Vi proponiamo la parte iniziale dell’introduzione di mons. Dario Edoardo Viganò al libro di Papa Francesco intitolato “La Gioia”, edito da LEV, Libreria editrice Vaticana, in libreria a partire dal 31 ottobre.
“La carta di identità del cristiano è la gioia, la gioia del Vangelo, la gioia di essere stati eletti da Gesù, salvati da Gesù, rigenerati da Gesù; la gioia di quella speranza che Gesù ci aspetta. E anche nelle croci e nelle sofferenze di questa vita, il cristiano vive quella gioia, esprimendola in un altro modo, ovvero con la pace che viene dalla si- curezza che Gesù ci accompagna, è con noi”.
(Francesco, 23 maggio 2016)
Introduzione
«Non esiste un cristiano senza gioia» ci ricorda papa Francesco. Una gioia che scaturisce dall’abitare la Parola, la quale scruta pensieri e sentimenti del cuore. La gioia, di cui il presente testo è occasione di continua riflessione quotidiana attraverso alcuni brani tratti dai più differenti (ed eterogenei) interventi di papa Francesco, non si identifica con il semplice sta- to d’animo di chi è felice: «Non è un semplice divertimento, non è un’allegria passeggera. Piuttosto, la gioia cristiana è un dono dello Spirito Santo». Quella di cui parla il Papa è la gioia che «ha il suo fondamento nella fedeltà di Dio, nella certezza che Lui mantiene sempre le sue promesse».
I discepoli di Emmaus
Pensiamo anzitutto all’esperienza dei discepoli di Emmaus: mentre parlavano e discutevno con il viandante ancora sconosciuto, il loro cuore probabilmente era gonfio di amarezza e delusione («Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele», Lc 24,21) perché ciò che immaginavano nei pensieri e nei sentimenti riguardo al Messia non era quanto accaduto. Probabilmente avevano coltivato alcuni progetti che riducevano il messianismo a una soluzione facile e immediata circa la situazione politica. I due discepoli, come può capitare a noi oggi, hanno sperimentato «la patologia della tristezza». Ciò nonostante, a un certo punto del cammino che li allontanava sempre più da Gerusalemme, sul finire del giorno, insistettero perché quel dialogo con lo sconosciuto non si interrompesse ma potesse prolungarsi: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto» (Lc 24,29). Si tratta, come osservava il card. Carlo Maria Martini, della «più commovente preghiera della comunità cristiana dopo la Pasqua. Essa allude alla povertà e alla solitu- dine dell’uomo che si fa più evidente nell’oscu- rità del mondo. Essa chiede che il colloquio di speranza si prolunghi» E così avviene.
La parola di Dio è viva
I due discepoli avevano ricevuto come un’intuizione del cuore che qualcosa stava accadendo dentro di loro già lungo il cammino («Ed essi dissero l’un l’altro: “Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?”», Lc 24,32). La novità, che lentamente avevano iniziato a percepire e a intuire, nasce dal fatto che Gesù, viandante per loro sconosciuto, nel cammino ha spiegato le Scritture, ha cioè messo in luce le tensioni profetiche riferite al Messia. Del resto, la Lettera agli Ebrei ricorda che «la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore» (Eb 4,12). Proprio la Parola che discerne sentimenti e pensieri del cuore orienta i discepoli a non cercare più un Messia nel trionfo, quanto piuttosto a riconoscerlo dal dono della Pasqua, dal dono del suo corpo («Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista», Lc 24,30-31).
La necessità di un cuore amico
C’è una condizione, però, perché la Parola possa dischiudere e svelare i propri misteri: necessita di un cuore amico, un cuore disponibile a un ascolto continuo. Solo così si può giungere alla gioia. «La Parola ha in sé una potenzialità che non possiamo prevedere. Il Vangelo parla di un seme che, una volta seminato, cresce da sé anche quando l’agricoltore dorme (cfr Mc 4,26-29). La Chiesa deve accettare questa libertà inafferrabile della Parola, che è efficace a suo modo, e in forme molto diverse, tali da sfuggire spesso le nostre previsioni e rompere i nostri schemi». La gioia, come un cuore pulsante, si dilata in- frangendo abitudini e paradigmi e aprendo alle continue novità che il dono della fede riserva.
I discepoli “sono abilitati alla missione”
Per questo, i discepoli, gioiosi dopo averlo riconosciuto nello spezzare il pane, sono “abilitati alla missione”: tornarono di corsa verso Gerusalemme per annunciare la buona notizia della Risurrezione: «Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: “Davvero il Signore è risorto ed è ap- parso a Simone!”. Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane» (Lc 24,33-35).
La gioia dell’incontro con il Signore Gesù
È la gioia dell’incontro con il Signore Gesù a cui i testi di papa Francesco raccolti in questo volume si riferiscono. È la gioia di cui parlano san Giovanni e san Paolo nelle loro Lettere: la gioia, cioè, di coloro che hanno la vita del Figlio, coloro che vivono dell’amore del Padre. «Non angustiatevi per nulla, ma in ogni cir- costanza fate presenti a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti. E la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù», ricorda Paolo nella Lettera ai Filippesi (4,6-7). Ai Colossesi Paolo rivolge l’invito a rin- graziare «con gioia il Padre che vi ha resi capa- ci di partecipare alla sorte dei santi nella luce» (1,12). Radicati nel dono della vita filiale in Dio partecipiamo alla comunità dei santi del Regno di Dio che «non è cibo o bevanda, ma giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo» (Rm 14,17). Ed è lo Spirito a donare la gioia: «Il Dio della speranza vi riempia, nel credere, di ogni gioia e pace, perché abbondiate nella speranza per la virtù dello Spirito Santo» (Rm 15,13).
La gioia dell’esperienza credente
La gioia, dunque, è la consapevolezza dell’essere inseriti, per dono, nella vita filiale: figli nel figlio Gesù possiamo avere la confidenza di rivolgerci a Dio come a un Padre che, sappiamo, tutto è disposto a fare per le proprie creature. È la gioia dei discepoli di Emmaus che riconoscono Gesù nel dono della Pasqua nello spezzare il pane. La gioia dell’esperienza credente è l’orizzonte entro il quale si collocano le riflessioni, a volte più brevi altre volte più distese, di papa Francesco sul tema. Il presente volume le riprende e le offre a chi desidera entrare giorno per giorno in quella fonte che mai si esaurisce della gioia che risiede nel «desiderio inesauribile di offrire misericordia, frutto dell’aver sperimentato l’infinita misericordia del Padre e la sua forza diffusiva».
I momenti di peccato
Una gioia che è dono rinnovato grazie all’amore di Dio Padre dopo il peccato di Adamo. Infatti, nella storia dell’alleanza, la gioia dell’amore per il rapporto di elezione tra Dio e il suo popolo ha conosciuto momenti di peccato, di allontanamento conducendo alla fine a un epilogo triste: alla festa di nozze dello sposo con la sposa, simbolo dell’unione tra Dio e l’uomo, nella quale è venuto a mancare il vino. Quelle nozze senza vino sono la celebrazione di un amore divenuto ormai sterile e per il quale neppure i riti di purificazione possono restituire lapassione e il sentimento che sgorgano dal sentirsi immersi dentro una relazione. Le giare per la purificazione sono vuote!