San Paolo Miki è il primo martire giapponese, o meglio il primo giapponese caduto martire per la propria fede cristiana. Va chiarito infatti che non si tratta di un missionario caduto in Giappone, ma di un nativo convertito al cristianesimo. Nacque nel 1562 a Kyoto, da una famiglia nobile e influente. Fin da giovane si avvicinò ai gesuiti, che lo istruirono e lo battezzarono. Entrò poi nell’ordine dei frati minori e divenne sacerdote. Si dedicò alla predicazione e all’evangelizzazione, con grande zelo e carisma. Fu uno dei primi a usare la lingua giapponese per spiegare il Vangelo, anziché il latino.
Come morirono San Paolo Miki e i suoi compagni
Nel 1597, il clima di tolleranza verso i cristiani cambiò radicalmente. Il sovrano Hideyoshi, temendo l’influenza straniera, emanò un editto di persecuzione e ordinò l’arresto di 26 cristiani, tra cui Paolo Miki e altri 5 francescani, 3 gesuiti e 17 laici. Furono condotti a piedi da Kyoto a Nagasaki, lungo un tragitto di 800 km, subendo umiliazioni e torture. Arrivati a Nagasaki, furono crocifissi su una collina, il 5 febbraio 1597. Prima di morire, Paolo Miki perdonò i suoi carnefici e invitò i presenti ad abbracciare la fede cristiana. Il giorno dopo, i loro corpi furono trafitti da lance e lasciati in esposizione.
Come la Chiesa ricorda San Paolo Miki e i suoi compagni
La Chiesa ricorda il 6 febbraio questi 26 martiri, che furono i primi di una lunga serie di testimoni della fede in Giappone. Furono beatificati nel 1627 da papa Urbano VIII e canonizzati nel 1862 da papa Pio IX. Sono patroni del Giappone e della città di Nagasaki. La loro memoria è celebrata con grande devozione dai cristiani giapponesi, che li considerano i fondatori della Chiesa locale. La loro storia è stata raccontata anche in opere letterarie e cinematografiche, come il romanzo “Silenzio” di Shusaku Endo e il film omonimo di Martin Scorsese.