Come ogni martedì torna la rubrica dedicata alla figura di Tommaso da Olera, il frate cappuccino vissuto a cavallo tra Cinque e Seicento e proclamato beato nel 2013. Il testo è tratto da “Tommaso da Olera, un anno con un mistico del Cuore di Gesù” di Sergio Calzone. Le riflessioni di oggi.
Fra Tommaso non esita a ricorrere anche alla giaculatoria per esprimere quell’incontenibile amore per il Cuore di Gesù in occasione della narrazione di una circostanza fondante quante altre mai, come l’istituzione della Comunione.
Se prendiamo a nostro esempio la Giaculatoria a Gesù Cristo e accostiamo alle singole voci di quella gli elementi contenuti nel brano scelto, vedremo che essi ne sono quasi una parafrasi e certamente derivano dalla lunga pratica «sul campo» di questo frate eccezionale che potrà averla recitata inginocchiato al fianco dell’arciduca Leopoldo d’Austria oppure di un mugnaio o di un minatore della valle dell’Inn, essendo importante per lui soltanto la fiamma luminosa e bruciante dell’amore per Cristo.
Giaculatoria a Gesù Cristo
Gesù, confido in Te!
Signore, se vuoi, tu puoi sanarmi.
Signore, aumenta la mia fede.
Signore, fa che io veda.
Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio,
abbi pietà di me peccatore.
Gesù, perdona le nostre colpe preservaci
dal fuoco dell’inferno e porta in cielo
tutte le anime, specialmente le più bisognose
della tua Misericordia.
Gesù, Dio mio, ti amo sopra ogni cosa.
Gesù mio, ti dono il cuore e tutto me stesso,
fa di me ciò che più ti piace.
Ti adoriamo, o Cristo, e ti benediciamo
perché con la tua santa Croce hai redento
il mondo.
Sia lodato e ringraziato ogni momento
il Santissimo e Divinissimo Sacramento
Cristo vince, Cristo regna, Cristo impera.
Insegnami a fare la tua Volontà
perché sei il mio Dio.
Signore salvaci perché siamo in pericolo
Resta con noi, Signore, non ci lasciare.
Ave, o Croce, unica speranza.
Pietoso Signore Gesù dona loro riposo e pace.
Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente.
Liberami dal male, o Signore.
Il tuo Volto, Signore, io cerco.
I «coltelli» di Maria sono il suo trionfo
Si è già accennato altrove come Joseph Ratzinger, in L’infanzia di Gesù, ricordi le parole di Matteo, più volte ripetute: «Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore», per cui molti particolari «non potevano diventare tradizione pubblica» e non dopo la morte della Madonna, anche se per sommi capi, data «la discrezione» di Maria.
A maggior ragione, il tumulto di sentimenti seguiti, nel cuore umano della Madre di Dio, alla resurrezione di Gesù dovettero essere difficilmente riferibili e non soltanto per «discrezione», ma perché così strettamente legati alle fibre stesse del suo cuore, che nemmeno il considerare figli gli apostoli dovette rendere possibile aprirsi con loro su emozioni che «lingua mortal non dice».
Avanti a la assensione del figliuolo di Dio apparve molte volte a la sua diletta Madre, ma in particolare le apparì, sì come piamente si deve credere, poco avanti che assendesse al cielo. E sebene apparve a li santi apostoli l’ultima volta avanti che salisse al cielo, essendo presente la Beata Vergine, apparve nondimeno ad essa sola, dicendo a la sua cara Madre queste e altre simile parole: «Carissima e amantissima mia Madre, regina delli angeli, dovendo io partirmi dal mondo per andar al cielo, avendo io adempito le profezie, avendo io fato l’obedienza de l’eterno mio Padre, avendo io redento il genere umano, avendo io elletto li miei apostoli e dissepoli, avendo io commesso ad essi che vadino per l’universo mondo a predicare il mio santo Evangelio, e però voi, carissima Madre, dovete restar al mondo ancora per refriggerio e aiutto de’ miei disepoli, perché voi, o dignissima Madre, sarete la base, la fortezza della mia chiesa, e li miei apostoli verano a voi per aiuto e conforto ne’ suoi travagli e affanni: e voi a guisa di cara madre consigliarete, darete documenti di vita. E vi aringrazio, o amantissima Madre, delle fatiche che per me avete fato e patitto; e per agrandir meglio la vostra gloria e corona, restarete ancor un poco di tempo al mondo, sino a tanto che si fondi la mia chiesa. E se bene patirete molti travagli, voi e li miei apostoli, sarano però anco la vostra e loro allegrezza; e tanto più si agrandirà la vostra consolazione perché sarò sempre con voi e con li miei dissepoli. E la gloria vostra si agrandirà nella celleste patria e anco goderà l’anima vostra, che vedrete con propri ochi maraviglie de’ miei apostoli, perché godrete con estrema vostra gloria le conversione de città, di regni e di province, e di molti che si convertirano e verano a voi per vedervi; e voi, o amantissima Madre, li fortificarete nella fede e goderà in veder tante anime che conoserano me, loro Dio, e voi, mia Madre. E li miei apostoli che sarano di lontano scriverano a voi e voi scriverete ad essi, consolandoli e fortificandoli; e io, o inefabile regina, andarò al cielo e presto manderò sopra di voi ’l Spirito Santo, acciò li miei apostoli siano ammaestrati e illuminati nella vera intelligenza della Sacra Scrittura. (Selva, 279).
L’ANIMA DEVOTA
Come sempre, l’«anima devota» di Fra Tommaso interpreta, elabora, espande il dettato dei Vangeli, in quello sforzo di adesione al Cristo, al suo cuore, che è il segno distintivo di questo cappuccino tanto precursore, rispetto al suo tempo.
Il suo slancio, insieme mistico e poetico, non arretra nemmeno davanti a immagini che l’odierna antropologia potrebbe giudicare audaci, se non addirittura pericolose.
Quanto bene può esser Maria, nostra Signora, luna chiamata, quale con li suoi celesti e chiari raggi benedice e loda il suo Dio e anca figlio. Le stelle sono tutti i santi, quali risplendono cantando con incessabili voci Sanctus, sanctus, sanctus [Ap 4,8] nell’altezza di Dio: e sì come dal sole materiale nasce il splendore nella luna e nelle stelle, così le stelle, che sono gl’angeli e santi, e la luna, che è Maria nostra Signora, riccevano l’amore, la chiarezza del celeste sole e con questo amore e chiarezza possedono e gustano quella gloria, la qual nasce dal sole di giustizia, nostro vivente Dio. (Scala, 185)
L’evocazione di Maria-luna potrebbe, oggi, rimandare ai tanti studi che recuperano la figura di Diana (e della greca Ecate, se non, addirittura, di Iside) come dea «cristianizzata», appunto, in Maria, e che si appoggiano sulle immagini, non a caso barocche, che la vedono con i piedi appoggiati sulla falce di luna, come simbolo della sua vittoria sul mondo della morte, tutto ciò recuperando, tuttavia, credenze genericamente definite «pagane» ma ben radicate in quella cultura popolare che proprio la Controriforma aveva scoperto meno permeata di Cristianesimo di quanto, un poco sbrigativamente, si era creduto.
Qui, l’immagine utilizzata da Fra Tommaso è, in realtà, soprattutto riferita al concetto di luce riflessa da quel «sole» che è Cristo, ben poco curandosi, certamente, di ricalcare meccanismi dell’immaginario, che attribuiscono da sempre al sole una valenza maschile e alla luna una femminile. Il contesto, infatti, travalica queste convenzioni e introduce non a caso il firmamento stellato (anch’esso, qui, riflesso del sole), popolato di santi, sante e angeli, sopravanzando la separazione tra maschile e femminile.
Ciò che davvero importa all’autore è mostrare come «i coltelli» che tormentavano il cuore di Maria, fin dalla presentazione al Tempio dell’infante Gesù, ora si sono trasformati in pura gioia e che i tormenti passati sono nulla, di fronte alla gloria del Figlio e alla sua riconoscenza per una madre che, non a caso, era stata eletta dal principio dei tempi, poiché ha adempiuto al suo compito in un modo che la distingue dall’umano e che la trasforma nella Madre assoluta, cioè nella Madre dell’umanità intera.
Perciò, che cosa può fare Fra Tommaso, se non innalzare, in Scala di perfezione, un’Orazione alla Beata Vergine?
O gloriosa imperatrice degl’angeli, o dignissima Madre di Dio, o bellezza, o ricchezza, o adornamento del Paradiso, o tra tutte le donne la più favorita, o avocata de’ peccatori, o regina del cielo e della terra, o mia amantissima Signora, avocata, protetrice, o mia fortezza, voi, o cara e carissima Maria, sete la gloria mia ed ogni mia felicità. E senza di voi, o cara Maria, che potrà mai far, l’anima mia? E conoscendovi io, o Santa Maria aiutatrice, che tutte le cose potete, perché voi sete la tesoriera del cielo e tutte le grazie dipendono da voi, e però riccorro, o gran Madre di Dio, alla vostra pietà, acciò soccoriate me, vilissimo ed indegnissimo servo vostro, il qual sarebbe preparato per gloria vostra di dar mille vite alla morte per la diffesa vostra, aiutandomi il vostro figlio. E se è vero, lo sapete, o dolce regina, che nel specchio della divinità lo potete vedere. Sapete pure, o Madre di Dio, quello che brama e desidera il mio cuore; ed ormai date compimento alle dimande mie. E quali siano le mie dimande lo sapete, o mia avvocata, che è tant’anni che io batto alla porta della vostra pietà: movetevi ormai a compassione, poiché io muoro, io languisco. E più non tardate: accostatevi a me, toccate il mio cuore, acciò reviva nell’amor puro, filiale del vostro figlio, mio Signore e Dio. Ah, Maria, che io non v’addimando Paradiso, gloria, gusti, contenti, solo voglio amare, servire il vostro figliuolo con il maggior amore che mai sia stato amato da’ santi; e quando poi l’averò amato, servito in quel modo che vuole essere amato, io allora mi contenterò d’arder nell’Inferno, non già per miei peccati, ma per gloria di Dio, non volendo esser separato dalla maiestà sua. E se io dico la verità lo sapete voi, o Dio dell’anima mia e cara Maria. (Scala, 228-229) (55).