Lo preghiamo Dio: certo che lo preghiamo! Preghiamo pure Cristo con sua Madre, la Madonna benedetta. Pure i santi preghiamo: che la loro intercessione riesca a scomodare Cristo a ricordarsi di noi. Delle nostre suppliche e richieste. Che, in poche parole, esaudisca al più presto il nostro desiderio che ci ha spinto a tirarlo in ballo.
Preghiamo Dio quando siam dentro qualche guaio
Fossimo sinceri, dovremmo ammettere, spuntando la lista della spesa, che qualche volta – una, due, massimo tre nell’arco di una vita intera! – preghiamo Dio quando siam dentro qualche guaio, oppure quando il portafoglio si sta svuotando e si vorrebbe qualche soldo in più. Qualora fossimo interrogati, poi, prenderemmo a prestito questi momenti come giustificazione della nostra fede quando, con la massima onestà, son solo sprazzi di speranza terrena di un bel colpo di fortuna. Un Dio a disposizione nostra, ad (ab)uso e consumo delle nostre vogliuzze: una sorta di santo-patrono che, nell’emergenza, riesca a farci evitare una cantonata con una soluzione su misura. Qualora non si avverasse, poi, la colpa è sua: “L’ho pregato quando avevo bisogno e non mi ha risposto”.
Cristo non è tenuto ad esaudire le nostre richieste
Cristo, da parte sua, non è tenuto ad esaudire le nostre richieste: il suo compito è mantenere fede alle sue promesse. Che, sovente, si discostano dalle nostre esigenze. Pregare, dunque, più che chiedere la grazia che si avverino le nostre pretese, i nostri capricci, è chiedere la grazia di saper accorgersi che ciò che Dio custodisce nel cuore per noi è infinitamente migliore di ciò che noi siam capaci di chiedergli. È come entrare in una stanza con il nostro progetto bello e fatto perché Dio ce lo firmi e uscire con in mano il suo progetto, invece: per poi accorgersi che il nostro, a confronto, era poco più che uno scarabocchio.
Rendere un po’ più sopportabile la fatica di vivere
Non ci è forse mai capitato di chiedere qualcosa a Dio, di vedercelo non esaudito e poi accorgerci che, lentamente, si stava aprendo una strada inimmaginabile per noi che ci è parsa infinitamente migliore di quella che avevamo in mente? Dicono alcuni che solo a questo serva il cristianesimo: rendere un po’ più sopportabile la fatica di vivere. Fosse anche solo questo, comunque meglio poco di niente.
Il Vangelo invita all’insistenza
Il fatto è che più che alla resistenza il Vangelo invita all’insistenza. Resistere è impegnarsi a più non posso per arrestar un qualcosa che ci opprime, insistere è credere di potere un giorno trovare un senso alla fatica che si compie: «Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai». Insegnò loro ad insistere con Lui, senza diventare per forza pesanti: è un’arte per pochi, questa. Fu l’arte vincente di quella vedova che, al tempo di Gesù, si vide fare giustizia da un giudice disonesto non perché difesa da un celebre avvocato ma per la sua insistenza: «Le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi». Se insisti e resisti – scriveva Trilussa – raggiungi e conquisti. Da che cosa cerchi, da come lo cerchi, insomma, sovente si riesce a misurare anche la grandezza di un’anima. Dio, almeno, ne è capace.
Anche Dio molte volte insiste
Anche Cristoddìo, molte volte, insiste. Insiste quando noi, addirittura, gli chiediamo di lasciarci stare, di non voler più aver a che fare con Lui. “Chi ti vuol bene – pare dica a qualche anima indispettita dai suoi sgarbi – sa quand’è l’ora di insistere anche se tu gli hai urlato di lasciarti in pace d’ora in avanti”. Di volerti bene senza, per forza, incatenarti. Solo un dubbio tormenta il Dio cristiano: «Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?» (cfr Lc 18,1-8). Che trovi la fede è il minimo sindacale: Bernanos c’insegnò che non si può perdere la fede. Potrà dunque dormire sonni tranquilli su questo fronte. Il massimo possibile, all’uomo, è che la fede cessi di plasmare la sua vita. Che diventi un peso inutile, al pari di quei regali che continuiamo a spostare di stanza in stanza perché, alla fine, ci sentiremmo in colpa d’averli buttati. Non sappiamo che farcene, però. Renderla inutile, anestetizzandola, è il rischio possibile. Averla avuta in dono e non averla saputa cogliere, questa sì è la grande preoccupazione che impensierisce Dio.
Don Marco Pozza per Sussidiario.net

Autore: Don Marco Pozza
Marco Pozza (Calvene, 21 dicembre 1979) è uno straccio di prete al quale Dio si intestardisce ad accreditare simpatia, usando un’inspiegabile misericordia. Sacerdote e scrittore, è il parroco del carcere Due Palazzi di Padova. Presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma ha conseguito il dottorato in Teologia Fondamentale con una tesi su Cittadella, unica opera uscita postuma dello scrittore-aviatore francese Antoine de Saint-Exupèry. Il motivo? Era infastidito assai dal fatto che il mondo intero conoscesse Il Piccolo Principe ma quasi nessuno conoscesse chi fosse il suo papà letterario. Più le infinite cose belle che aveva scritto oltre a quella sua favola divenuta nel tempo gigantesca. Immortale. La sua passione è quella di provare a contaminare mondi tra loro, in apparenza, ben differenti: a volte riuscendoci, a volte meno. In ogni caso gli rimane addosso la bellezza di averci comunque provato: come nella primavera del 2020 quando, assieme alla comunità del suo carcere, ha ideato e scritto i testi della famosa Via Crucis 2020 celebrata in una Piazza san Pietro deserta a causa della pandemia. Per Rai1 conduce dei cicli di puntate de Le ragioni della speranza, la rubrica settimanale del programma A Sua immagine. È autore e conduttore di programmi televisivi di approfondimento culturale e religioso: Padre Nostro (Tv2000, 2017), Ave Maria (Tv2000, 2018), Io credo (Tv2000, 2020), Dei vizi e delle virtù (Discovery Channel, 2021) che hanno avuto la partecipazione fissa di Papa Francesco e dai quali sono nati altrettanti bestseller (usciti con Rizzoli) tradotti in tutto il mondo. Nell’autunno 2022 scrive e conduce Il Discorso della montagna (Canale5, 2022). Appassionato di sport e giornalismo, nel tempo libero che gli rimane ha già iniziato ad abbozzare la sua prima enciclica, qualora gli toccasse la dura avventura d’essere eletto Papa. L’incipit è già stato scritto: «Ho odiato ogni minuto di allenamento ma mi dicevo: non rinunciare. Soffri ora e vivi il resto della vita da campione» (M.C.Clay). Non è il miglior uomo del mondo: non pretende nemmeno di diventarlo, tra l’altro. Gli basta, al tramonto di ogni giorno, avere fatto di tutto per essere il migliore uomo possibile.