Come ogni martedì torna la rubrica dedicata alla figura di Tommaso da Olera, il frate cappuccino vissuto a cavallo tra Cinquecento e Seicento e proclamato Beato nel 2013. Il testo è tratto da “Tommaso da Olera, un anno con un mistico del Cuore di Gesù” di Sergio Calzone.
Le riflessioni di oggi
Gioseppo e Maria gli commandavano ed esso figliolo gli obediva. O stupore, o umiltà del figliol di Dio! E tu non piangi, o anima, non gemi in veder il tuo Dio in tanta bassezza per amor tuo? Sarai superba, non ti umilierai al tuo creatore? Fugirai le cose vile e basse? Vedi, anima mia, come il tuo creatore, il tuo Dio si fa obediente per tuo amore, non si vergogna di far cose vile: scopava per casa e agiutava la Madre nel lavar le massarizie. Oh quanti atti de umiltà faceva il tuo Signore per dar essempio a te, o anima, aciò ancor tu facessi atti de umiltà per suo amore! Oh quante volte si stupiva Maria e si umiliava in veder il figliolo de Dio operare cose de tanta umiltà! Oh quante volte Maria e Gioseppe genuflesso adoravano il caro figliolo Iddio! Cresseva il figliolo in età, virtù, santità e perfezione; e si bene fu sempre perfetto e santo, perché era Iddio creatore del cielo e della terra, niente di meno come uomo mostrava nella vita sua perfezione tanto che ognuno si ammirava vedere un figliolo tanto santo e perfetto.
Era questo fanciullo accarezzato e stimato da tutti: oh chi avesse sentito questo nostro Gesù quando parlava e pratticava in terra! Oh che parole di fuoco d’amore de Dio doveva questo figliolo de Maria dire, che rapivano li cuori de quegli che lo udivano parlare! Parlava esso delle figure de’ profetti e della legge, che ognuno si ammirava sentire un fanciullo di tanta tenera età parlare tanto altamente delle Scritture. (Selva, 182-183)
E questo fin nei dettagli più domestici e nelle preoccupazioni più tipicamente familiari.
Il Santo Gioseffo compassionando con la sua cara sposa il putino, lo presero per mane, lo menormo a l’osteria, overo comprando del pane con altri poveri cibi, reficiorno il suo caro figlio. Oh chi avesse sentito Maria a far animo al figliolo aciò mangiasse! (Selva, 186)
La Sacra Famiglia, dunque, realmente esemplare, nel simbolo e nel concreto quotidiano, con una rappresentazione a sbalzo che ce la rende al tempo stesso venerabile e teneramente vicina, sublime esempio da seguire ma anche piccolo nucleo da seguire, nelle sue peregrinazioni, con tanta simpatia umana.
Un’ultima annotazione la quale vuol essere, collocata qui, manzonianamente «il sugo di tutta la storia»[1].
Come ben sappiamo, la casa di Loreto altro non è che la casa di Maria a Nazaret, trasportata via mare ad Ancona dalla famiglia Angeli o De Angelis. Per questo luogo Fra Tommaso ebbe una venerazione particolare, tanto che lo visitò ben tre volte nel corso della sua vita, a malgrado tutte le difficoltà che in tale viaggio erano intrinseche alla sua condizione di frate cappuccino.
Ecco come ne parla in Selva di contemplazione.
Ebbe questo Santo Gioseffo una dote da Maria che già mai da qual si voglia re o imperatore avesse nelli loro sposalizi: ebbe la casa paterna, dico quella santa casa di Loretto ove nacque Maria. Casa, anzi palagio tanto rico di tesori e tanto maiestoso che non ha pari nel mondo: ceda pur il tempio di Salamone e il palagio che edificò alla sua moglie, la figliola di re di Egitto, a questa casa di Maria. E si li Ebrei venivano da tutta la Giudea in Gerusalemme a veder il tempio e in esso adoravano Iddio, e ora e sempre da tutte le parte del mondo vengono li fideli cristiani alla santa casa di Maria, e in essa adorano e servino a Gesù e a Maria, al figliolo e alla Madre. Ed è tanto ricca questa beata casa che rende maraviglia e stupore a chi la mira: anzi, che il solo vederla da lontano rende tanta compassione e divozione che li peregrini restano squasi fuora di se stessi. E io ne son testimonio, che, andando alla volta di questa santa casa e vedendola da diece miglia da lontano, me ingenochiai ed ebbi tanta compassione e divozione e dolcezza al cuore che, si troppo avesse durato in quell’excesso, sarebbi da dolcezza morto; e rivando in quella santa casa mi pareva di esser in Paradiso. O felice dote di Gioseffo, o beata eredità di Maria, poiché così gran tesoro desti in dotte al vostro caro sposo Gioseffo! E perché in altro luogo parlarò di questa santa casa, ora farò fine. (Selva, 140-141)