Sono Chiara Cianfriglia, sono una studentessa di medicina al secondo anno e ho tre sorelle più grandi, la maggiore di queste è affetta da fibrosi cistica da 34 anni e si chiama Francesca. Spiegare cosa vuol dire avere una sorella malata di fibrosi cistica non è semplice, ma cercherò di fare del mio meglio per trasmettervi cosa vuol dire per noi fratelli vivere questa realtà. Io non posso raccontarvi lo sconvolgimento e lo spaesamento che provarono i miei genitori quando scoprirono questa malattia, perché appunto non ero ancora nata. Non posso nemmeno raccontarvi il giorno in cui mi è stato detto che avevo una sorella che era malata e che aveva questo fardello da portare, perché non lo ricordo, è una cosa che ho sempre saputo. Quello che però ricordo sono le domande che ponevo ai miei genitori: “Perché Francesca prende le pasticche? Perché deve mangiare determinati cibi? Perché si deve infilare un ago nel braccio?”.
La fibrosi cistica
Da bambina la fibrosi cistica non mi sconvolgeva, non mi creava preoccupazioni, perché ovviamente non ne capivo la gravità; non mi turbava la malattia, perché nascendo in una realtà del genere, per me era una cosa assodata, quasi normale. Quello che per me bambina di 5 anni non era normale, era il comportamento dei miei genitori. Io sono la più piccola di quattro figlie e le mie sorelle sono molto più grandi di me; perciò, da bambina ero convintissima di dover avere tutte le attenzioni costantemente puntate su di me. Se penso a come ho vissuto la fibrosi cistica durante l’infanzia, penso alla gelosia che provavo nei confronti di mia sorella, che ai miei occhi riceveva troppe attenzioni, sottraendole a me. L’infanzia è un periodo delicato per qualsiasi persona e qualsiasi bambino proverebbe gelosia nei confronti del proprio fratello, figuratevi se non potete vedere vostra madre perché è in ospedale con tua sorella. I miei genitori cercavano di spiegarmi nel modo più semplice possibile la situazione, ascoltando le mie scenate di gelosia e accogliendo i miei sentimenti di invidia, senza reprimere o minimizzare il tutto. Credo che questo sia stato fondamentale per me: in primo luogo sentirmi ascoltata e capita, e in secondo luogo ricevere dai miei genitori degli strumenti per cercare, almeno in parte, di comprendere la situazione.
Crescendo cambia tutto
Crescendo cambia tutto. Quando arrivi a un’ età in cui veramente capisci cosa significa il termine “malattia”, in cui inizi a scoprire cosa comporta avere questo tipo di patologia, cambia tutto, e cambiano i sentimenti che hai verso tua sorella. Capisci il perché di tante cose, a partire dal perché di tanti accorgimenti da parte dei tuoi genitori. Quando cresci, l’incoscienza dell’infantilità cede il passo ad una consapevolezza che si fa sempre più forte e radicata dentro di te. Penso che sia peggio della gelosia, perché con la consapevolezza e la conoscenza arrivano la paura e la preoccupazione. Se tua sorella viene ricoverata, non pensi più al fatto che tua madre sia con lei, ma la tua mente viene prepotentemente occupata dall’ansia. Sicuramente per qualsiasi genitore vedere la propria figlia stare male è doloroso, ma posso assicurarvi che per noi fratelli lo è altrettanto. Nei periodi in cui mia sorella stava male e veniva ricoverata, ricordo la preoccupazione per lei, ma anche per i miei genitori. Vedere tua madre o tuo padre stare male per tua sorella è un altro tipo di dolore. Ti senti impotente, perché non puoi aiutare tua sorella, né tanto meno alleviare ciò che provano i tuoi.
Il periodo dei ricoveri
Nei periodi dei ricoveri, ho sempre cercato di fare quello che potevo, di non dargli ulteriori preoccupazioni; perciò, mi impegnavo nello studio e cercavo di continuare la mia vita nel modo più normale che potessi. Non sempre era facile, soprattutto perché facevo fatica a sfogarmi a casa, sentivo di non potermelo permettere: c’erano già i miei che erano preoccupati, io e le altre mie due sorelle dovevamo mostrarci forti. In questo mi ha aiutato tantissimo la psicoterapia: sfogarmi e poter dare dignità ai sentimenti che provavo come sorella mi ha permesso di elaborarli e affrontare tutto in una maniera più matura ed equilibrata. Tutto ciò che ho vissuto mi ha fatto maturare tanto. Dalla mia consapevolezza è nata e cresciuta sempre di più la voglia di rendermi utile e fare qualcosa: per questo, mi sono avvicinata al volontariato e, grazie ad Officium ho partecipato a bellissime iniziative di raccolta fondi. Nei vari eventi ho sempre portato con me i miei amici, spiegando loro cosa fosse questa malattia e l’importanza dell’Associazione, cercando di trasmettergli quanto più possibile quella esigenza di aiutare e di non lasciare soli i ragazzi affetti da fibrosi cistica e le loro famiglie.
Parte attiva della cura
Nei periodi in cui la malattia di mia sorella si aggravava, cercavo di essere parte attiva della sua cura, standole accanto e assistendola come potevo, facendole gli impacchi freddi per farle abbassare la febbre, aiutandola a vestirsi e accompagnandola in ospedale. Tutto ciò mi ha fatto sviluppare una sensibilità e un’empatia che mi hanno portato a essere una persona attenta agli altri; e quell’impotenza che sentivo quando stava male, l’ho trasformata in voglia di sapere e conoscere, per avere io stessa degli strumenti concreti per aiutare un giorno la sorella o la figlia di qualcun altro. Di conseguenza, quando è arrivato il momento di decidere il mio percorso universitario, la scelta per me è stata ovvia ed ho intrapreso la facoltà di Medicina e Chirurgia, scelta di cui ogni giorno sono più felice e convinta. (Ospedalebambinogesu.it)