Pubblichiamo, in otto puntate, una riflessione teologica di fra’ Gianluigi Pasquale intitolato “L’esegesi della Scrittura in san Bonaventura. Il modello del Commentarius in Evangelium Ioannis”.
Lettura simbolica della sacra Scrittura
«Cuore di Dio, lingua di Dio, penna di Dio, libro scritto esternamente ed internamente»[1], la Bibbia è uno specchio che – ancora più direttamente dello specchio del creato – interpella l’uomo. È testimonianza di Dio che vuole stabilire una comunicazione d’amore e di salvezza con l’uomo che ha creato: da qui viene l’esigenza di non perdere nulla di un tale messaggio; Bonaventura si mette alla ricerca di un senso anche in ciò che appare secondario nella sacra Scrittura, nella consapevolezza viva che in essa si trova infinitamente più che in ogni altro libro, che in essa è presente ciò che può calmare la fame e la sete dell’uomo[2]. Da parte di qualche studioso si ammette che l’esegesi medioevale, nel cui solco s’inserisce Bonaventura, non ha più niente da dire alla moderna analisi critica dei testi[3]. Può disorientare o suscitare disagio, al giorno d’oggi, una lettura simbolica come quella che Bonaventura fa, per esempio, riguardo a Ez 17,22s e a Ez17,3ss, riportata nel In Ioan. (Prooem. 5) e che presento in sinossi con la relativa interpretazione[4]. Vale però la pena notare che, pur nel clima di rinnovato interesse e attenzione al testo scritturistico del XIII secolo, non c’è la preoccupazione di stabilire il processo di redazione dei libri sacri e la loro collocazione storica nell’esperienza del popolo d’Israele prima e della Chiesa primitiva poi; a titolo di esempio si confronti il passo del Breviloquium (Prol. 1,4)[5] inteso a mostrare ai giovani teologi l’organicità e la completezza della Scrittura nel presentare l’attuazione progressiva dell’economia divina nella storia: la Bibbia non è una selva oscura, anzi, sembra quasi che sia stata composta dalla Genesi all’Apocalisse secondo la disposizione dei libri della Volgata.
Fedeltà al senso letterale
Per inoltrarsi attraverso la «selva» della Scrittura, pertanto, è necessario conoscere in precedenza la verità della stessa Scrittura attraverso ciò che vi è detto di più esplicito[6]. Commentando l’esposizione cosiddetta “di Girolamo” del Prologo giovanneo, Bonaventura ne critica alcune scelte esegetiche annotando: «ci sembra che la prima interpretazione [scil. tra quelle riportate da Girolamo] sia più fedele al senso letterale»[7]. E ancora nel Breviloquium[8] ribadisce l’importanza di rimanere fondati sul testo: «chi disprezza la lettera della sacra Scrittura non assurgerà mai ai suoi significati spirituali» e «chi espone la sacra Scrittura faccia attenzione a non cercare ovunque l’allegoria, né ad esporre tutti i passi misticamente». Forse non è del tutto priva d’interesse la ricerca esegetica di Bonaventura, che pur essendo uomo del suo tempo, molto lontano dalla critica moderna, vuole far parlare la Scrittura, più che il commentatore, per poter fruire al massimo della sua ricchezza. Il rispetto per il messaggio divino consegnatoci nelle sacre pagine fa sì che egli, dallo studio della lettera, si spinga a cercare addirittura in che modo l’autore umano è intervenuto nella trasmissione della Rivelazione divina[9].
Verità salvifica e fondamento della sua certezza
La questione sulla verità della Bibbia copre tutto l’arco di tempo che ci separa da quando i sacri testi furono redatti; da Filone d’Alessandria, ai Padri, Giustino, Ireneo, Origene, Girolamo, Agostino, fino a Tommaso e poi al caso Galilei per arrivare alle encicliche papali sull’argomento, promulgate tra il Concilio Vaticano I e il Vaticano II (in particolare Providentissimus Deus, Spiritus Paraclitus e Divino Afflante Spiritu) e finalmente alla Dei Verbum[10]. Il Concilio ha scritto:
Tutto quello che gli autori ispirati, cioè gli agiografi, asseriscono è da ritenersi asserito dallo Spirito Santo, per conseguenza si deve professare che i libri della Scrittura insegnano fermamente, fedelmente e senza errore la verità che Dio in vista della nostra salvezza volle fosse consegnata alle sacre Lettere[11].
Senza alcuna pretesa di completezza, è opportuno segnalare la posizione di Bonaventura come emerge dai testi in esame nel presente studio; pur dalla prospettiva del suo tempo, lontano dalle questioni sollevate dalla Riforma, dall’Illuminismo, dal fideismo, dal razionalismo e dal modernismo, il Dottore Serafico mette in evidenza quello che oggi è detto il principio formale per l’interpretazione della Rivelazione così come Dio ha voluto consegnarla all’uomo nella sacra Scrittura[12]: «Questa dottrina ha per scopo che diventiamo buoni e possiamo essere salvati»; per questo motivo la Bibbia non procede in modo argomentativo ma narrativo, in quanto è intesa a stimolare la decisione di fede a partire dall’affetto, più che dal ragionamento[13]. All’homo viator, la Scrittura dà, dunque, una sufficiente conoscenza delle cose «secondo ciò che giova alla salvezza»[14]. La verità comunicata nella Bibbia ha come fine la «pienezza dell’eterna felicità» («plenitudo aeternae felicitatis»): è stata scritta, infatti, «non solo perché noi crediamo, ma anche affinché possediamo la vita eterna»[15]. Il messaggio della Scrittura è decisivo per l’uomo che ha bisogno di un fondamento per credere; d’altra parte, le azioni particolari narrate non hanno il carattere della certezza razionale, bensì, appunto della narrazione. Per venire incontro alla debolezza della nostra fede incline al dubbio, Dio provvide alla sacra Scrittura «in luogo della certezza di ragione, la certezza dell’autorità»[16].
La certezza è di quattro specie, potendo derivare da dimostrazione, da autorità, da illuminazione interna o da persuasione esteriore. Queste ragioni, ottime ed efficaci per chi crede, sono inutili e deboli, non hanno vigore («robur»), per chi non crede. Poiché questa dottrina ha lo scopo di generare la fede («ad generandam fidem»), era necessario che avesse la certezza d’autorità, in modo da non essere costringente per l’uomo, ma da lasciare spazio al libero assenso («per assensum liberum»)[17]. La fede umana, spesso debole e malferma, è fondata, quindi, primariamente sull’autorità di Dio che si rivela per salvare[18]. La questione sulla discordanza e sull’insufficienza dei Vangeli vede Bonaventura prendere le mosse dalla tradizione patristica, in particolare da sant’Agostino. Si crede più fermamente e chiaramente a più testimoni che a uno solo, ed è necessario che questi siano concordi. Pertanto, «perché la testimonianza fosse certa e insieme niente fosse superfluo, dispose che alcune cose fossero raccontate solo da alcuni, alcune altre fossero dette in comune, e nessuna fosse discorde» e «in ciascun Evangelista si trova quanto basta alla sostanza della fede»[19].
[1] Bonaventura da Bagnoregio, Collationes in Hexaëmeron, c. 12 n. 17 (V, 387).
[2] Cfr. R. Crivelli, L’esperienza cristiana, p. 258.
[3] Cfr. J.G. Bougerol, Introduzione, p. 14.
[4] «Questo dice il Signore:
Prenderò il midollo dell’altissimo cedro… [la divinità occulta del Verbo]
e lo pianterò sopra un monte
eccelso ed eminente……………………….. [Dio Padre lo piantò sul monte altissimo d’Israele
……………………………………………….. quando lo unì alla natura umana in Cristo]
Una grande aquila………………………….. [l’estensione della carità]
dalle grandi ali……………………………… [l’alta contemplazione]
e dalle lunghe penne………………………. [la lunga attesa]
folte di piume variopinte………………….. [le molte virtù]
venne sul Libano…………………………… [il monte dei monti, Cristo]
portò via il midollo del cedro. …………… [la divinità occulta del Verbo]
Stroncò il ramo più alto…………………… [l’eccellenza delle opere divine,
……………………………………………….. miracoli e ammaestramenti]
e lo trapiantò nella terra di Canaan.
È dimostrato che
colui che strappò la cima delle fronde…… [l’Evangelista Giovanni]
trattò di cose sublimi».
[5] «La sacra Scrittura è simile ad un amplissimo fiume, che è incrementato sempre di più dal concorso di molte acque, via via che diventa più lungo il suo corso. Infatti, nella Scrittura, dato che per primi ci furono i libri legali, in seguito sopraggiunse l’acqua della sapienza dei libri storici; terza, poi, sopravvenne la dottrina del sapientissimo Salomone, e, dopo questa, la dottrina dei santi profeti; infine, venne rivelata la dottrina evangelica, proferita attraverso la bocca della carne di Cristo, scritta dagli Evangelisti, divulgata dai santi Apostoli; si sono, poi, aggiunti gli insegnamenti che lo Spirito Santo, scendendo su di loro, diede a noi per loro mezzo, affinché istruiti così dallo Spirito Santo su tutta la verità conformemente alla promessa divina, comunicassero la dottrina di tutta la verità della salvezza alla Chiesa di Cristo e, completando la sacra Scrittura, ampliassero la conoscenza della verità».
[6] Cfr. Bonaventura da Bagnoregio, Breviloquium, Prol. 6,7.
[7] Bonaventura da Bagnoregio, In Ioan., Prooem. 12.
[8] Bonaventura da Bagnoregio, Breviloquium, Prol. 6,1-2.
[9] «Occorre ricordare che l’Evangelista non segue l’ordine delle cose come si sono succedute, ma l’ordine scelto da lui, e questo egli lo fa sovente. Quindi se un Evangelista racconta dopo ciò che un altro racconta prima, non c’è nessuna contraddizione, perché non intendono dire che le cose si sono succedute nell’ordine che essi indicano»: Bonaventura da Bagnoregio, Commentarius in Evangelium Lucae, c. 24, n. 58 (VII, 601).
[10] Cfr. V. Mannucci, Bibbia come Parola di Dio. Introduzione generale alla Sacra Scrittura, Queriniana, Brescia 199514, pp. 245-273.
[11] «Omne id, quod auctores inspirati seu hagiographi assuerunt, retineri debeat assertum a Spiritu Sancto, inde Scripturae libri veritatem quam Deus nostrae salutis causa litteris consignari voluit, firmiter, fideliter et sine errore docere profitendi sunt» (DV 11).
[12] Cfr. V. Mannucci, Bibbia come Parola di Dio, p. 258.
[13] «Haec doctrina est, ut boni fiamus et salvemur» : Bonaventura da Bagnoregio, Breviloquium, Prol. 5,2.
[14] «[…] secundum quod expedit ad salutem»: ivi, Prol. 4.
[15] «Non solum ut credamus, verum etiam ut vitam possideamus aeternam»: ivi, Prol. 5.
[16] «Loco certitudinis rationis […] certitudinem auctoritatis»: ivi, Prol 5,3.
[17] Cfr. Bonaventura da Bagnoregio, In Ioan., Prooem., 10.
[18] Cfr. Dei Verbum 5 e Dei Filius 3.
[19] «Ut certum esse testimonium et nihil continere superfluum, disposuit Spiritus Sanctus, ut aliqua singulariter narrent, aliqua communiter, nulla vero discorditer» e «in quolibet Evangelistarum substantia fidei, quantum sufficit, continetur»: cfr. Bonaventura da Bagnoregio, In Ioan., Prooem., 9.