Nella prima e seconda lettura della VII domenica di Pasqua, quella che segue l’Ascensione (ufficialmente, cade di giovedì; per motivi pastorali, è quindi consentita – e prevalente – la scelta di posticiparla a domenica, per favorire una maggiore partecipazione di popolo), possiamo leggere, nella prima e seconda lettura proposte dalla liturgia le vicende di Mattia e di Giuda.
L’elezione e il popolo eletto
L’elezione è – per il popolo d’Israele – un concetto imprescindibile. La consapevolezza di essere il “popolo eletto” ne ha sempre forgiato la coscienza come popolo differente da tutti gli altri e che, per tale motivo, aveva ragione d’essere separato dagli altri.
Essere scelto
Essere scelto è – tutto sommato – un’esperienza abbastanza familiare, per ciascuno di noi. «Quando so che sono scelto, so che sono stato visto come una persona speciale. Qualcuno mi ha notato nella mia unicità e ha espresso il desiderio di conoscermi, di avvicinarsi di più a me, di amarmi. […] siamo stati visti da Dio, da tutta l’eternità […] come esseri unici, speciali, preziosi»[1].
Tuttavia, è bene puntualizzare un aspetto importante. Abituati ad esperienze infantili, come la scelta dei giocatori per formare le squadre o altri vissuti simili, ci è capitato – almeno in un ambito della nostra vita – di provare la “frustrazione” di essere dalla parte dei “non scelti” (o di quelli scelti per ultimi, che, nei fatti, non è molto differente). In Dio, però non è così. Il grande mistero spirituale è che «essere scelti non significa che gli altri sono rifiutati»[2]: «essere scelti come gli Amati di Dio è qualcosa di radicalmente diverso. Invece di escludere gli altri, li include. Invece di rifiutare gli altri, li accetta nella loro individuale unicità»[3].
Il numero degli apostoli
Leggendo il Vangelo, è chiara una cosa, che sottolinea Marco, nella sua essenzialità: Gesù chiamò a sé “quelli che volle”[4], perché “stessero con lui”[5]. Non altre richieste particolari, curriculum altisonanti, prospettive ambiziose di guadagno o di successo. Una sola l’aspettativa. Rimanere con il Maestro. Questo l’unico obiettivo della selezione più ristretta, effettuata da Gesù di Nazaret. Il numero divenne dodici. Loro, nella storia e nei secoli, sono diventati e rimarranno, nella memoria, semplicemente, come “i Dodici”. Impossibile pensare un numero diverso, per qualsiasi ebreo. Dodici, simbolo di pienezza. Dodici, come le tribù d’Israele. Dodici anche gli apostoli, dunque: principio del Nuovo Israele.
L’esperienza di Giuda
Parlare di Giuda lacera il cuore del Maestro. Il “figlio della perdizione”[6]. Eppure quanto avrebbe desiderato che anche lui avesse potuto non perdersi! Chiamato, come gli altri Undici. Come gli altri, presente in quell’Ultima cena, contrassegnata da una mestizia particolare. Eppure, già prima, i segnali c’erano, di uno scollamento dal Maestro. Come quella propensione al denaro, per cui parve preferire che quei trecento danari di profumo non fossero un sollievo per Cristo, ma per i poveri (quella, almeno, era la versione ufficiale!)[7]. Vengono i brividi, ogni volta, a pensare che – anche adesso – spesso è questo che sentiamo commentare, persino all’interno di ambienti ecclesiastici. Perché di questo si tratta, quando le attività sociali della chiesa sono accettabili, ma non altrettanto si può dire dei luoghi di vita contemplativa, spesso giudicati inutilmente dispendiosi – uno spreco: esattamente come l’unzione di Betania! –.
Testimone sorteggiato
Come presso altri popoli dell’antichità, anche presso i Giudei era abbastanza diffuso l’utilizzo della sorte come metodo per scoprire la volontà divina. Presso i Romani erano in auge gli aruspici, i Greci ascoltavano gli oracoli. Nel I secolo, anche i giudeo-cristiani si affidavano a quello che oggi chiameremmo azzardo, per le scelte importanti, come riportano anche diversi episodi dei vangeli apocrifi. Questo, ai nostri occhi, potrebbe essere motivo di riprovazione o – quanto meno – di minor prestigio di Mattia, rispetto agli altri apostoli. Va ricordato, però, che il ‘sorteggio’ non era del tutto incontrollato. Vi era già una preselezione, dal momento che si stava cercando, qualcuno che dal principio avesse ascoltato Gesù e fosse stato, quindi, testimone della sua risurrezione; di più, nello specifico, si cercava qualcuno che avesse seguito il rabbi di Galilea dal Battesimo nel Giordano alla sua Ascensione La selezione era, dunque, già, molto precisa e ristretta a due persone. La probabilità era al 50%. [8].
La risposta di Mattia
Mattia me lo sono sempre visto così. Come una tenace riserva. Un tipo determinato, presente a tutti gli allenamenti, dedito alla squadra, preciso nella fedeltà. Mattia è quello che “c’è sempre stato”, da prima che ti accorgessi ci fosse. Era sempre lì, sempre pronto. A portare l’acqua all’infortunato, il tè all’infreddolito. Non che non gl’importasse di entrare in campo anche lui… siamo sinceri: chi pensa davvero che sia indifferente giocare o no, nello sport? Era solo che capiva. Capiva che non tutti si entra in campo allo stesso momento. Che, se agli occhi dei più era solo un “rincalzo”, al momento opportuno, anche i rincalzi possono diventare rilevanti, nella storia.
“Nato pronto”
La realtà è che Mattia era nato per quel momento. Lo aveva preparato in ogni singolo istante. La sua vita era per quel momento. Per farsi trovare pronto quando, da quattordicesimo, puoi diventare il dodicesimo: l’uomo che completa la formazione. Quello che, finalmente, scende in campo coi titolari, dopo lunga e faticosa gavetta. E alla domanda: «Valeva la pena tutta quella panchina?», senz’altro, Mattia avrebbe risposto di sì. Perché è proprio quella lunga, infinita panchina ad aver “costruito” il suo ingresso in campo, quando “il tempo era compiuto”[9].
Tratto da: Sulla strada di Emmaus
[1] H. NOUWEN, Sentirsi amati, Queriniana, 1992, p. 43
[2] Idem
[3] Ibidem, p. 45
[4] Vd. Mc 3, 13
[5] Vd. Mc 3, 14
[6] Cfr. Gv 17, 12
[7] Cfr. Gv 12
[8] Cfr. At 1, 21-23
[9] Cfr. Mt 4, 15