Riportiamo un ampio estratto della Lectio Magistralis che Mons. Dario Vigano’, vicecancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze e delle Scienze Sociali ha tenuto ieri pomeriggio a Roma al convegno organizzato dalla Federazione Italiana settimanali Cattolici e dalla Associazione WebCattolici italiani.
La Lectio Magistralis
Il concetto di autorità è anzitutto un concetto duale, ovvero relazionale: si riconosce autorità all’interno di una relazione sociale asimmetrica dopo aver riconosciuto credibile e pertanto autorevole l’interlocutore. È nella dinamica relazionale dunque che, assolti tutti i requisiti richiesti, siamo disposti a riconoscere autorità a una persona o a una istituzione. La storia della prima comunità dei discepoli e del cristianesimo delle origini ha dovuto compiere un percorso faticoso nel riconoscere credibile quel Messia che hanno visto arrestare e morire in croce. Senza pretesa di esaustività, abbiamo visto come nella storia della Chiesa si assista anche a una progressiva istituzionalizzazione dell’autorità giungendo, ad esempio, all’approvazione del dogma dell’infallibilità durante il Concilio Vaticano I.
Il processo di riconoscimento dell’autorità istituzionale
Tale processo di riconoscimento dell’autorità istituzionale è avvenuto all’interno di una cultura tradizionale che dal punto di vista del sistema dei media è profondamente radicato nella cultura tipografica propria di una società fortemente gerarchizzata. I media elettronici prima e lo sviluppo dei social network poi – in parallelo a una progressiva trasformazione culturale di ampio respiro, dalla società borghese dell’Ottocento alla società delle masse nel Novecento – hanno però modificato in maniera significativa i processi che conducono alla credibilità. All’interno di questo processo si colloca anche la Chiesa che, pur avendo origine e finalità specifiche e assai distanti sia dalle organizzazioni istituzionali, come ad esempio le organizzazioni non governative, sia dalle logiche aziendali, rappresenta un’organizzazione dotata di un’autorità di tipo spirituale. Eppure alcune logiche di funzionamento del contesto “postmediale” non sono eludibili.
I media sono ovunque
In estrema sintesi, seguendo quanto suggerito da Ruggero Eugeni, possiamo sostenere che oggi «i media sono ovunque. Noi stessi siamo media. Ed è per questo che i media non esistono più». Il sistema massmediale si è trasformato in una costellazione comunicativa retta dalle logiche della naturalizzazione (il confine tra naturale e artificiale si è “vaporizzato”), della soggettivizzazione (i comunicatori hanno la sensazione di vivere le dinamiche della rappresentazione mediale “in prima persona”) e la socializzazione (la creazione di legami sociali mediati è una delle componenti sostanziali della modalità digitale della comunicazione). In questo contesto, comprendiamo bene quanto sia difficile riattivare le forme classiche della relazione “verticale”: l’autorità, che in una cultura tradizionale veniva riconosciuta all’interno di una relazione asimmetrica, assume una fisionomia peculiare, tipica dell’ambiente comunicativo postmediale, laddove alla verticalità e alla monodirezionalità della comunicazione si è sostituito un modello comunicativo orizzontale, reticolare e fortemente socializzato. Di fatto, se la struttura pragmatica della relazione non permette l’asimmetria, il rapporto di autorità dovrà cercare nuove modalità per manifestarsi: nel caso dei social media, si è sviluppato il fenomeno degli “influencer”. Insomma, modificandosi le dinamiche culturali è comprensibile che si attuino differenti modalità sia per essere che per farsi riconoscere credibili a domandare autorità.
Cosa significa essere influencer?
Si assiste oggi all’aggiornamento continuo della lista dei top ten influencer o di quelli maggiormente pagati, alla proposta di influencer marketing, di connessioni tra denaro e influencer. Ma cosa significa essere influencer oppure definire qualcuno come influencer? Fin dagli anni Cinquanta ci si riferisce – nel panorama delle teorie sui mass media – a una distinzione tra snodi comunicativi di diversa efficacia: il passaparola è da sempre mediato da leader d’opinione in grado di diffondere un’idea o un’informazione e di riuscire a persuadere gruppi di persone disposti ad attribuirgli credibilità. Pertanto, l’influencer non è altro se non un super-utente che sul web, in virtù delle dinamiche di creazione e diffusione dei contenuti attraverso i social media, è in grado di rivolgersi a un target in maniera convincente.
Non accostare influencer e credibilità
Dobbiamo però anche essere cauti nell’accostare influencer e credibilità: pensiamo a quante persone incontriamo nella vita che non sono in grado di influire su opinioni e prassi. Da una parte, esistono situazioni nelle quali viene riconosciuta a una persona credibilità e autorità, ma non è detto che questo, anche per questioni numeriche, possa trasformarsi in un riconoscimento sociale e pubblico e possa portare a un cambiamento di opinione. Dall’altra parte, è vero anche il contrario: chi è nelle condizioni di incidere su opinioni e atteggiamenti pubblici non è detto che sia necessariamente credibile, ovvero che goda di una reputazione condivisa.
Le celebrity sono state I primi grandi influencer
Storicamente i primi grandi influencer sono state le celebrity, in grado di capitalizzare sul web la visibilità guadagnata in altri ambiti come, ad esempio, la televisione, il cinema, la musica oppure il mondo dello sport, e di esercitare forme di seduzione nei confronti di un’audience vasta e tendenzialmente generalista. L’endorsement dei testimonial nei confronti di brand, prodotti, correnti e movimenti è stata la forma iniziale del cosiddetto influencer marketing. Secondo Danny Brown e Sam Fiorella sono i brand a definire gli influencer: «Individuals with the greatest reach and perceived authority are identified in hopes of converting them to brand ambassadors or, if they’re current customers, to advocates. These are macro-influencers, people with a large, general audience made up of communities with whom they have varying levels of relationship».
Le altre tipologie di influencer
Nel corso degli anni sono nate sul web e soprattutto sulle piattaforme social altre tipologie di influencer, che attraverso blog, canali YouTube e account Twitter oppure Instagram hanno raccolto attorno a sé e coltivato un loro seguito, sviluppando forme di autorevolezza su un argomento; l’influencer nello scenario attuale dei social network diventa così una persona in grado di esercitare la propria autorevolezza su un argomento nei confronti di un segmento di pubblico che condivida con lui interessi, opinioni, valori o stile di vita. La differenza tra le celebrity e gli influencer di nuova generazione sta proprio nella loro capacità di costruirsi una reputazione attraverso la pubblicazione di contenuti su un determinato argomento su cui dimostrano nel tempo la propria competenza. Secondo la cosiddetta regola dell’“1-9-90”, infatti, nel web solo una minima parte degli utenti è in grado di produrre contenuti e assicurarne la circolazione all’interno di cerchie più ampie. In sintesi, per ogni “creatore” di contenuti risultano 9 “contributori” e 90 “fruitori”. La loro autorevolezza si costruisce quindi intorno a un principio di pertinenza rispetto a un topic, ma diventa efficace solo quando si determina anche un fattore quantitativo: «Se dunque, con riferimento al social web, è senz’altro possibile ma non inevitabile considerare l’influenza e la credibilità come attributi correlati di un soggetto, è opportuno riconoscere che la capacità di un soggetto di esercitare un’influenza nei confronti dei propri interlocutori si accompagna necessariamente a una certa visibilità».
La visibilità nel web
La visibilità, ovvero l’essere fortemente esposto e riconosciuto da cerchie sempre più ampie, è dunque l’elemento sul quale si giocano le strategie conversazionali sui social dei cosiddetti influencer: il successo di un influencer è quindi inevitabilmente legato alla sua capacità di far emergere, nella vastità della Rete, il proprio profilo, appunto attraverso la creazione di un grande numero di follower, di fedeli seguaci che a migliaia ogni giorno seguono il flusso comunicativo di un “creatore” di contenuti, solitamente concentrati su uno specifico argomento.
I quattro elementi
Sono almeno quattro gli elementi necessari perché un utente della Rete si trasformi in influencer (anche se non appartiene preventivamente al gruppo sociale dei VIP): anzitutto deve produrre contenuti con costanza nel tempo; in secondo luogo deve dimostrare di possedere uno “stile comunicativo” riconoscibile e personale; terzo, deve intervenire in modo eclatante su un particolare evento mediale, deve insomma “fare notizia” (e questo momento è spesso questione di fortuna); infine, deve dimostrare nel corso del tempo di possedere una competenza vasta e riconoscibile del campo tematico di cui si occupa.
Ed ecco, pertanto, ricomparire la questione dell’autorevolezza, della credibilità e dell’asimmetria. Quindi, in questo senso le caratteristiche che contraddistinguono un web influencer sono:
L’estensione della portata del loro raggio di influenza è variabile: alcuni influencer particolarmente legati a un topic sono in grado di mobilitare con successo e fidelizzare in maniera solida gli utenti appartenenti a una nicchia, altri invece sono in grado di raggiungere audience più ampie e generaliste; in questo caso il tasso di engagement che sono in grado di generare è mediamente più basso.Particolarmente interessante, a questo proposito, è la distinzione tra macro-influencer («individui, imprese o media con un ampio seguito, fatto anche e soprattutto di persone con cui esistono legami sociali deboli ovvero non vi sono affatto legami») e micro-influencer («individui connessi mediante relazioni personali, la cui intensa comunicazione e interazione ha un impatto diretto e significativo sui comportamenti»).
Reputazione costruita sull’esperienza
La scelta di seguire un micro-influencer avviene in questo senso in base a interessi affini, perché si riconosce a questo super-utente una competenza specifica in un settore o una nicchia, nell’ambito di una community: il suo merito è in definitiva quello di non essere poi tanto diverso dai propri follower: «We call these micro-influencers and see them as the business’s opportunity to exert true influence over the customer’s decision-making process as opposed to macro-influencers who simply broadcast to a wider, more general audience». Gli influencer costruiscono la loro reputazione sull’esperienza, sulla capacità di raccontare, divulgare, testimoniare. In un momento storico in cui il web è saturo di voci e le notizie false si sovrappongono a quelle ufficiali, per gli utenti è decisivo scegliere le fonti di cui fidarsi, le voci cui affidarsi. Sempre più si scelgono fonti di prima mano e racconti in prima persona: anche alle celebrity si chiede di svelare il proprio vissuto personale, il quotidiano dietro le quinte, per un effetto di realtà sempre più convincente: si pensi ai brand della moda che scelgono di utilizzare le voci di Cristiano Ronaldo, Justin Bieber, Lady Gaga oppure Chiara Ferragni, ma anche a blogger, youtuber e instagrammer meno celebri che attraverso i loro account social costruiscono uno storytelling ispirato alla propria vita personale, ricorrendo a un linguaggio immediato, empatico e coinvolgente, capace di suscitare nei follower sentimenti di curiosità, ma anche di familiarità e confidenzialità.
La testimonianza di una missione
L’influencer attraverso i social porta testimonianza di una sua attività, di un suo percorso e, perché no, di una sua missione: si veda l’esempio di tanti sacerdoti e suore che attraverso i loro profili sono testimoni esemplari di come il Vangelo può essere calato nella vita quotidiana, anche con allegria e toni leggeri consoni ai social network, senza per questo perdere di efficacia o spessore. Alla luce di questo quadro fenomenologico, connesso a nuove modalità comunicative – che si legano in modo circolare con le ampie e profonde trasformazioni culturali dell’Occidente – e a nuovi processi di costruzione delle relazioni sociali, possiamo chiederci che fine ha fatto il concetto di autorità al tempo dei social. Proviamo a rispondere secondo tre linee di riflessione.
Le persone sono credibili se dimostrano conoscenza
Anzitutto, potrebbe essere che autorità e credibilità non abbiano subito – nella loro essenza – nessun cambiamento radicale. Le persone sono credibili se dimostrano conoscenza, abilità, esperienza e competenza, e quindi sono riconosciute e rispettate dalla comunità; sono dotate di autorità sia come conseguenza della loro credibilità, sia perché inserite in un sistema istituzionale che conferisce loro un potere maggiore rispetto agli altri membri della comunità. Anche nel mondo dei social, ad alcuni utenti viene riconosciuta credibilità e autorità più o meno secondo la medesima dinamica: sono credibili gli utenti che creano contenuti degni della nostra considerazione e riconosciamo quindi loro un certo potere. Da questo punto di vista, quindi, probabilmente non c’è nulla di nuovo sotto il sole. L’uomo, nella sua natura sociale, sviluppa da millenni gli stessi processi di costruzione del proprio ambiente di vita. Secondo. Ma quindi è tutto “come prima”? Ci sono, in effetti, elementi di profonda novità, non tanto dal punto di vista concettuale, quanto dal punto di vista comunicativo. La postmedialità – ma più in generale la mediazione, come categoria della gestione della conoscenza e delle relazioni tra gli uomini – disegna un quadro in cui la mia possibilità di valutare la credibilità e l’autorevolezza del mio interlocutore non passa attraverso la condivisione della vita quotidiana (come ad esempio avviene in famiglia e nelle comunità “organiche”, dove la condivisione delle esperienze è continua e diretta), ma attraverso appunto la mediazione, una relazione che è fatta anche di distanza e discontinuità.
La postmedialità
Nella postmedialità non facciamo esperienza dell’autorità, ma della sua rappresentazione mediale. Per questo, un nuovo ordine di riflessioni deve essere messo in campo: non basterà più (ma è mai bastato veramente?) decodificare il messaggio proposto dalla fonte – poniamo, un creatore di contenuti digitali, uno storyteller del nuovo Millennio – ma sarà necessario mettere in atto un processo di comprensione profonda non solo del “dictus”, ma soprattutto del profilo del mio interlocutore, del quale non possiedo appunto che frammenti rappresentativi.
Il nostro investimento critico
Insomma, nell’ottica della comunicazione digitale, è l’esperienza dell’autorità che si trasforma e richiede da parte nostra un grande investimento critico, accompagnato da una competenza mediale raffinata. L’orizzontalità strutturale della Rete, la sua “naturale” negazione di ogni differenza aprioristica – le piattaforme social sono uguali per tutti – determina che la rappresentazione dell’autorità non possa utilizzare forme particolari rispetto a quanto è a disposizione di tutti. I tweet di Donald Trump, di un professore universitario o di un ragazzo di sedici anni non differiscono per la propria forma rappresentativa. Non possiedono “segni particolari” che possano definire (dal punto di vista della comunicazione mediale) il loro grado di autorevolezza. Sta a noi, quindi, attribuire valori differenti alle conversazioni, allo storytelling che abbiamo di fronte. Questa è la grande novità e anche la grande responsabilità che ci troviamo a gestire quotidianamente, attraverso un complicato content managing: da una parte ci viene consegnato un ruolo fondamentale nella creazione dell’autorità, dall’altra comprendiamo quanto questo ruolo sia complesso e faticoso.
La gestione dell’emergenza Covid
Terzo. Al tempo dei social media l’autorità dipende solo dalle nostre scelte? Certamente. La dimensione dell’etica della scelta personale emerge prepotentemente come importante sfida che si rivolge a ciascuno di noi, in una rinnovata tematizzazione della credibilità e dell’autorità all’interno delle logiche della Rete digitale. Tuttavia, possiamo notare come il senso “tradizionale” dell’autorità non possa (e non debba) essere dimenticato. Abbiamo notato un chiaro caso di riemersione delle logiche della credibilità e dell’autorità proprio nel 2020, durante i mesi in cui l’umanità intera ha affrontato la crisi sanitaria del Covid-19. In questa drammatica occasione, la gestione dell’emergenza ha richiesto una rapida e precisa ridefinizione dei ruoli e delle competenze. Insomma, quando la società umana affronta le sfide “vere” della sopravvivenza, non è possibile affidarsi alle nuove strategie di definizione della credibilità – quelle legate alle nicchie degli influencer o alle tattiche di promozione elettorale –, ma è necessario riattivare i sistemi tradizionali di riconoscimento dell’autorità, che non sono certo l’influenza, la visibilità e il numero di follower. Il grado di expertise, la capacità di prendere scelte scomode, le assunzioni di responsabilità efficaci sono stati elementi che soltanto la “prova dei fatti” ha dotato di autorità riconosciuta.
La cassa di risonanza emotiva
La grande costellazione postmediale delle comunicazioni social non si è improvvisamente bloccata, ma ha di fatto rivelato la sua natura conversazionale, come commenti, letture, interpretazioni, pettegolezzi, rinforzo o diniego. Insomma, a fronte delle logiche decisionali e autoritative, il mondo social ha funzionato come cassa di risonanza emotiva, un ruolo fondamentale per la vita quotidiana delle persone, ma nettamente diversificato rispetto la sfera dell’autorità. Nei momenti cruciali della storia, a fronte di cambiamenti d’epoca che sottraggono certezze e moltiplicano domande, assistiamo alla compresenza di due forma di autorità: quella tradizionale che in momenti critici non viene mai meno e quella postmediale che, come nel caso della Statio Orbis del 27 marzo 2020, amplifica la percezione di Papa Francesco come influencer.
La Statio Orbis e la Via crucis
Infatti, se la Statio Orbis e la Via crucis hanno rappresentato per i credenti momenti di preghiera e di immersione nel mistero di Dio grazie all’opera dello Spirito Santo, essi sono divenuti per moltissimi – anche prescindendo dall’adesione alla fede cristiana – un evento (e immagini dell’evento) di straordinaria portata simbolica. L’arte della regia liturgica e della messa in scena dei due eventi ci porta a dire che davvero “l’arte è una ferita che diventa luce” (Georges Braque). Che ha illuminato un mondo intero. Prendiamo in considerazione la Statio Orbis del 27 marzo dove le risorse essenziali della regia (senza l’uso di jimmy o steadycam) sono state valorizzate al massimo: sei telecamere posizionate sul sagrato, nell’atrio della Basilica di San Pietro, in piazza (lato Basilica), a metà e in fondo al Braccio di Carlo Magno, infine all’interno della navata centrale della Basilica per il controcampo del Santo Padre con la piazza vuota.
Il Santo Padre e la piazza vuota
“Quel suo lungo e faticoso camminare attraverso la piazza, come avrebbe fatto ciascuno di noi, ha fatto capire a chiunque che il papa era come noi e con noi, cittadino di questa nostra storia. Dunque in quei momenti la sua scelta è stata di venirci a prendere, a casa nostra: in piazza San Pietro quella sera c’erano con lui più persone di quante ce ne fossero all’apertura del Giubileo del 2000. Il colonnato del Bernini non raffigurava più un semplice abbraccio, il papa era dalla parte opposta rispetto alle braccia protese: dunque quel colonnato era il mondo, il mondo che man mani si riempiva, si riuniva per convivere quel pensiero nuovo” .Un cambiamento d’epoca che riattiva sistemi tradizionali di riconoscimento dell’autorità (attraverso le dinamiche della costruzione di veri e propri media event) ibridandoli e integrandoli con le forme conversazionali delle community che si formano sul web che agiscono molto a livello emotivo. E’ quanto avvenuto il 27 marzo 2020 grazie alla convergenza di molti fattori.
La pioggia incessante
Tardo pomeriggio e gli agenti atmosferici sembravano raccontare i sentimenti dell’Italia, del mondo tutto, ovvero pioggia incessante come lacrime e oscurità come le tenebre del cuore. Proprio gli agenti atmosferici sono il materiale da plasmare per raccontare il vagare nelle tenebre dell’umanità alla ricerca di una parola, di una visione, che sia consolazione, squarcio di speranza. La scelta fotografica si concentrata sul “black gamma”, per cui con il trascorrere dei minuti e con il diminuire della luce, si “colorano” le parti scure dell’inquadratura con una dominante bluastra che nel tempo viene gradualmente sostituita con un nero più profondo creando, così un contrasto netto tra toni scuri e toni chiari. E poi la presenza della pioggia. Cadendo bagna le ottiche creando riflessi e aberrazioni cromatiche che, se in altre situazioni risultano fastidiose o addirittura elementi difettosi, in questo caso generano un effetto drammatico (ma non tragico) alla ripresa. Naturalmente anche il bianco ha una dominante fredda con l’effetto di un’esaltazione della veste del Papa rispetto al tutto dell’inquadratura. Ulteriore scelta di regia e fotografia è quella di accentuare, con il filtro del dettaglio sulle telecamere, la pioggia che cade sul crocifisso. Come lacrime dell’umanità alla ricerca dell’unico Signore e Maestro.
I due livelli di autorità
La messa in forma dell’evento ha inseguito il reale trasformandolo in metafora che “non va mai costruita ma trovata nelle pieghe del reale”, perché essa è “violazione referenziale” (M. Brenta). In qualche modo, dunque, regia liturgica e messa in scena sono state in grado di richiamare la dinamica drammatica dell’amore (Cfr. Gv 20). Del resto, non si trattava semplicemente di far vedere, bensì di perseguire l’aspetto performativo della messa in scena dove appunto l’afasia e lo spaesamento, lo smarrimento nel freddo delle tenebre sono divenuti elementi per partecipare e non semplicemente del vedere uno spettacolo. Questi esempi testimoniano la compresenza, nel panorama mediatico contemporaneo, di una duplicità: oggi facciamo esperienza di due livelli di autorità che potremmo definire “postmediale” e “tradizionale”.
Le conclusioni
L’autorità postmediale è rappresentata bene dal fenomeno degli influencer: essi sono di fatto credibili e autorevoli, ma con una “forza limitata”, circoscritta alla rappresentazione mediale, alla cerchia conversazionale, alla sfera delle comunità sociali che si formano sul web e che hanno un grande valore emotivo. L’autorità tradizionale, anche se inserita in un panorama comunicativo profondamente trasformato, sembra comunque essere una costante inevitabile dell’agire sociale umano; essa ci si presenta con chiarezza nei “momenti forti” dell’esistenza, in cui la ritroviamo sostanzialmente intatta. Così come restano intatte e fondamentali le grandi domande dell’umanità, sul significato della Storia e sulle vie di accesso al senso dell’essere.