Nel corso della storia della Chiesa, in particolare tra il I e il V secolo, emersero molti insegnamenti eterodossi riguardanti il corpo fisico e la carne. Un insieme di idee particolarmente noto, sostenuto da gnostici, manichei e marcioniti (tra gli altri), era il dualismo—tema centrale secondo cui il corpo rappresentava un ostacolo, qualcosa da superare, anziché essere santo e creato a immagine di Dio, come suppone il libro della Genesi.
Sebbene questa eresia sia stata condannata più di 1500 anni fa, è una delle più facili in cui cadere, specialmente durante la lettura delle lettere paoline. Ancora oggi, molti ritengono inconsciamente che il mistico sia divino e il fisico peccaminoso, nonostante il peccato esista sia nello spirito che nella carne. Nessuno ha mai rifiutato la propria anima per l’invidia, eppure molti rifiutano la propria carne per la gola. Questa non è la posizione antropologica biblica né quella dei Padri della Chiesa
Non sorprende che frammenti di questa eresia persistano ancora nel cristianesimo moderno—può sembrare che sia la stessa Scrittura a condannare continuamente la carne. Tuttavia, interpretare versetti come Romani 6:19 in chiave dualista significherebbe fraintenderne il senso; in tutta la produzione paolina, infatti, il termine “carne” (o sarx nel greco originale) non indica necessariamente il corpo fisico in senso letterale—piuttosto rappresenta la debolezza o la mortalità umana.
Dalla Caduta in poi, siamo stati limitati dai desideri carnali. Questo non significa che il nostro corpo fisico sia malvagio, ma che, poiché agiamo con impulsività secondo i desideri della carne, essa diventa l’apice della nostra debolezza. È proprio questo che rende l’ascesi così potente—rinunciare alla carnalità umana per vivere, in corpo e anima, secondo la volontà di Dio. Così facendo, non si è tanto limitati dalla carne, quanto in una più profonda unità con essa.
Pensare che “carne” equivalga a “male” significa sminuire la gloria dell’Incarnazione—Dio si è fatto uomo, colmando la distanza tra Dio e l’uomo e unificandoli. Se il corpo fisico fosse malvagio e Dio fosse diventato carne, ciò non sarebbe forse una bestemmia contro il Figlio?
Una citazione patristica che illustra bene questo concetto si trova verso la fine del capitolo 21 del De continentia di Sant’Agostino, una breve ma densa epistola teologica indirizzata ai manichei. Agostino afferma: «Nessuno mai ha odiato la propria carne, ma la nutre e la cura, come anche Cristo fa con la Chiesa.» Egli chiarisce che non solo non dobbiamo “odiare” la carne, ma anzi dobbiamo “nutrirla”, paragonando la cura del proprio corpo a quella di Cristo per la Chiesa. Considerando che l’opera è rivolta a confutare eresie come il dualismo, è evidente che il disprezzo del corpo sia assimilabile a una vita senza Cristo; se Cristo non curasse la Chiesa, un uomo che non curi il proprio corpo—che, secondo 1 Corinzi 6:19, è “tempio dello Spirito Santo”—non sarebbe forse ugualmente disordinato?
Tuttavia, è essenziale distinguere tra “aver cura” del corpo e cedere alle sue tentazioni. Nella vita del buon cristiano, è l’anima che deve essere padrona del corpo, non il contrario.
Nel suo scritto degli anni ’70, Communion of Love, padre Matta el-Meskin (Padre Matteo il Povero), monaco copto contemporaneo, riflette sull’unione tra corpo e anima: «Il corpo, quando è santificato dall’obbedienza allo Spirito, diventa un vero compagno nel cammino spirituale.» Questa affermazione esprime non solo una profonda unità tra le due nature, ma anche la disciplina spirituale richiesta alla carne. Il corpo passerà, e sarà l’atto di affidare l’anima nelle mani del Signore a restaurarlo definitivamente.
Dunque, “aver cura del corpo” non significa cedere alle tentazioni della carne—lussuria, gola, accidia—ma usare il proprio corpo come strumento per servire Cristo e il prossimo. Galati 5:16 dice: «Io vi dico: camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare i desideri della carne.» Perché uno “soddisfi i desideri della carne”, dev’essere privo dello Spirito. Ma controllare e domare i desideri della carne sotto la guida dello Spirito? Questa è la vera ascesi.
Anche Sant’Ireneo di Lione parla del corpo umano nella sua opera pre-nicena Contro le eresie, un testo rivolto a cristiani che, come i manichei, erano influenzati dalle idee gnostiche del dualismo, spesso propagate con un apparente rigore logico (quella che Aristotele avrebbe chiamato logos) per distorcere il messaggio del Vangelo.
Nel Libro 4, Capitolo 20, egli afferma: «La vita dell’uomo non è nell’anima soltanto, ma nell’uomo intero, cioè nel corpo e nell’anima.» Questa affermazione si oppone agli insegnamenti di Valentino e Marcione, le cui dottrine negavano la pienezza della divinità del Verbo incarnato e limitavano la salvezza all’anima, simili agli errori rigettati anche nel De continentia.
La citazione sottolinea l’unità di corpo e anima, in particolare nel contesto della glorificazione. Subito dopo, Ireneo scrive: «La gloria di Dio è l’uomo vivente», un riferimento diretto alla Genesi e alla creazione dell’uomo, e alla dottrina secondo cui l’essere umano è creato—fisicamente e spiritualmente—a immagine di Dio e delle schiere celesti. Questo contrasta radicalmente con l’idea che il corpo sia una prigione o qualcosa da cui fuggire. Il piano di Dio—creazione, caduta, redenzione ed esaltazione finale—è destinato allo spirito e al corpo. Cristo ha redento l’umanità assumendo la carne, non condannandola, né purificandola con la distruzione, ma riunificando l’Ousia divina al corpo umano.
Mi spingerei fino ad affermare che la cura e l’amore per il corpo costituiscano un obbligo morale all’interno di una prospettiva etica cristiana. Sebbene la Chiesa copta non disponga di una dottrina centralizzata sull’argomento, le sue preoccupazioni riguardano la vita, non la morte—la promessa di Cristo è che chi crede e rimane in comunione con il Corpo di Cristo erediterà la vita eterna. Cristo è veramente vita, così come è veramente carne; dunque, disprezzare la carne del Signore equivale a disprezzare la sua vita.
Pertanto, sebbene sia diffusa una concezione errata circa la natura e il ruolo del corpo fisico, tali opinioni crollano sotto il peso della Tradizione della Chiesa e della santità dell’Incarnazione. Il corpo non è né intrinsecamente malvagio né un oggetto da assecondare; esso va disciplinato, nutrito e, infine, glorificato in Cristo.
L’autore per Catholic Exchange, Josh Mason: è uno studente profondamente impegnato nello studio del teismo classico, dell’epistemologia e della filosofia della religione. Radicato nella tradizione copta ortodossa, Josh offre una prospettiva unica che unisce l’antica ortodossia cristiana con l’indagine filosofica contemporanea. Il suo lavoro esplora le intersezioni tra fede, ragione e scetticismo, con un’attenzione particolare alla patrologia della Chiesa, analizzata attraverso una lente logica e attuale. Attualmente impegnato nell’istruzione secondaria, Josh è determinato a promuovere il discorso teologico mediante un’argomentazione rigorosa.