Senza voler scecherarsi in disquisizioni a carattere psicologico dobbiamo in questo ulteriore punto valutare alcuni nodi nevralgici, senza sciogliere i quali è sensibile il rischio che il fossato tra vita consacrata e giovani rimanga tale. Nell’analisi, dobbiamo ripristinare tre punti fermi che fotografano un mondo completamente traformato rispetto a soltanto dieci anni fa. Il primo è il nostro contesto, ossia l’Europa; il secondo è il modo con il quale l’inconscio collettivo giovanile percepisce il maschio e la femmina in quanto consacrati, proiettando, quindi, su di essi la possibilità di diventare umanamente tali, oppure no, al fine di realizzarsi; il terzo punta direttamente alla nostra fedeltà – o meno – all’intuizione fondativa individuata dal nostro Fondatore, fedeltà che è «guardata a vista» dai giovani che ci attorniano.
La vita consacrata nata in Europa non è soltanto europea
Osserviamo lo scenario europeo. Detto in maniera molto realistica, a meno che non si inneschi prossimamente una «res nova» con l’inarrestabile crisi economica, i nostri Istituti religiosi non possono aspettarsi molto da un’Europa completamente invecchiata, che disprezza la famiglia e che ammicca alla modernità guardando ai suoi panni soltanto secolarizzati. Da questo angolo visuale i giovani non entrano in dialogo con la vita religiosa semplicemente perché: non ci sono; quei pochi che ci sono non hanno ricevuto una adeguata iniziazione cristiana in famiglia; quelli che l’hanno ricevuta temono potentemente di essere rubricati in una forma di vita sostanzialmente presentata come se fosse fatta di soli sacrifici e di privazioni. Fino ad arrivare ad affermare: «è troppo impegnativa da non farcela». L’unica via di uscita e di sopravvivenza che si prospetta agli Istituti di vita consacrata in Europa è quella di guardare oltre l’Europa, finché sono ancora in tempo, modalità che, infatti, viene immediatamente attuata dalle nuovissime fondazioni di cui ho parlato prima (Sermig di Torino, «Nuovi Orizzonti» di Piglio, (Frosinone), e molti altri ancora) e da quegli Istituti a diffusione mondiale che reputato un elemento oramai accessorio l’essere nati in Europa, essendosi sostanzialmente consolidati in altri Continenti. È duro ammetterlo, ma crogiolarsi troppo a disquisire sul rapporto tra giovani e vita consacrata all’interno del solo scenario europeo significa sottovalutare l’elemento teologico che oggi la Chiesa pulsa altrove[1]. Ciò nonostante, alla fine spenderò, comunque, un’ultima parola su questo ambito che – lo so bene – ci attanaglia.
Il rischio di una mancata promozione sociale
Il secondo punto fermo è il modo con il quale l’inconscio collettivo giovanile percepisce il maschio e la femmina in quanto consacrati. Anche se sono pienamente – e teologicamente – consapevole che non tutti i giovani negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso sceglievano di farsi frati e suore «solamente» per acquisire una posizione sociale di prestigio, difficilmente ottenibile in altro modo, è inconfutabile l’affermazione che l’apparato motivazionale che li guidava tenesse conto anche di questa possibilità: l’entrata in un Istituto di vita consacrata stava in equazione, comunque, con un riconoscimento pubblico di stima ecclesiale e di rispetto sociale. Oggi, invece, il mondo è completamente cambiato e quello che noi conoscevamo non esiste, oramai, più. Per una serie di convergenze, nel XXI secolo la figura femminile e maschile ha raggiunto posizioni di prestigio professionale, culturale, economico e politico tali per cui essa non solo non sente più il bisogno di ricercarle nella compagine della vita consacrata, ma, anzi, fiuta in detta compagine il rischio reale di non ottenere mai quel traguardo promessogli dalla società. Cosicché chi oggi si fa frate, suora o sacerdote, lo fa solo per un’autentica scelta di fede, come peraltro esige la prospettiva evangelica, anche se la valutazione della mera prospettiva evangelica non colma il fossato tra giovani e vita consacrata che ho registrato come «decremento della posizione sociale»; e, probabilmente, è giusto che sia così.
Espresso in termini molto più semplici, una ragazza oggi deve essere fortemente motivata ad essere un’insegnate suora piuttosto che un’insegnante «laica»: deve essere spinta, cioè, da una scelta radicale di fede. A meno che non si insinui il DNA epigenetico della dimensione missionaria, peculiare dalla vita religiosa, dimensione che tratterò, però, alla fine.
[1] Lo notava già oltre quarat’anni or sono W. Bühlmann, La terza Chiesa alle porte, Edizioni Paoline, Alba (CN) 1975, pp. 89-123.
[2] Com’è risaputo Claude Levi-Strauss (1908-2009) afferma che se l’idea costitutiva di un gruppo non viene più sostenuta dalla maggioranza del gruppo o da esso custodita, il gruppo cessa naturalmente di esistere nella storia e l’idea si vanifica nel tempo: cf C. Levi-Strauss,Strutturalismo del mito e del totemismo. Con saggi di M. Douglas, a cura di Edmund Leach, (Paperbacks Saggi 92, Newton Compton, Roma 1975, pp. 312-325.
[3] Cf A. Spadaro, «Svegliate il mondo!». Colloquio di papa Francesco con i Superiori Generali, «La Civiltà Cattolica» 165 (2014) n. 1, pp. 4-15, qui p. 5.
[4] Cf G. Tacconi, Alla ricerca di nuove identità: formazione e organizzazione nelle comunità religiose di vita apostolica attiva, LDC, Leumann-Torino 2001, pp. 237-241.
[5] Cf U. Fontana, Senza perdersi. Professionalità e relazioni pastorali, Orientamenti formativi francescani, 12, Edizioni Messaggero, Padova 2005, pp. 227-253.
[6] Cf A. Spadaro, «Svegliate il mondo!», p. 10.
[7] Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, Istruzione Il servizio dell’autorità e l’obbedienza [11 Maggio 2008], n. 13c-d , Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2008, pp. 19-20.
[8] Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, Istruzione Il servizio dell’autorità e l’obbedienza [11 Maggio 2008], n. 14a , Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2008, pp. 22-23.
[9] C. Peri, Il cammino dei Cappuccini in Italia dinanzi alle gioie e alle speranze dell’uomo oggi, in G. Pasquale – P.G. Taneburgo, ed., L’uomo ultimo. Per una antropologia cristiana e francescana, Teologia Viva 53, Edizioni Dehoniane, Bologna 2006, pp. 35-63, qui p. 55.
[10] C. Peri, Il cammino dei Cappuccini in Italia dinanzi alle gioie e alle speranze dell’uomo oggi, in G. Pasquale – P.G. Taneburgo, ed., L’uomo ultimo. Per una antropologia cristiana e francescana, Teologia Viva 53, Edizioni Dehoniane, Bologna 2006, pp. 35-63, qui p. 55-56. Poco dopo quel «Forum» Calogero Peri venne nominato vescovo di Caltagirone (2010), in Provincia di Catania.
[11] Cf G. Pasquale, Oltre la fine della storia. La coscienza cristiana dell’Occidente, (Ricerca 3), Bruno Mondadori, Milano 2004, pp. 136-142.
[12] K. Rahner, Storia profana e storia della salvezza, in Id., Scienza e fede cristiana. Nuovi saggi, IX, Edizioni Paoline, Roma 1984, pp. 11-28, qui pp. 27-28.
[13] K. Rahner, Storia profana e storia della salvezza, p. 20.