festa, Napoli 1899. Il volume, stranamente pubblicato a Napoli e fino a pochi anni fa conservato nella Biblioteca dei Cappuccini di Lendinara (RO), porta il «Nihil obstat quominus imprimatur» di F. Ioachim de Limona Minister Proviacialis (sic!), mentre la dedicata scritta «A Sua Eccellenza Reverendissima Mons. Mauro Nardi Vescovo Titolare di Tebe e Postulatore delle Cause dei Santi Cappuccini» porta la firma di F. Andrea M. da Campodarsego Lettore Cappuccino. Si tratta, infatti, del Servo di Dio Andrea Giacinto Longhin OFMCap. († 1936), della Provincia Veneta, Vescovo di Treviso dal 1904 al 1936, di cui è in felice corso la Causa di Beatificazione.
[9] Nel secondo centenario del Padre Marco d’Aviano, 10-24, qui 19.
[10] Nel secondo centenario del Padre Marco d’Aviano, 16. Cf anche S.G. Monteduro, Marco d’Aviano, 88-93, e V. Renier, «Padre Marco d’Aviano. Una vita per la Chiesa e per l’Europa», in W. Arzaretti – M. Qualizza, ed., Marco d’Aviano Gorizia e Gradisca. Dai primi studi all’evangelizzazione dell’Europa, Edizioni Fondazione Società per la Conservazione della Basilica di Aquileia, Fiume Veneto – Pordenone 1998, 27-63, qui 31.
[11] «Il breve, firmato dal leodiese Johann Walter Slusius, titolare della Segreteria dei Brevi, portava la data dell’11 maggio 1681 e fu inviato direttamente in Fiandra, futuro luogo di apostolato del Servo di Dio», come ha accuratamente evidenziato Vincenzo Criscuolo, «Marco d’Aviano. Vicende e documenti riguardanti la sua nomina a “Missionario Apostolico”», Collectanea Franciscana 56 (1986) 279-302, qui 281. L’originale del breve è in APCM, Lettere IV, n. 251. Si veda anche Positio, 76; 308-310; Corrispondenza I, 74.
[12] Cf anche Héyret