Come ogni martedì torna la rubrica dedicata alla figura di Tommaso da Olera, il frate cappuccino vissuto a cavallo tra Cinque e Seicento e proclamato beato nel 2013. Il testo è tratto da “Tommaso da Olera, un anno con un mistico del Cuore di Gesù” di Sergio Calzone. Le riflessioni di oggi.
Il calvario
Rimirava il povero Giuda, che doveva esser traditore, avendo compassione della sua disgrazia: e mi dà a credere che a lui usasse particolar amorevolezza, con sguardi e parole dolce, dandogli parte delle instesse vivande che doveva mangiar il Salvatore, cercando pure di ridure quella peccora dispersa a l’ovile. Disse anche queste celeste parole alli suoi amati figlioli, che quella notte lo averiano arbandonato: dove che, rispondendo Pietro che, si tutti l’averiano arbandonato, lui non l’averia mai fatto, e che più presto saria morto con lui che fare una cosa tale, rispose il Signore che, avanti il gallo cantasse, lo averia trei volte negato. Disse anche che uno di duodeci l’averia tradito, e questo diede gran noia alli apostoli, rispondendo Giuda e dicendo: «Sarò forsi io quello?»; disse il Signore: «Tu lo hai detto» [Mt 26,25]. Ma li altri, aggravati di dolore che il maestro aveva detto che uno de loro lo doveva tradire, non lo intesero; ove l’apostolo Pietro, conferendo con l’apostolo Giovanne, lo pregò che domandasse al Signore chi avesse da essere quel traditore; ove bisogna dire che S. Giovanne fusse appresso il Signore, poiché ebbe più di altri commodità di far tal dimanda. E accostandosi alle orechie del Signore disse: «O caro maestro, vi prego che vogliate manifestare qual di noi ha da essere quel traditore». E disse il Signore a Giovanne: «Quello sarà al qualle io darò il pane intinto nel mio piatto» [Gv 13,25-26]. E cosi dando il pane tinto a Giuda, conobbe S. Giovanne chi era il traditore e lo rivelò a Pietro e alli altri; ove il povero diletto del Signore S. Giovanne da dolore si appogiò al petto del suo maestro, ove imparò cose tale che sino a quest’ora parte si sono manifestate e parte si manifestaranno sin che durarà il mondo, come apar nella Apocalisse. (Selva, 203)
È uno scenario classico che tutti abbiamo davanti agli occhi, non fosse altro che per il capolavoro di Leonardo da Vinci (ma si potrebbero citare Giotto, Tiziano, Rubens, Tintoretto, il Ghirlandaio, Perugino, Andrea del Castagno e infiniti altri).
Il tradimento di Giuda
Fra Tommaso insiste molto sul tradimento di Giuda, anche in altri luoghi di Selva di contemplazione, e li vedremo. Naturalmente, questa insistenza è del tutto naturale, poiché si tratta, senza il minimo dubbio, di uno dei gesti più rammentati nella storia umana, ma, in lui, vi devono essere almeno due forti ragioni aggiuntive.
Una è legata alla sua infanzia, come opportunamente segnala Alberto Sana nella sua introduzione all’edizione critica di Selva di contemplazione: «Ancora oggi nella chiesa parrocchiale di Olera si conserva un’icona greco-cretese del XVI secolo che presenta la tradizionale iconografia della «Madre di Dio della Passione»: su sfondo oro, Maria odigitria tiene in braccio il bambino che, mani nella mano della Madre, perde il sandaletto sinistro per timore dei simboli della passione che, a sinistra e a destra in alto della tavola, gli arcangeli Gabriele e Michele (verso cui Gesù volge il volto) rispettivamente gli presentano: lancia, spugna, vaso di aceto; la croce. Il Cristo fanciullo è già l’uomo dei dolori e il risorto: secondo la simbologia orientale, alla passione e alla morte allude – oltre al sandalo scalzato – la sua tunica ricamata come un lenzuolo funebre; alla resurrezione la sua cintura rossa, colore della nuova vita e simbolo di energia divina. Tommaso vide certamente l’icona nella chiesa della sua infanzia» (Selva, 20-21).
Il coltello nel cuore
Cioè l’idea del «coltello nel cuore», che Cristo si porta fin dalla nascita, anzi fin dal concepimento, è ricordato in molti luoghi dell’opera di Fra Tommaso e Giuda è naturalmente la sintesi di questo destino tanto drammatico quanto ineluttabile.
La seconda ragione è simbolica. Giuda racchiude in sé tutte quelle persone che, avendo la possibilità di essere redente dal sacrificio del Figlio di Dio, rifiutano questa possibilità e si autoescludono dalla salvezza. È qualcosa di più di un uomo disonesto, sleale, odioso. Pertanto Giuda merita, agli occhi di Fra Tommaso, un’analisi e delle riprese plurime, perché non si capacita del gesto scellerato, ancorché necessario.
Li santi apostoli, vedendo che il loro maestro gli voleva lavar li piedi, voglio io credere che ognuno facesse resistenza da Giuda impoi, il qualle, come superbo e mal affetto contra il Salvatore, puoco lo stimava: si bene li santi evangelisti dicono solamente de S. Pietro che facesse resistenza, anzi giurò che in eterno non gli averia lavato li piedi. E si pur non fecero resistenza, può esser che, avendo sentito le parole che disse il Signore a Pietro: «Si non ti lavarò, non averai parte in me» [Gv 13,8], che li altri non avessero ardimento di parlarne. E però sia come esser si voglia, o che Pietro fusse il primo o Giuda o altro, è da contemplare questo misterio con cuore pietoso e con lacrime vedendo Iddio in tanto dispregio. (Selva, 206)
Il gesto misterioso
Fra Tommaso interviene, integrando, per così dire, i Vangeli, com’egli stesso ammette del resto, poiché letterariamente gli serve per creare non soltanto un crescendo sempre più elevato, ma anche per preparare psicologicamente il lettore a quel drammatico e insieme misterioso gesto di tradimento.
Usò il Salvatore particolar diligenza nel lavar li piedi a Giuda: lo accarezzava, lo rimirava con sguardi esterni e interni per farlo pur riconnossersi del suo errore, e forsi anche gli parlava con parole dolce e con inspirazione interne cercava il povero padre di convertire il perduto figliolo, la peccorella partita dalla grege. E che sa che forsi anche il povero Cristo di pietà mosso, vedendo quell’infelice dannarsi, che non lacrimasse: che si il Signore pianse la temporale morte di Lazaro, magiormente averà pianto la morte eterna e dannazione de l’anima e del corpo di Giuda. (Selva, 206)
Per giungere a ciò, non esita ad abbandonare senz’altro il dettato dei Vangeli e intervenire non soltanto in prima persona, dialogando in spirito con Giuda, alla ricerca di una sua impossibile resipiscenza, ma attribuisce a Cristo atti e intenzioni che non hanno riscontro né nei sinottici, né in san Giovanni.
O anima mia, contempla quest’atto de tanta pietà, mentre lavava li piedi a Giuda suo traditore: non vedi come gli stringeva quegli piedi e con quanta carità li lavava? O povero e infelice Giuda, poiché non ti commovi a così orrendo spettacolo, a veder il tuo caro maestro e Dio genuflesso a’ tuoi piedi sporchi, che con tanta pietà te li lava, e non ti muovi a pietà? Ah, crudele e ingrato, ti sei scordato de tanti benefici ricevuti? Non ti ricordi delli miracoli che aveva operato nel mondo il tuo maestro? Hai conceputo tanto odio? Non ti ricordi quante volte quella Madelena ti aveva allogiato in casa sua, non sai quante volte ti aveva cavato la fame, non sai quante volte ti aveva impienito la borsa di dinari per spendere per il tuo maestro e suoi condiscepoli? O povero Giuda! Si volevi dinari non potevi dir una parola a Madelena overo a Marta, o a Lazaro, che di novo ti averiano impienito la borsa come altre volte? E si ti te vergognavi a domandarli a Madelena, aciò non ti tassasse da ladro o avaro, perché forsi era puoco che te ne aveva dato, perché non dirlo al tuo maestro che ne aveve bisogno? Non ti racordi che alcune volte con un puoco di pane e pesse saziò il tuo maestro tante migliara de persone? Che anche a te averia fatto cresser li dinari e non lassiarti ingannar dal diavolo e tua avarizia. Pensave forsi che il Signore ti domandasse il conto delle administrazione delle elemosine che ti erano state date; mi dà a credere che forsi avesti un tal pensiero: che le elemosine che tu aveve ricevute erano magiore di quelle che aveve fatte e spese, avendole tu rubbate e mal mettute. Dubitave che il tuo maestro ti dimandasse conto e, trovandoti ladro e destruttore de elemosine, te privasse de offizio e farti incarcerare aciò avesse da restituir il mal tolto, e tu, pensando a questo, facesse risoluzione di vendere e tradire il tuo maestro e darlo in mano de’ inimici. E tanto più che tu sapevi che li principi di sacerdoti cercavano di averlo nelle mane per dargli morte e con questo mezo ti assicurave che non ti averia domandato conto e, anche con questo mezo, di chiapar una buona somma di dinari. O povero infelice, quanto erano lontani li tuoi pensieri dalla verità! E però resterai nella tua perversità, perché questo maestro non teneva conto de dinari, ma teneva conto de l’anima tua. O povero Giuda, averia bastato che tu avesse detto: «O maestro mio, vero è che ho fallato, ma ti domando perdono», che altro non voleva questo celeste maestro si non la tua conversione e pentimento, che di buon cuore ti averia perdonato. Non ti accorgeve, mentre che ti lavava li piedi, che cosa voleva con quelle carezze si non chiamarti a penitenza? Gli sugò il Signore li piedi, bassiandoli, forsi lacrimando: oh che dolore sentiva Cristo per la perdita. (Selva, 206-207).