Come ogni martedì torna la rubrica dedicata alla figura di Tommaso da Olera, il frate cappuccino vissuto a cavallo tra Cinque e Seicento e proclamato beato nel 2013. Il testo è tratto da “Tommaso da Olera, un anno con un mistico del Cuore di Gesù” di Sergio Calzone. Le riflessioni di oggi.
Il coltello di Maria
La presumibile data di composizione di Selva di contemplazione è collocata tra il 1616 e il 1626. In questo stesso lasso di tempo, Fra Tommaso ebbe occasione di compiere due pellegrinaggi alla Casa di Loreto. Qui, e più precisamente nella Cappella del coro della basilica (oggi chiamata Cappella di san Giuseppe oppure Cappella spagnola) era stata collocata, già fin dal 1554, la maggior parte delle tele che Lorenzo Lotto aveva donato alla Santa Casa e quelle che aveva dipinto dopo esservisi ritirato fino all’anno della morte, nel 1556. Tra le varie opere, spiccava quello che è considerato uno dei maggiori capolavori del pittore veneto, quella Presentazione di Gesù al Tempio il cui ricordo non dovette essere estraneo all’immaginazione di Tommaso, quando, nel suo libro, venne a narrare quell’episodio.
Gran Madre nel Tempio
E così entrò questa gran Madre nel tempio con il figliol de Dio e Santo Gioseffo; e mentre se ne stava Maria tutta elevata in spirito, adorando l’eterno Dio, aringraziandolo e benedicendolo.
Lassiamo Maria e andiamo al sommo sacerdote, il qualle era uomo giusto e timoroso de Dio, e aveva avuto rivelazione che lui non saria morto si prima non averia visto il Messia, il desiderato dalle gente e la redenzione d’Israel. E avendo questo santo amico de Dio consumato la vita sua in servizio de Dio ed era ridotto in vechiaia, e come vechio naturalmente poteva aver puoca vita; e avendo avuto tal rivelazione, stava ad aspettar il Messia che comparesse nel tempio, ove mi dà a credere che questo Santo Simeone facesse fervente orazione, pregando Dio che ormai consolasse l’anima sua con fargli vedere il promesso Messia. Ed essendo nella sua stanza, overo nel tempio in Sancto Sanctorum facendo orazione a Dio, fugli di novo rivelato che andasse fuori nel tempio che averia veduto il Messia tanto da lui desiderato. Oh che giubilo doveva sentire questo vechio! Ove tutto infiammato, acceso da amore de Dio, levandosi andò nel tempio; e rimirando vide una giovenetta che, gettando raggi da quella beata facia, fu fatto certo che quella era la Madre de Dio. E approssimandosi alla Beata Vergine, vide che teniva il suo caro figlio involto in poveri panni e si allegrò: viste Simeone quella gioia celeste che a guisa de diamante risplendeva. Oh con quanto giubilo rimirava Simeone quel tenero fanciullo e che dolcezza sentiva al cuore! Questo vechio sentiva intra di sé una inenarrabile allegrezza che ben lo faceva certo che quello era il vero Messia. (Selva, 170)
Le mani di Simeone, nel dipinto di Lotto, non potrebbero essere più espressive e più in armonia con le parole di Fra Tommaso (e, quindi, esserne forse state motivo di ispirazione): mostrano contemporaneamente sorpresa, sollecitudine, tenerezza, vicine a un inizio di adorazione e, insieme, come un ritegno a posarsi su Qualcuno tanto più alto di lui. Il suo viso è quasi addolorato: è, come spesso accade, lo specchio di un sentimento, e questo sentimento sembrerebbe quello di un «excesso» (come si sarebbe espresso il beato Tommaso) che si manifesta nell’animo, quando la gioia è così intensa, da far palpitare il cuore e può facilmente strappare le lacrime, e saranno dolorose lacrime di gioia.
Ma, com’è naturale, Tommaso deve pur andare oltre, raccontando anche ciò che il quadro non può dire, nella sua fissità pur geniale.
Vedi, anima mia, come quel Santo Simeone, gettandosi a terra, adorò e basciò quel Dio tanto da lui desiderato e, piangendo e gemendo da compassione, prese quel reliquiario del Paradiso in mano. Oh chi avesse veduto quell’atto di Maria, quando porgeva il suo caro figliolo nelle mane de Simeone! Oh con che riverenza lo prendeva Simeone nelle bracia! Ove il bambino lo rimirava e Simeone rimirava esso, si stupiva veder Iddio in tanta povertà; e mentre che questo santo vechio teneva il figliolo de Dio nelle bracia, tutto ripieno de Spirito Santo comminciò profetare […] E rivoltatosi alla Beata Vergine, profetando di novo gli annonciò che quel figliolino gli saria stato un coltello che gli averia traffitto il cuore e l’anima. E ponendo il caro figlio su l’altare, lo adorò, lo benedì e, fatto che ebbe le ceremonie solite nella purificazione, tutto allegro per aver visto il figliolo de Dio, lo tornò alla Madre, la qualle prendendolo nelle bracia, tuta adolorata per le parole del coltello che gli aveva profetato Simeone. Questo coltello, mentre che visse Maria, sempre gli stette nel cuore e, mentre si ricordava Maria di quelle parole, si gli renovava quella ferita. […]
O Santo Simeone, con le tue parole trafigesti il cuore de una così tenera verginella: la tua lengua serve per coltello; anzi, le ferite per medicamenti guariscono, ma la ferita de Maria non guarisse sin che vive, perché la memoria delle parole vostre gli tineranno sempre il coltello nel cuore. Ah, Simeone, quanto furno alla regina del cielo amare le vostre parole! Oh quanto penetrò il coltello della lingua vostra! Oh quanto, voglio io credere, che, mentre che cantasti quel cantico, si consolasse videndo che aveve connossuto il suo figliolo confessando lo Iddio! Ma puoco durò questa consolazione, perché, prorompendo in quelle altre parole, li passò il cuore e la anima. E non durò, o Santo Simeone, questo dolore un giorno solo, ma durò tutto il tempo della vita sua. Aveva la sconsolata Maria il suo putino nelle bracia, ma anche aveva il cortello nel cuore: piangeva la sconsolata Vergine de una sì aspra profezia e dolente presagio. (Selva, 170-171)
La fonte di Tommaso
Il coltello di Maria. Che, nella fonte di Tommaso (Lc 2,35), è subito detto «spada», come il Nostro riprenderà soltanto più avanti, quasi in un crescendo. È infinitamente bello questo sdoppiamento sentimentale di Maria: come subito dopo spiegherà Fra Tommaso, fin dall’Annunciazione la Vergine sapeva il destino riservato al corpo mortale di quel figlio che veniva affidato al suo ventre e, quindi, come Madre di Dio, aveva provato un dolore indicibile fin dal primo momento della sua gravidanza ma, come donna, come madre di un «putino» ancora inerme e, pure, già superiore a ogni altro, questo dolore viene esacerbato dalle parole di Simeone, secondo un’apparente contraddizione che si dimostra però perfettamente naturale e «umana». Ed è proprio questa «umanità» di Maria, del resto, che costituisce ancora oggi, come nel Seicento, il motivo del suo ruolo di mediatrice, tante volte invocato tra l’umiltà del fedele e la suprema maestà di Dio. Quante volte, nei secoli, le donne le si sono rivolte «da madre a madre», afflitte anche loro da «coltelli» terreni, certo, ma quanto meno dolorosi? E gli uomini stessi, se hanno conosciuto l’umiltà del vero credente, sono ricorsi a lei, poiché è impensabile immaginare, invece, di rivolgersi al Cristo «da uomo a uomo» o a Dio «da padre a padre».