La pagina iniziale della Bibbia rivela un meraviglioso racconto della creazione che si svolge nel corso di un’affascinante settimana. In Gen 1 via via che la narrazione procede raccontando quanto Dio dice e fa, il lettore scopre il mondo nel quale egli stesso si trova immerso: scorrendo le righe della scrittura prende corpo quanto egli esperisce guardando il cielo, contemplando la terra, osservando la flora e la fauna e guardando a se stesso.
Le ripetizioni
Il testo si distingue per il ritmo melodioso e l’uso maestoso delle ripetizioni. Questa era un’arte sofisticata utilizzata al tempo della scrittura del testo, simbolo di dedizione e cura minuziosa dedicata alla composizione. La scelta accurata delle parole, il conteggio di esse, non erano un mero esercizio, ma un atto intriso di significato simbolico. Le cifre che pervadono il racconto sono il sette e il cinque, insieme ai loro multipli, disegnando un ritmo unico nel tessuto del racconto. Sette sono i giorni della settimana, sette le parole del primo versetto e quattordici quelle del secondo. Frasi ricorrenti come «Dio vide che era cosa buona», «e così avvenne», «Dio fece», risuonano come un coro armonioso sette volte. Il nome di Dio (Elohîm) è come una melodia che si ripete 35 volte (7×5). Il settimo giorno, l’ultimo, è un trionfo di tre frasi di 7 parole ciascuna (7+7+7).
Il numero 5
Ma non finisce qui, il numero cinque partecipa a questo affascinante gioco di echi: «e Dio disse» e «secondo la sua specie» risuonano per 10 volte; si ripetono per cinque volte i termini «chiamare», «separare», «vivente», «luce» e «luminari». Questi sono solo alcuni dei numerosi esempi che potremmo citare. Nel cuore pulsante del racconto di Gen 1, il narratore ci guida a riconoscere l’autorità della «parola» di Dio, sottolineando che ogni cosa creata è un prodotto del Suo «dire». Pertanto, la parola diventa il fulcro della narrazione. «Parlare», «dire» sono eventi che non accadono mai in un vuoto. Un individuo non parla mai da solo; anche quando ciò accade, si avvia un processo interiore di scissione, delineando un «io» che parla e un «io» che ascolta. È come riflettersi allo specchio: c’è un «io» che osserva e un «io» che viene osservato.
L’atto di parlare
Il semplice atto di parlare implica la presenza di soggetti e, tra loro, instaura una «relazione». Il narratore non si limita a illustrare le creazioni di Dio – chiamato Elohîm nel testo – ma presenta ogni atto di creazione come un evento di parola, esaltato da un ritornello ricorrente dieci volte: «Elohîm disse» (1,3.6.9.11.14.20.24.26.28.29). Il verbo «dire» fa la sua comparsa un’undicesima volta in una formula di benedizione («Li benedisse Dio dicendo lēʾmôr»), rafforzando l’immagine di Elohîm come un essere parlante. Una curiosa coincidenza è presente in Gen 1: i giorni della creazione sono sei, esattamente come le persone grammaticali, i sei potenziali soggetti dei verbi. Tutti vengono alla luce in questo primo, primordiale racconto… [continua mercoledì prossimo].