È un testo che chiede impegno, ma ripaga ampiamente della fatica, il libro di Salvatore Abbruzzese Effetto don Giussani. Società italiana e senso religioso dagli anni ’50 ad oggi (Morcelliana, 2024): osserva con precisione gli elementi che contraddistinguono l’Italia degli anni Cinquanta leggendone in profondità le implicazioni sociologiche e indagando sulle cause che generano i fenomeni, mettendoli in relazione all’impatto che ha suscitato il carisma di don Luigi Giussani.A quali domande della società italiana, e in particolare dell’universo dei giovani, l’iniziativa di don Giussani ha finito per rispondere? Sociologicamente parlando, il successo del sacerdote di Desio va rintracciato nella sua formidabile capacità di relazionarsi con la modernità, comprendendone in maniera profetica l’andamento e formulando una proposta per un verso attraente e al tempo stesso in grado di rispondere alle aspettative talora nemmeno chiare di chi, in qualche maniera, ne avvertiva come esito esistenziale il disagio. È in questa capacità di leggere in anticipo sui tempi l’emergere di condizioni completamente nuove e in qualche modo rivoluzionarie a rendere don Giussani un genio estremo.
La recensione
In un contesto in cui ancora in maniera ordinaria ed in qualche modo scontata tutto il patrimonio di convenzioni, forme sociali, strutture di relazioni e modi di vita venivano assimilati dai giovani senza troppe discussioni, don Giussani legge un malessere che seppur presente, non è ancora riconosciuto. (…)
E poi – osserva acutamente Abbruzzese – ci sono, nell’Italia del dopoguerra, altri dati in grado di esercitare un crescente interesse perché capaci di diventare in breve enzimi attivi del cambiamento di una mentalità. Cinema, rotocalchi, televisione e sport rilanciano l’ottimismo come nota dominante assoluta della vita: la felicità è accessibile e c’è un capitale di emozioni convincenti che consentono un approccio gaio alla vita. Ma era una gaiezza che, come profeticamente aveva detto Del Noce, costituiva l’anticamera del nichilismo. Quello che intercetta don Giussani nel calibrare la sua proposta è un soggetto in ritirata: apparentemente sofisticato e intellettuale, nei fatti incapace di elaborare un pensiero in grado di riflettere su sé stesso e proiettarsi in forma critica verso la realtà. (…)
Lo scontro di don Giussani contro la cultura della liquidazione della ricerca di un senso dell’esistenza si realizza nella scuola, perché è proprio lì che le domande, la ricerca di un senso, sono evacuate, vengono considerate malsane e inutili. Mentre lui sostiene che sono il midollo del soggetto e mostra ai ragazzi il proprio volto e le sue tensioni e, soprattutto, si concede per intero, incondizionatamente, quasi in maniera spregiudicata – dando tutto sé stesso – nel rapporto con questi giovani che in continuazione incontra. Come attesta uno di loro (Giorgio Feliciani): ci seguiva a uno a uno, ci invitava a parlare con lui, ci veniva a prendere a casa coinvolgendo anche i nostri genitori, dava sempre a ciascuno qualcosa da fare.
Don Giussani e i ragazzi
Osserva Abbruzzese che quel dispositivo umano messo in moto da don Giussani nei suoi ragazzi, quello spronarli a non accontentarsi, ad entrare nel fondo della propria umanità brandendone un’istanza di significato, nel tempo non solo è in grado di generare soggetti resilienti, ma donne e uomini che si mettono insieme ed incidono profondamente nella società contemporanea, facendo cultura, scuole, opere. Emblemi eccellenti di queste architetture ardite sono il Meeting di Rimini o il Banco Alimentare, espressioni di un cattolicesimo incidente nel tessuto della società contemporanea che se non ne riconosce la struttura identitaria, ne accoglie oggi indubbiamente il valore. (…)
In conclusione, le ragioni del successo di don Giussani risiedono essenzialmente in un dialogo riuscito tra un sacerdote insegnante di religione e un universo studentesco secolarizzato. Dietro all’indifferenza, talvolta ostentata, c’è un bisogno umano non riconosciuto.
Estratto dell’articolo di Pauli Preuss su Sussidiario.net
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