“Dobbiamo sempre star prepararti tutti, giovani e vecchi. Quando la morte arriva, di solito fa come i ladri di notte”. Così monsignor Angelo Giuseppe Roncalli, il futuro Papa Giovanni XXIII, scrisse in una lettera alla famiglia da Istanbul il 26 dicembre 1937. Il pensiero della morte accompagnò ogni giornata del Papa Buono, del quale il 3 giugno ricorrono i 60 anni della scomparsa.
Le lettere
Proprio nelle ultime settimane di vita, al volto preoccupato del suo medico personale, il professor Gasbarrini, rispose con parole pacate: “Caro professore, io ho le valigie sempre pronte”. Sono questi alcuni documenti e testimonianze raccolte nel libro Tutto il mondo è la mia famiglia (edizioni San Paolo) curato dal giornalista Emanuele Roncalli, pronipote del pontefice. Un carteggio nel quale compaiono per la prima volta lettere inedite dei genitori al figlio don Angelo che diventerà il Papa più amato del Novecento. Il libro – in vendita con Famiglia Cristiana e Credere – è arricchito da un inserito fotografico con immagini assolutamente inedite che ritraggono il pontefice e i suoi familiari.
Da oggi in edicola, l’articolo di Famiglia Cristiana
A sessant’anni dalla morte di papa Giovanni XXIII, Famiglia Cristiana e Credere dal numero 23 dell’1° giugno rendono omaggio a Papa Roncalli rendendo disponibile con le riviste in volume, l’epistolario Tutto il mondo è la mia famiglia. Lettere ai cari e risposte da cuore a cuore (9,90 più il prezzo della rivista): uno scambio della corrispondenza fra il futuro Papa, quarto di tredici fratelli e sorelle, e i genitori, quella famiglia contadina della Bergamasca che coltivava i campi a mezzadria vivendo la povertà con grande dignità e compostezza. Con un esclusivo inserto iconografico, una riproduzione di lettere e ricordi personali fra cui vecchie fotografie, la contabilità di un’annata agraria, la pagella del giovane Angelo Roncalli al collegio Celana, l’albero genealogico scritto di suo pugno.
Il carteggio
«Nel carteggio si respira l’humus in cui è cresciuto e da cui ha tratto motivo di conforto ed edificazione. I suoi genitori, Battista Roncalli e Marianna Mazzola, furono i primi modelli ed educatori. In una lettera scriveva che l’educazione che lascia tracce più profonde è sempre quella della famiglia, infatti aveva dimenticato molto di quello che aveva letto sui libri ma ricordava benissimo tutto quello appreso dai genitori e dai vecchi. La sua era un’educazione basata sull’esempio», racconta il pronipote Emanuele Roncalli, giornalista e curatore di questa raccolta appassionata di lettere, autografe o dattiloscritte, di cui una cinquantina inedite dalla famiglia a lui, inviate fra il 1901, subito dopo il suo arrivo al Pontificio Seminario Romano (grazie a una borsa di studio della Fondazione Flaminio Cerasola), e il 1935. La dedica è al nonno Giuseppe, ultimo dei fratelli di papa Giovanni XXIII. Le cose concrete della vita, gli umili affetti, dal valore insostituibile, vero perno di questi messaggi epistolari, sono un modo per approfondire la parabola umana e spirituale del “Papa buono” (cliché riduttivo per l’autore), del Papa, oggi santo, dell’apertura della Chiesa al mondo e che a quella Chiesa ha cercato di dar forma di famiglia con il dialogo ecumenico, il Concilio Vaticano II, che peraltro non vide terminare.
La famiglia
Nella lettera del 16 febbraio 1901 alla famiglia, punto di riferimento solidissimo della sua intera vita, scriveva che per i suoi cari non aveva mai desiderato altro bene all’infuori dell’essere buoni cristiani, «virtuosi rassegnati nelle braccia amorose della Divina Provvidenza e in pace con tutti», concetti chiave del suo pensiero e alla base prima che del suo operato religioso del suo essere umano, da cui l’interrogazione: «che varrebbe infatti possedere anche tutto l’oro del mondo quando si avesse a perdere l’anima?». Famiglia per lui significava prima di tutto accoglienza, condivisione della quotidianità, non lasciare indietro nessuno. Famiglia che, come scriveva in una lettera del 1958, si amplia con l’elezione a pontefice e diventa il mondo intero. «Quella di origine era numerosa, con trenta bocche da sfamare tre volte al giorno, eppure la madre non negava una scodella di minestra a nessun mendicante che bussava. Ecco l’esempio. In una commovente lettera l’allora don Angelo si rivolgeva alla madre come alla persona più cara che aveva sulla terra, sottolineando che la lontananza non indeboliva i legami ma rendeva più viva e gentile la tenerezza filiale». (Francesca Fiocchi per Famiglia Cristiana).