Gesù nel cinema
Gesù diventa sempre più kolossal
Gesù diventa sempre più un kolossal fino agli anni Sessanta. Il primo passo è con “Il Re dei re” (1927). Per girarlo servirono 5 anni, durante i quali il regista per rispettare il livello “colossale” del personaggio proibì ai membri della troupe di assumere comportamenti “non biblici”: fu vietato loro di giocare a palla e a carte, di frequentare locali notturni, di nuotare e di viaggiare in auto decappottabili. Si conclude con la prima scena girata in Technicolor della storia del cinema, la scena della Resurrezione. Dopo la guerra, “La tunica” (1953), “Ben Hur” (1959 il titolo originario è “A Tale of the Christ”, una storia di Cristo), fino a “La più grande storia mai raccontata” (1965). Il racconto è spettacolare, sterilizzando la figura di Gesù dai suoi aspetti più scomodi, facendo prevalere l’immagine di super-eroe. A Hollywood si contrappone Pier Paolo Pasolini con “Il Vangelo secondo Matteo” (1964), libero da orpelli, grezzo, tanto che nessun attore è professionista, perché la storia non ne ha bisogno.
Jesus Christ Superstar
Negli anni Settanta l’immagine di Gesù segue la voglia di rivoluzione nella confusione con “Jesus Christ Superstar” (1973) hippy-rock; con “Brian di Nazareth” (1979) commedia irriverente ma per dire che anche i rivoluzionari si vedono in lui; con “Il Messia” (1975) di Roberto Rossellini storico-educational; fino a “Gesù di Nazareth” (1977) di Franco Zeffirelli dolce patinato, un po’ biscottone.
Gli anni ottanta
Negli anni Ottanta-Novanta emerge invece un filone di ricerca col desiderio di riordinare le idee. “L’inchiesta” (1986) di Damiano Damiani, “L’ultima tentazione di Cristo” (1988) di Martin Scorsese, “Per amore solo per amore” (1993) che legge la storia dal punto di vista di Giuseppe (Diego Abatantuono), “I giardini dell’Eden” (1998) di Alessandro D’Alatri, che prova a ricostruire gli anni della vita di Gesù non menzionati dai Vangeli, “Jesus” (Rai 1999) interessante per la scelta di “traslare” le tentazioni: il Satana che appare a Gesù, gli mostra gli orrori che il cristianesimo compirà nel suo nome. Cominciano le fiction Tv: dal “Un bambino di nome Gesù” (1987-89) della neonata Fininvest al Progetto Bibbia della RAI che parte da “Genesi” (1994 di Ermanno Olmi) e arriva a “L’apocalisse” (2002).
Gli anni duemila
Col Duemila si rimischia tutto. In “The Passion of the Christ” (2004) di Mel Gibson ritorna lo stile Hollywood, dove i personaggi parlano in aramaico con realismo violento. In “Nativity” (2006) il registro è più psicologico. Canale5 propone “La sacra famiglia” (2006) che con taglio storico e sguardo teologico rilegge con discrezione i Vangeli apocrifi dell’infanzia.
Il film di Pasolini
Quale è allora il volto più bello di Gesù nel cinema? Mi aiuta a rispondere Guareschi (1952) che in Don Camillo mostra l’incarnazione “nelle storie” di un uomo. L’Osservatore Romano (il giornale della Santa Sede) quando uscì il film di Pasolini commentò così questa opera: “Fedele al racconto, ma non all’ispirazione del Vangelo”. Si dice cioè che la trama del film di Pasolini è uguale alla storia raccontata dal Vangelo, ma il senso non è fedele. In don Camillo l’esatto opposto: non troviamo il racconto della vita di Gesù, ma il messaggio è quanto di più vicino possiamo trovare al Vangelo di Cristo. Lo scopo è insegnare all’uomo ad essere uomo.
Il villaggio globale
L’educazione alla fede non avviene solo tramite la Bibbia, ma anche tramite ciò che Dio riesce a ispirare, cioè a far vibrare, come risonanza del Vangelo. Guareschi titola “storie del mondo piccolo”. Oggi siamo “villaggio globale” invece il mondo suggerito da Guareschi è a misura dell’uomo. Piccolo ma non banale, perché “essenziale”. La grandezza di questo mondo la fanno i personaggi. Lo annota dice nella prima edizione: “Non appartiene ad un luogo preciso, ma vive per tutto il mondo con i suoi don Camillo e i suoi Peppone”.
Guareschi e il lager
Ciò che mi colpisce di questi film è che lasciano il sorriso. Come può un mondo inventato comunicare nostalgia di serenità? Quando vediamo un film comico ridiamo. Qui c’è qualcosa di diverso. Da dove nasce questo sorriso? Dal fatto che Guareschi ha vissuto da internato l’esperienza dei Lager. Esattamente il mistero della passione, morte, risurrezione. Così dice di voler aiutare gli altri, attraverso il sorriso, a non arrendersi alla disumanizzazione. Così infligge un colpo al nazismo che vuole strappare la voglia di essere uomini. È il dono e mistero dell’incarnazione di Gesù: la voglia di essere uomini. Nel lager capisce che il sorriso è qualcosa di potente. È esperienza viva della “buona notizia” (Vangelo). Spesso noi ridiamo perché un film ci rende complici del male (basti pensare quando vediamo qualcuno a cui viene fatto uno scherzo pesante). La grandezza di Guareschi è farci sorridere rendendoci complici del bene: noi sorridiamo non del male che colpisce un altro, ma perché il bene vince il male.
Le parole di Papa Francesco
È la responsabilità del credente oggi. Pochi contestano Dio, ma molti sono disinteressati (cristiani della domenica e atei in settimana). La soluzione non è esortare a convertirsi, ma è mostrare come si vive con Dio attraverso i fatti. Papa Francesco cita spesso una frase di San Francesco ai suoi frati: “Predicate sempre il Vangelo, ma solo se necessario usate le parole”. Ancora: “La trasmissione della fede si può fare soltanto in dialetto, nel dialetto della famiglia, nel dialetto di papà e mamma, di nonno e nonna. Poi verranno i catechisti a sviluppare questa prima trasmissione con idee e spiegazioni. Se a casa non si parla la lingua dell’amore, la trasmissione della fede non si può fare. La fede parla la lingua di casa”. Guareschi crea delle storie nelle quali non c’è bisogno della spiegazione della fede, perché è la vita a spiegarla.
Don Camillo e Peppone
Nel film “Don Camillo Monsignore ma non troppo”, all’inizio quando Peppone diventa senatore, prima di partire per Roma dà a don Camillo il numero di telefono del Senato dicendo: “Se ha bisogno”. E don Camillo gli risponde dandogli un’immaginetta: “Se ha bisogno… per rivolgersi a lui non si deve nemmeno telefonare”. Quando alla fine del film Don Camillo torna da Roma al paesello come Monsignore, si sistema e va in chiesa a salutare il crocifisso e quando Cristo lo saluta, Don Camillo dice: “A Roma ti ho chiamato tante volte e non mi hai risposto. Dio è più vicino qui che a Roma”. Ma il Crocifisso risponde: “No Don Camillo! Dio è alla stessa distanza. Sei tu che qui sei più vicino a te stesso”.
La conclusione
C’è però la conclusione di uno dei racconti di Guareschi che è evangelica: “E fra mille anni la gente correrà a seimila chilometri l’ora su macchine a razzo superatomico e per cosa? Per arrivare in fondo all’anno e rimanere a bocca aperta davanti allo stesso bambinello di gesso che, una di queste sere, il compagno Peppone ha ripitturato col pennellino”.