Come ogni martedì torna la rubrica dedicata alla figura del frate cappuccino vissuto a cavallo tra Cinque e Seicento, Tommaso da Olera, proclamato beato nel 2013. Il testo è tratto da “Tommaso da Olera, un anno con un mistico del Cuore di Gesù” di Sergio Calzone. Le riflessioni del mese di gennaio
La «manifestazione» al mondo: Gesù e i Magi
Com’è ben immaginabile, il pur «frenetico di Dio» Fra Tommaso (tale si descrive in Scala, 107) sceglie tuttavia, nel momento di raccontare il tempo dell’Epifania, il registro più tenero e commosso. I Magi, già stupefatti di dover penetrare in un ricovero per animali, mentre «pensavano di entrar nella città con maestà e veder un suntuosissimo pallaggio, rico, adobato, con servi e schiavi» (Selva, 160), si trovano, per loro maggiore sorpresa, di fronte a un «povero, mal vestito», che dichiara (essendo in realtà san Giuseppe) di essere «il sposo de Maria, Madre de Dio re dei Giudei» (Selva, 161).
Giuseppe non si dice padre
Occorre subito sottolineare questa sfumatura sapientemente introdotta da Tommaso: Giuseppe non si dice padre del «caro putino», come il Gesù fanciullo sarà sempre chiamato in Selva su evidente influsso del veneto putìn, ma soltanto sposo di Maria. Sappiamo naturalmente che egli, del Re del Cielo, è esclusivamente padre putativo, ma questo pudore, in un uomo che riceve in modo impreveduto ben tre sovrani e i loro seguiti, sarebbe sufficiente, da solo, a definire sia l’umiltà silenziosa e pratica di questo uomo, caricato tuttavia di una responsabilità enorme, sia l’inaspettata attenzione di un autore che, se spesso cade in errori anche imbarazzanti di grammatica o di lessico, non per questo è da sottovalutare quando traccia ritratti che hanno spesso, al contrario, l’incisiva precisione di una puntasecca. I Magi avanzano dunque in quella caverna e, in un voluto contrasto, restano incantati davanti al Figlio, «come il sole risplendente» (Selva, 161), tanto il «giubilo» e l’«allegrezza» che da Lui si sprigionano fanno loro provare come un anticipo di paradiso. Il putino, infatti, benché neonato, sembra già saper manifestare la sua allegrezza per la loro venuta, tanto che i tre grandi vecchi, in un omaggio che sono certamente abituati a ricevere ma non a concedere, non esitano a prostrarglisi davanti e a baciare i piedi del Messia tanto a lungo atteso e per tanta via cercato.
L’Epifania
Il momento è decisivo: «l’epifania», la «manifestazione (della divinità)» è non a caso, con questo gesto, rivolta a dei sovrani d’Oriente, un Oriente che Fra Tommaso non specifica, se non vagamente, come vedremo, ma che, secondo l’autore, «osservavano la legge di natura» (Selva, 157). Il che sta a significare chiaramente che, dopo gli incolti pastori, puri tuttavia di cuore, Gesù si mostra a dei non Ebrei, ponendo, dunque, fin da subito le basi per una Chiesa universale, estesa a tutti coloro che siano «molto timorosi di Dio», come appunto sono in precedenza detti i Magi. Si tratta di un’affermazione che ha un immenso valore generale, programmatico, ma che, al tempo stesso, deve anche essere rapportata al momento della stesura del testo, quando, pur essendo morto Solimano il Magnifico, la presenza turca nei Balcani era tuttavia sempre una minaccia ma, soprattutto, rendeva assai problematica la concezione universalistica del Cristianesimo e, dopo la Riforma, ancor più del Cattolicesimo. Un’affermazione, dunque, che mostra come le geopolitica si opponga, per il momento, alla realizzazione di quella universalità, ma che essa è stata pattuita fin dai primi giorni di vita del Cristo e che, quindi, non possa che realizzarsi, nel modo infallibile in cui giungono a compimento i disegni di Dio.
Il dialogo tra i Magi e Maria
Successivamente, Fra Tommaso immagina un dialogo tra i Magi e Maria, durante il quale essi le chiedono la grazia di ricordare al suo figlio divino, quando «sarà in età», la loro venuta e la venerazione dimostrata, perché egli estenda la sua benevolenza, oltre alle loro persone, anche ai figli e ai regni. Poi, con gesto molto orientale, consegnano i loro doni. Un patto si è dunque stabilito e, sembra dire il nostro Tommaso, non vi è dubbio che, forse anche prima della fine dei tempi, esso sarà rispettato, restituendo anche l’Oriente alla Chiesa, come già i missionari (e, tra questi, i Cappuccini) le avevano consegnato (o sarebbe più esatto dire «restituito»?) un inopinato, nuovo, sterminato Occidente. Sempre nella ricostruzione dell’autore, Maria risponde con parole che «penetravano li cuori loro» (Selva, 162), giungendo, un po’ inaspettatamente, sembra di poter dire, a metterli a parte del mistero dell’incarnazione.
Interviene Fra Tommaso
Interviene a questo punto direttamente Fra Tommaso, secondo una tecnica che, è bene dirlo subito e per la sola Selva, vive ogni momento della vita terrena di Gesù come se avvenisse sotto i suoi occhi, come se continuamente si svolgesse in una sorta di eterno presente, tanto è alto il grado del suo coinvolgimento estatico: egli, o almeno la sua anima, sono lì, a pochi passi; vedono e ascoltano tutto; «sentono» nella carne e nel cuore i sentimenti e le traversie, i dolori così come le rare gioie. Interviene, dunque, ed esorta i Magi: «Così dirò a voi, o regi, bisogna partirsi, perché, se Erode saperà ove è nato questo putino, lo farà morire» (Selva, 162). E i gran re sembrano rispondere alla sollecitazione, tanto che si mettono celermente sulla strada del ritorno, pur dopo un viaggio tanto lungo. Un’osservazione non sarà forse inutile: il nostro Fra Tommaso parla sempre di «stella tutta fiammeggiante», sia nel guidare i Magi nell’interminabile itinerario di andata, che in quello di ritorno, riprendendo, dunque, Mt 2,2 e 2,9-10, ma lo fa in un tempo, l’inizio del XVII secolo, in cui ormai da trecento anni si raffigurava invece una cometa, forse a partire proprio da quella dipinta da Giotto nella Adorazione dei Magi, sui muri della cappella degli Scrovegni, a Padova, e che è difficile immaginare il nostro Tommaso non abbia visto, essendo stato portinaio del convento di quella città a partire dal 1618 e, anzi, essendoci forti probabilità che proprio lì egli abbia scritto o, almeno, ideato una parte di Selva di contemplazione.