“Il problema non e’ soltanto cercare di fare quello che si puo’, ma bisogna fare quello che serve, quello che si deve, quello che ci viene chiesto, quello che e’ necessario per rispondere alle tante domande. Questa e’ la consapevolezza che viene dalla lettura di un rapporto ricco di dati, di storia anzitutto, di storia di persone”. Lo dice il presidente della Cei, il cardinale Matteo Zuppi, in un videomessaggio inviato per la presentazione del XXI Rapporto Caritas sulla poverta’ in Italia.
Le parole di Zuppi
“Qualche anno fa – afferma Zuppi- mi colpi’ nel Rapporto proprio una certa cronicizzazione nei centri d’ascolto, cioe’ di persone che continuano a venire rispetto ad anni addietro in cui c’era un’accoglienza e poi una soluzione e persone che prendevano poi altri itinerari. E’ un Rapporto preoccupante, un rapporto che ci deve aiutare a scegliere e a vivere consapevolmente delle settimane e dei mesi difficili verso cui andiamo incontro che richiedono e richiederanno tanta solidarieta’, delle risposte rapide, perche’ la sofferenza non puo’ aspettare, non deve aspettare, ma anche delle risposte che sanno guardare al futuro. Per guardare al futuro pero’ – avverte- dobbiamo capire bene il presente, altrimenti ci accontentiamo di alcune enunciazioni, oppure la visione del futuro resta del tutto staccata dai dati reali. Per questo la grande utilita’ del Rapporto, e le indicazioni che offre e quindi la visione che richiede. Dati, non parliamo di previsioni, di ipotesi, ma di dati. Qualche volta abbiamo una sorta di rimozione immediata per cui ascoltiamo alcuni dati e pensiamo ma poi alla fine non e’ proprio cosi’, oppure che e’ cosi’, va bene, ma poi continuiamo come prima. Il rapporto non ci puo’ far continuare come prima”.
Sei milioni di italiani in povertà assoluta
“Questi valori – continua – sono sballati, perche’ vedere che quasi sei milioni di persone sono in poverta’ assoluta, e’ evidente che e’ un valore sballato nell’organismo del nostro Paese, che richiede quindi, ovviamente, dei cambiamenti, delle terapie, delle scelte, perche’ se continuiamo ad avere un dato cosi’ tutto l’organismo si ammala. Non e’ un problema come al solito di quelle persone per cui cerchiamo di fare qualche cosa, e’ anche una difesa di tutto l’organismo. La “Fratelli tutti”, e anche la consapevolezza del Covid, ci aiutano a capire che non va bene accettare che ci sia un numero cosi’ alto di poveri”. “Certo – prosegue- e’ vero che la crisi energetica e quindi tutti gli aumenti dei costi e l’inflazione accentueranno queste condizioni di poverta’ estrema, ma quindi a maggior ragione dobbiamo essere ancora piu’ fermi nell’indicare le soluzioni, anche nell’emergenza. Alcuni dati che mi hanno molto colpito sono il problema dei giovani, il problema del sud, il problema dell’educazione, cioe’ di come la poverta’ diventa ereditaria.
L’anello debole
Per spezzare l’anello, oppure per unire, perche’ il Rapporto si chiama “L’anello debole” e l’anello debole lo devi rendere forte altrimenti si spezza tutta la catena. L’anello debole lo rendi forte ristabilendo l’educazione o investendo seriamente sull’educazione. Considerando anche i dati che ascolterete sui giovani e sulla poverta’ intergenerazionale che sono davvero preoccupanti e richiedono a tutti quanti noi di fare qualche cosa perche’ l’educazione non e’ soltanto quella in termini tecnici, cioe’ di aiutare, quella di don Milani, quella di dare la parola, di aiutare a non essere esclusi dalla scuola, e l’abbandono sappiamo che e’ molto alto, incredibilmente alto, ma e’ anche l’investimento sulla persona, la rete di educazione che e’ quel famoso villaggio che almeno le nostre comunita’ devono rappresentare e rappresentano per chiunque. Un villaggio educativo, anche in termine tecnico, insisto, anche nel dare la fiducia e la possibilita’ di continuare a studiare, i mezzi per continuare a studiare e per rafforzare quell’anello sempre debole per cui gia’ l’ascensore sociale e’ guasto, e’ rotto da tempo, e pochi sono interessati ad aggiustarlo, ma c’e’ anche l’educazione che non viene garantita e che perpetua quella che e’ quasi come una poverta’ ereditaria.
La dimensione sociale
Per questo c’e’ una dimensione che viene sottolineata, la dimensione sociale, la territorialita’, la rete che si deve ricreare. Io penso che questo e’ un grande compito delle nostre comunita’ e quindi delle Caritas che non sono l’agenzia a cui noi esternalizziamo il compito della carita’, perche’ la carita’ non si esternalizza”. “Termino dicendo che nei momenti di crisi a maggior ragione dobbiamo mostrare che cosa significa essere cristiani – conclude il capo dei vescovi – E questo richiede due cose: avere un cuore pieno dell’amore di Cristo e, proprio per questo, riconoscere Cristo e avere noi un cuore pieno di amore per i tanti “poveri cristi “che incontriamo nelle nostre strade, che andiamo a trovare nelle case e che devono trovare un porto nelle nostre comunita’