Un invito. Per tutti. Nessuno escluso. La seconda domenica dopo la Dedicazione, quest’anno, cade in modo particolare, liturgicamente parlando, poiché si trova a seguire immediatamente le celebrazioni festive in occasione dei santi e dei defunti. Un motivo in più di riflessione sulla santità.
L’eunuco
Il brano di Isaia 56, richiamando l’eunuco e lo straniero, esemplifica il “lontano da Dio”, per definizione, secondo la mentalità ebraica. L’invito è a non scoraggiarsi, ma, al contrario, pensare possa esserci speranza anche per lui, affinché non sia «albero secco»[1], con riferimento alla mancanza di fecondità che caratterizzerebbe, almeno apparentemente, l’eunuco. Al contrario, purché si mantenga fedele alla legge di Dio, cioè in relazione con Lui, non gli è preclusa la possibilità di esserGli gradito. Uno squarcio di sorprendente misericordia che illumina l’esistenza di chi ha avuto a che fare con una vita talvolta difficile, segnata dall’incomprensione o dall’emarginazione.
Lo straniero
Lo straniero è – di per sé – in una posizione inevitabilmente scomoda. Ha lasciato il noto per l’ignoto: si trova ad affrontare la novità, essendo lui novità per qualcun altro. Perché, poi, inevitabilmente, in questo caso, si tratta sempre di prospettiva. Straniero per chi? Tutti, prima o poi, nella nostra vita, ci siamo ritrovati ad essere stranieri per qualcuno. Perché essere stranieri, alla fine, significa essere estranei ai modi, agli usi, ai costumi, ai “non detti” della maggioranza. E, in un luogo come l’Italia, dove ogni paese è un mondo, basta fare pochi chilometri per trovarsi con una parlata o un accento differenti che tradiscono molte altre differenze: mentalità, modi di vivere, orari di pranzo e di cena, orari di aperture dei negozi e degli esercizi commerciali, festività e feste patronali. Distanze geografiche anche piccoli finiscono per diventare l’anticamera di distanze abissali dei modi di fare e di pensare.
“Pagani nella carne”
La seconda lettura, tratta dalla lettera agli Efesini, lascia trapelare l’annosa questione che ha lacerato la chiesa delle origini: circoncisione sì o no? Era necessario “passare” dalla religione ebraica, per potersi dire cristiani?
Paolo disse di no, sulla base di un ragionamento cristocentrico. In Cristo, il patto era stato rinnovato. È lui la pietra angolare[2]: non solo il riferimento imprescindibile o il modello ineguagliabile. È lui il compimento della Legge. Che, senza abolirla, la conduce al suo vertice. In lui, è offerta in cui nessuno si sente straniero, perché accolto in un amore che precede e non è più marchiato in modo esclusivo con una sola cultura.
E così, da un nugolo d’uomini della provincia di Galilea, i “pagani nella carne”, gli incirconcisi, entrarono a far parte della medesima Alleanza di Abramo, Isacco e Giacobbe. Risposero all’invito. Intonsi nel corpo, non gli fu chiesto di meno. Perché, se la vera circoncisione è quella del cuore, ciascuno è chiamato a lacerare un pezzo di sé in nome della sequela. Perché tutti abbiamo quel “qualcosa” a cui siamo legati e che diventa appunto un legame, cioè un ostacolo al camminare spediti.
Un rischio concreto: l’alibi perfetto
La parabola lucana del padrone che invita al proprio banchetto[3] ci ricorda proprio come il problema sia riuscire a “ordinare” la costruzione in Cristo. Ci fa sorridere, leggendo il brano, pensare alla varietà di scuse che i vari invitati adducono, pur di non presentarsi: un campo da guardare, dei buoi da provare, il matrimonio. Ma, in fondo, non è affatto infrequente rispondere «No, grazie» all’invito di Dio, che, al contrario, è desideroso di vedere una sala “piena di invitati”. Spesso, poi, gli alibi sono ancora meno degni di nota di quelli evidenziati dal Vangelo.
Una chiamata per tutti
Ma il Vangelo vuole soprattutto portare una parola di speranza. A maggior ragione, in prossimità con la celebrazione di Ognissanti, è bello ricordare la grande verità che la chiamata alla santità è invito universale: rivolta a qualunque uomo e donna sulla terra, nella ferma convinzione che una vita santa è piena e realizzata, in quanto conforme alla volontà di Dio, unico amante in grado di congiungere compiutamente eros e agape in un unico abbraccio in cui il desiderio perfetto dell’altro si fonde con la donazione totale di sé.
[1] Vd. Is 56, 4
[2] Vd. Ef 2,21
[3] Lc 14, 1-24
Rif. letture festive ambrosiane, nella II domenica dopo la Dedicazione
Vedi anche: La santità possibile
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Fonte testo: Sulla strada di Emmaus