Come ogni martedì torna la rubrica dedicata alla figura di Tommaso da Olera, il frate cappuccino vissuto a cavallo tra Cinque e Seicento e proclamato beato nel 2013. Il testo è tratto da “Tommaso da Olera, un anno con un mistico del Cuore di Gesù” di Sergio Calzone. Le riflessioni di oggi.
L’Annunciazione a Maria
Ha scritto, su questo Ordine così particolare, il Cargnoni, nell’Introduzione alla sua monumentale opera in sei volumi, sui primi cent’anni di storia cappuccina (1528-1630): «Anche in Italia due autori italianissimi, […] V. Gioberti e A. Manzoni, dipinsero in diversa proporzione, ma con uguale ammirazione, le caratteristiche dei frati cappuccini. V. Gioberti, in una pagina del suo Gesuita moderno, spiega i motivi della sua simpatia verso questi frati popolari, così spiritualmente nobili, evangelici, penitenti: “[…]. Il cappuccino è un frate del popolo. E finché vi sarà un popolo, come quello delle nostre ville, costretto a sudar sulla gleba e a rusticarsi nei campi, una confraternita religiosa che si dedichi specialmente a dirozzare quegli animi e ad addolcir quei sudori, emulandone l’asprezza coll’esempio, e nobilitandone la bassezza colla religione, potrà essere di gran frutto morale e civile. Il cappuccino è il tipo dell’uomo povero, faticante, plebeio, innalzato e purificato dall’Evangelio”»
L’umiltà
L’umiltà, la prima, val la pena ripeterlo, grande dote cappuccina, è anche la prima grande dote del vero fedele ed è la prima grande dote dimostrata da Maria, manifestandola ella, e compiutamente, ancora in un tempo precedente all’Annunciazione. Ci racconta quanto segue Fra Tommaso (anche qui, senza riscontri nei Vangeli).
Voglio io credere che Iddio rivelasse a Maria che presto vederia quella verginella e, sentendo Maria che era venuto il tempo, ardeva di voglia di esser lei serva e ancilla di quella vergine tanto favorita da Dio sopra ogni altra donna […] ove giorno e notte pregava Iddio che gli facesse grazia di puoter servir a quella verginella e poi anche a quel caro figliolo di Dio. Era Maria tanto umile che non poteva cader in pensiero che essa dovesse esser Madre di Dio. […] per la sua profonda umiltà non voleva si non servire quella verginella che doveva esser Madre di Dio. […] O santa purità! Chi avesse detto a voi, o Maria, quando ardeve di voglia di esser serva della Madre del Messia, che voi saresti stata quella Madre del vivente Iddio? Che avresti alora detto? (Selva, 142)
Il beato Tommaso, umile perché credente e umile perché cappuccino, non poteva non vedere in questa qualità di Maria il compendio di ogni santità. Ci ricorda quanto segue.
Stette questa gran fanciulla nella mente de Dio tanti centenara d’anni, anzi migliara, come quella che doveva esser Madre de Dio, fin tanto che Iddio dovesse farsi uomo e incarnarsi per nostro amore e darsi principio a questa redenzione per adimpire quello che li patriarchi avevano figurato e li profeti profetato, elesse Iddio a questo un uomo e una donna in Nazaret. […] E questi, come dico, elesse Dio per padre e madre de quella fanciulla che Dio aveva eletta per sua Madre, e questi dovevano esser nono e nona de l’eterno Verbo, che erano per nome Gioachino e Anna. (Selva, 125)
Pensata da Dio perfetta
Si tratta, dunque, di una fanciulla che, ancor prima del suo concepimento, è pensata da Dio perfetta e, dunque, in conformità con l’ideale cappuccino, umile, qualità che somma in sé ogni altra.
Questa «gran fanciulla», che avrebbe considerato «grazia di puoter servir a quella verginella e poi anche a quel caro figliolo di Dio», è invece scelta per esser proprio lei «quella verginella» e la sua umiltà si manifesta compiutamente in due momenti: il primo, dolcemente ingenuo, quando risponde all’angelo che le annuncia la santa gravidanza [«In che modo avverrà questo, poiché io non conosco uomo?». (Lc 1,34)] Domanda disarmata e disarmante, poiché è ancora la Maria umana che parla; ma ecco che subentra la Maria celeste, quando l’angelo spiega dolcemente come avvenga l’impossibile, ed ella si rimette totalmente a Dio: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1,38). Solenne parallelo e terribile anticipazione di un’altra espressione simile ma diversa, quell’«Ecco l’uomo» (Gv 19,5) con cui Pilato consegnerà Cristo ai sacerdoti e alle guardie.
Di fronte alla dolcissima arrendevolezza di Maria, Fra Tommaso commenta come meglio non si potrebbe.
O felice verginella, poiché avete una così cara sorella chiamata umiltà! Amava Dio la virginità de Maria, ma la virginità non fu sufficiente a tirar Iddio dal cielo: ma la profundissima umiltà di Maria alla virginità unita trasse Iddio dal cielo; e in quell’atto che finì Maria di dire quelle parole di tanta umiltà, il Verbo eterno intrò in quella santa Vergine. (Selva, 143)
È dunque l’umiltà la dote decisiva, pur di fronte a un elemento di per sé straordinario come quello della verginità nonostante il matrimonio. Umiltà come radice e madre di tutte le virtù, poiché è la conseguenza della riflessione sull’abiezione e sulla nullità della natura umana. Ecco perché Maria, quando risponde all’angelo, stupita, ricordandogli di non aver mai «conosciuto l’uomo», è ancora umana e fallibile, mentre, subito dopo, distaccandosi dalla sua condizione terrestre e diventando umile strumento di Dio, può comprendere e accettare il suo altissimo ruolo.