Da quando il Nagorno Karabakh è stato assegnato alla gestione dell’Azerbaijan, musulmano, negli Anni Venti del secolo scorso, gli studiosi hanno dettagliato quello che hanno ritenuto essere una sorta di “genocidio culturale”, ovvero la scomparsa dei “khachkar” (le tipiche croci armene), persino di chiese ed edifici religiosi della antica popolazione cristiana. Quando negli Anni Novanta del secolo scorso l’etnia armena ha preso il controllo della regione proclamandola indipendente (ma lo Stato non è mai stato riconosciuto dall’Armenia stessa) si è verificato, secondo gli azerbaijani, l’opposto, ovvero che l’eredità musulmana della regione è stata estirpata. Ora, però, dopo la guerra del 2020 e la cosiddetta “operazione antiterrorismo” di settembre 2023, il Nagorno Karabakh è sotto controllo azerbaijano. Centinaia di migliaia di armeni hanno lasciato le loro case, i loro terreni, e la custodia dei luoghi santi. L’allarme per la perdita del patrimonio cristiano è risuonato di nuovo nella regione.
Le parole di Papa Francesco
Anche Papa Francesco, nell’Angelus del 15 ottobre, ha chiesto non solo di superare la tragedia umanitaria che si sta vivendo, ma di preservare anche i luoghi cristiani. E così facendo ha dato voce a diverse organizzazioni internazionali che dal 2020 ad oggi si sono appellate all’Azerbaijan, ammonendolo di non distruggere il patrimonio cristiano della regione. Si può enumerare, in questo senso, una risoluzione del Parlamento Europeo, una risoluzione dell’UNESCO, una dichiarazione della Corte Penale Internazionale dell’Aja.
Il patrimonio cristiano
In cosa consiste il patrimonio cristiano di quello che gli armeni chiamano, da tempo immemore, Artaskh? Si tratta di circa 400 edifici – chiese, monasteri, tombe – alcuni risalenti addirittura all’XI secolo. Alcuni di questi siti religiosi sono unici, scolpiti con cavalieri armati che risalgono all’Impero Mongolo del XIII e XIV secolo. Tra questi, c’è il monastero Dadivank, già passato sotto il controllo armeno nel 2020, che si dice sia stata fondata da San Dadi in persona. Ma anche la chiesa armena di San Gregorio a Baku. A dire il vero, questa chiesa figura nel registro dei monumenti religiosi dell’Azerbaijan, ma è attualmente chiusa al pubblico. Ma è considerata a rischio anche la cattedrale del Santo Salvatore a Shusha, tra l’altro colpita dai razzi nel conflitto del 2020. Gli azerbaijani considerano Shusha come la loro capitale culturale, la cattedrale cristiana si trova in questo momento in restauro, dietro un muro di impalcature. Lori Katchadourian, una archeologa della Cornell University negli Stati Uniti, ha sottolineato che “il rischio prende molte forme. C’è rischio di danno. C’è rischio di distruzione. C’è il rischio di cancellare le iscrizioni”.
I luoghi a rischio
Quest’ultimo rischio è quello che fa più paura, perché gli armeni notano anche una volontà di riscrivere la storia della regione da parte dell’Azerbaijan. Vengono fuori nuovi documenti a testimoniare non solo una antica presenza musulmana nella regione dominata da persone della più antica nazione cristiana, ma viene definita anche la presenza di una Chiesa di tipo bizantino, la Chiesa Greco Albaniana, a testimoniare che no, gli armeni non erano i soli e che dunque non sono i padroni dei territori. Non sono dettagli, perché ricostruire la storia significa anche ricostruire una legittimità. Gli armeni lamentano, in effetti, che le tracce del loro passato siano state sistematicamente cancellate a partire dagli Anni Venti, in quello che loro definiscono un “genocidio culturale”. Mentre la fuga a centinaia di migliaia dopo il raid di autodefinito “anti terrorismo” nel corridoio di Lachin bloccato da mesi deriva dalla paura di una nuova pulizia etnica. L’Università di Cornell ha stabilito il Caucasus Heritage Watch, che usa immagini satellitari ad alta risoluzione per documentare il destino dei siti culturali armeni in Karabakh e nella exclave azerbaijana di Nakchivan, che si trova vicino al confine con l’Iran. Proprio in questa exclave, le immagini hanno mostrato – spiega il team dell’osservatorio – “la completa distruzione di 108 monasteri, chiese e cimiteri medievali e di prima modernità, avvenuta tra il 1997 e il 2011. Si tratta del 98 per cento dei siti culturali armeni che siamo stati in grado di localizzare”. A Julfa, conosciuta prima come Jugha, in dieci anni c’è stato un processo di metodica erosione, sebbene questo dato sia impossibile da verificare sul territorio perché l’accesso ai siti è strettamente controllato dalle autorità azerbaijane. Secondo il Caucasus Heritage Watch, ci possono essere altri 200-300 siti culturali armeni gravemente danneggiati.