La tragedia che si sta consumando a Gaza, un conflitto che da decenni scuote le fondamenta di quella terra martoriata, ci interpella come cristiani e come esseri umani. Le immagini di morte, disperazione e distruzione che arrivano da quella striscia di terra, luogo di conflitto ma anche di speranza, sono una ferita aperta nel cuore dell’umanità. Come comunità cristiana, siamo chiamati non solo a condannare la violenza, ma anche a cercare soluzioni che portino a una pace giusta e duratura. In questa situazione, non possiamo fare a meno di richiamare le parole di Papa Francesco, che ha più volte sollecitato la comunità internazionale e i credenti a un impegno concreto per la pace, il dialogo e la fraternità.
A Gaza, come in ogni altra zona di conflitto, a soffrire sono soprattutto i più vulnerabili: i bambini, le donne, gli anziani. Le loro vite vengono stravolte da una violenza cieca che non distingue né innocenti né colpevoli, ma che colpisce indiscriminatamente chiunque si trovi nel mezzo. La guerra non è mai una soluzione. Il pensiero cristiano ci insegna che ogni vita umana è sacra e che ogni sofferenza va rispettata e alleviata. In questa logica, la tragedia che coinvolge il popolo palestinese, ma anche la stessa popolazione israeliana, non può rimanere una questione lontana dal cuore della Chiesa, ma deve diventare un richiamo alla fraternità universale.
Papa Francesco, in più occasioni, ha esortato il mondo a “fermare la spirale di violenza” e a cercare una pace autentica, basata sul rispetto dei diritti di tutti e sulla giustizia. Nel suo messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2023, il Pontefice ha ribadito: «La pace non è solo un obiettivo da raggiungere, ma un cammino che implica il rifiuto della violenza, la difesa della dignità di ogni persona e la promozione della giustizia per tutti». Queste parole sono fondamentali anche nel contesto di Gaza, dove la pace sembra un miraggio eppure è l’unica risposta che può fermare la catena di vendetta e distruzione.
Il pensiero cattolico, radicato nel Vangelo e nella tradizione della Chiesa, ci invita a non rimanere passivi di fronte alla violenza, ma a lavorare instancabilmente per una pace giusta, che non è mai solo una tregua temporanea, ma una trasformazione delle strutture di ingiustizia che perpetuano il conflitto. La pace vera si costruisce con la giustizia, con il rispetto dei diritti umani e con la tutela della dignità di ogni persona, indipendentemente dalla sua appartenenza etnica, religiosa o politica.
In questa direzione, il Papa ha lanciato più volte l’appello a un dialogo sincero tra israeliani e palestinesi, sottolineando che «la pace si costruisce solo attraverso il dialogo». Non basta fermare le armi; bisogna lavorare per la riconciliazione, per la costruzione di un futuro dove entrambe le popolazioni possano vivere in sicurezza e con pari diritti. La soluzione al conflitto non può essere solo un accordo diplomatico, ma una vera e propria trasformazione dei cuori, che spinga ciascun individuo, ciascun popolo, a superare le barriere della paura e dell’odio.
Papa Francesco ha anche richiamato le nazioni a non abbandonare la causa della pace, ma ad essere sempre impegnate a costruire ponti e non muri. La sua costante sollecitazione è quella di non dimenticare Gaza, di non permettere che la sofferenza di un popolo venga ignorata o sfruttata per interessi geopolitici.
Il ruolo della comunità internazionale, in particolare delle potenze mondiali, è fondamentale. Non possiamo ignorare che una vera pace richiede non solo l’impegno delle parti in conflitto, ma anche il sostegno concreto di chi ha la possibilità di influire sugli sviluppi politici e diplomatici. Il Papa ha sempre sottolineato la necessità di una “politica mondiale di pace”, in cui la diplomazia e il rispetto dei diritti umani diventino principi inderogabili. Il suo appello a tutte le nazioni è chiaro: «L’impegno per la pace richiede l’impegno di tutti, il rifiuto della violenza e una ferma volontà di promuovere il dialogo».
Anche la Chiesa, attraverso il suo operato, continua a essere un faro di speranza. Le istituzioni ecclesiali in Medio Oriente non sono solo testimoni di fede, ma attivamente coinvolte nell’opera di assistenza e di pace, promuovendo iniziative di aiuto umanitario e di mediazione. In particolare, le opere della Caritas, le scuole cattoliche e le iniziative interreligiose sono esempi concreti di come la Chiesa può contribuire alla costruzione di una pace giusta, che parta dai gesti quotidiani di carità e di solidarietà.
Nel mezzo di tanta oscurità, la speranza cristiana non può essere ridotta a una mera attesa passiva. La speranza è azione, è volontà di cambiamento, è impegno quotidiano per la pace. Il Vangelo ci invita a guardare al futuro con fiducia, anche nei momenti più drammatici. Papa Francesco, nella sua esortazione apostolica Evangelii Gaudium, ha affermato: «La speranza è l’anticipo di una realtà che si costruisce giorno dopo giorno, anche nel dolore». In questo contesto, il nostro impegno non deve limitarsi al sostegno materiale, ma deve essere un atto di fede che punta a trasformare il cuore di ciascuno, in un cammino che parta dal rispetto reciproco e dall’amore per il prossimo.
La sofferenza di Gaza non è solo una questione locale o geopolitica, ma è un grido che dovrebbe coinvolgere tutti noi. La Chiesa, fedele al messaggio di Cristo, non può restare indifferente di fronte alla violenza e all’ingiustizia. Le parole di Papa Francesco sono un faro che ci orienta in questo cammino: «Non possiamo permettere che la violenza vinca. Non possiamo accettare il silenzio della comunità internazionale davanti alla sofferenza». In questo momento storico, la nostra preghiera, il nostro impegno per la pace, sono più che mai necessari. Il popolo di Gaza, come ogni popolo che soffre, merita una pace che sia frutto di giustizia, di amore e di riconciliazione.
Dobbiamo sperare, ma dobbiamo anche agire, con la consapevolezza che solo una pace autentica, frutto di un dialogo sincero, può aprire la strada a un futuro più giusto e sereno per tutti.
Carlo Maria Rognoni