Aprirà al pubblico nel 2027 il Dipartimento delle Arti di Bisanzio e dei Cristiani d’Oriente del Louvre. Il museo parigino ha acquisito l’eccezionale collezione di icone riunita in Libano da Georges Abou Adal e integrata dal figlio Freddy Abou Adal, che completa la raccolta esistente, che dal 2022 è stata arricchita da altre acquisizioni. La collezione della famiglia Abou Adal comprende 272 icone cretesi, greche, balcaniche, transilvane, vlacche, russe, levantine e melchite e illustra, quindi, la diversità dei centri di produzione e degli scambi culturali dal XV secolo all’inizio del XX secolo. È inoltre notevole per l’abbondanza di firme di artisti qui rappresentati. Infine, contiene un raro gruppo di icone prodotte nel contesto della rinascita del patriarcato greco di Antiochia nel XVII secolo, in particolare ad Aleppo, e da cristiani di lingua araba in Siria, Libano e Gerusalemme.
L”acquisizione della collezione Abou Adal è un atto fondante per il Dipartimento di Arte Cristiana Bizantina e Orientale, che accoglierà i suoi primi visitatori tra due anni. Il Louvre è oggi una delle poche collezioni museali al mondo in grado di illustrare una tale diversità nelle regioni di produzione delle icone, dall’VIII secolo con il Cristo e l’abate Mena scoperto a Baouît, nel Medio Egitto, all’inizio del XX secolo con il trittico imperiale raffigurante San Nicola, Sant’Alessandra e Sant’Alessio.
La maggior parte della collezione di Abou Adal è stata costituita tra il 1952 e l’inizio degli anni Settanta, ed è stata integrata di volta in volta da acquisizioni all’asta pubblica negli anni Novanta dal figlio. Si tratta di una delle più notevoli collezioni di icone in mani private. La collezione comprende oggi 272 opere, che illustrano la produzione dall’inizio del XV secolo ai primi anni del XX secolo.
Comprende icone dell’iconostasi (icone ‘dispotiche’, cioè della fila inferiore dell’iconostasi; icone dodekaorton, cioè della fila delle dodici feste principali della Chiesa ortodossa; porte reali, cioè le porte centrali dell’iconostasi; croci dell’iconostasi; icone proskinetaria, cioè esposte per la devozione dei fedeli su espositori in occasione di alcune feste particolari, ecc. ), icone devozionali private e un bel gruppo di trittici e dittici che illustrano anche particolari devozioni.
La collezione illustra anche la diversità dei centri di produzione: i Balcani, con botteghe in Epiro e Tracia, oltre a quelle delle comunità greche di Costantinopoli e dell’Asia Minore; la Valacchia, con importanti opere in stile ‘Brâncovanesc’, e la Transilvania, con commoventi icone sotto vetro; quelle dei Balcani slavi (Serbia o Macedonia settentrionale); quelle della Russia settentrionale, del Nord-Ovest, come Novgorod, della Russia centrale, come Mosca, Yaroslavl, Palekh, Mstera e quelle dei ‘Vecchi Credenti’; infine, e questa è la caratteristica più notevole della raccolta, essa comprende un gran numero di icone levantine (di Gerusalemme) e melchite. La maggior parte di queste ultime è stata acquisita prima della mostra tenutasi nel 1969 al Museo Nicolas Sursock di Beirut, che fu considerata una vera e propria rivelazione di un’espressione artistica pressochè sconosciuta all’epoca.
La collezione Abou Adal si distingue per la presenza di molte icone riconosciute da decenni come di notevole qualità. Oltre alle icone firmate da maestri, altre sono attribuibili con certezza a grandi pittori come Mikhail Damaskinos o i fratelli Georgios e Frangos Kontaris, ad esempio. Alcune iconografie sono estremamente rare, come la Festa dell’Ortodossia, che rappresenta il ripristino del culto delle immagini dopo la crisi iconoclasta, la Divina Liturgia o la rappresentazione simbolica dell’Eucaristia. Essi testimoniano la vivacità della pittura cretese nel suo periodo di massimo splendore.
In ambito melchita, si possono citare le rappresentazioni di Sant’Eliano di Homs, dei Quaranta Martiri di Sebaste, le rappresentazioni dei santi stilita Simeone il Vecchio e Simeone il Giovane. Queste iconografie corrispondono al rinnovamento dell’agiografia nella Siria e nel Libano del XVII secolo, con l’obiettivo di promuovere i santuari locali e rivitalizzare le comunità religiose della regione attraverso i pellegrinaggi e la devozione ai santi. Tra le rarità iconografiche della collezione c’è anche una grande icona del Primo Concilio di Nicea.